Sonetti di Giovan Battista Delia dedicati alla sospirata Giulia e all'amico
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Queste poesie, composte tra il 1834 ed il 1835, sono state scritte da Giovanni Battista Delia, personaggio a noi del tutto sconosciuto ma sicuramente intimo e molto amico di Feliciano Orlando il quale, nella raccolta qui presentata, si limita alla firma del solo primo sonetto. Siamo negli anni in cui il nostro patriota altavillese visse ed esercitò la professione di avvocato in Napoli per cui è presumibile ritenere che l’ amicizia con questo Giovan Battista Delia sia riconducibile alle frequentazioni professionali oppure a quelle legate agli ambienti liberali e rivoluzionari che nel napoletano trovarono terreno molto fertile.
La raccolta, la quale si presenta con una forte connotazione di carattere amoroso, è costituita da un certo numero di sonetti, brevi componimenti poetici, caratterizzati da una marcata melodia nel suono (sonetto), tipici soprattutto della letteratura italiana, composti con rime disposte secondo precisi schemi. Il componimento è interamente dedicato ad una giovane donna di nome Giulia la quale, dopo essersi voluttuosamente concessa a Giovan Battista Delia, assume un atteggiamento di grande ritrosìa e indifferenza nei riguardi del povero amante.
E’ grazie all'amicizia sincera del nostro Feliciano Orlando…… che muti in gioia ogni amarezza….che ha fine il tormento e la sofferenza amorosa dello spasimato amante.
( La trascrizione è a cura di Marisa Camerlengo)
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Se tempro umile sconosciuta penna
Se le pagine svolgo d’almanacco,
Speme mi assiste che mi guardi il Senna
Dalle chiare onde sue al suol di Bacco.
Di Storia il suon l’orecchio mio tentenna
Di mirar poco lungi Elìa, e Sacco
Lascio lo studio quindi d’Avicenna
E il tristissimo odor del suo tabacco.
Sul volume immortal del gran Licurgo
D’inchiostro scorse del mio calamaio;
Né scordai di guardar ferro chirurgo.
Ora ò novo desir, di penna un paio,
Sacro all'un , Sacro all'altro Taumaturgo,
L’esempio lor mi sarà nobil agio.
Feliciano Orlando
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All’egregio e colto amico Feliciano Orlando
Sonetto
Feliciano, la mia Donna vezzosa
Dice di non amarmi, e mi lusinga:
Le chiedo il core, e tutta vergognosa
D’insolito rossor par che si tinga.
Io conoscer non so, se dessa ascosa
La fiamma ha in petto, e non curarmi finga:
Or facile si mostra, or più ritrosa,
E par con nuovo laccio Amor mi stringa.
Amico, un raggio di non dubbia speme
Deh tu m’appresta, e porgi al mio dolore
Conforto, e vedi che il mio spirto geme!
Dimmi se Fille per me sente amore,
Dì se viver potrò con essa insieme;
O fa che torni in libertate il core.
In segno di vera amicizia
Gio. Batt. Delia
Napoli 25 luglio 1834
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Feliciano Orlando
Ottave Legate
Feliciano narrar tutti ti voglio,
I dispetti di Giulia, e 'l mio dolore:
Ella mi dice con immenso orgoglio
Che per me non le batte in seno il core:
Dice ch’io rattemprassi il mio cordoglio
Che senza speme è il mio verace amore:
Né per cangiar di tempo fia che mai
Ella mostri ver’me più dolci i rai
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Amico io l’amo, ed ella è inigua assai
Chè la pace mi tolse ed il diletto,
Ella è cagion dè miei più crudi guai,
Ed è del mio pensier l’unico obbietto;
Vorrei scordarla, e spesso lo tentai,
Ma Amor me la scolpì forte nel petto,
Tal che se cerco di non più vederla
Mi sembra fra le braccia di tenerla.
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Or deh, se più propizia io posso averla
Tu, Feliciano, il mio martirio calma:
Dimmi se un giorno io mai potrò goderla
Restando insiem congiunti a palma a palma.
Se tua mercè mi dice possederla
Tu parte diverrai miglior dell’alma,
Anzi lo sei, chè d’un’eterna fede
Stabile giuro questo cor ti diede.
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Se qualche fiata ella di me ti chiede
Dille che l’amo quanto ella mi sprezza;
Dille che in Lei s’è di virtù la sede
Cangi il rigor, da non dovuta asprezza;
E miri d’Imenèo le sacre tele
Che un dì conosceran la sua bellezza
Dille che sì l’adoro o Feliciano
Che lasciara d’amor mi fora vano.
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Or sono malinconico, ora insano,
Ora m’aggiro in questa parte e in quella;
Or dimando agli Dei pietà, ma invano
Chè Fortuna è per me sempre rubella,
Or maledico il nostro stato umano.
Ahi lasso! Io veggo Giulia sempre bella
Dessa m’aprì nel sen piaga sì forte
Che spegnere nemmen potrà la morte.
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O dolce amico, tu che in la ritorte
Vivesti lungo tempo di Cupido;
Deh mira quanto è fiera la mia sorte,
E come ora gli affanni in me fan nido:
Deh se il tuo labbro fia che mi conforta
E se si cangerà quel seno infido:
Io paventar più non saprò nel mondo,
Ed il fato per me sarà giocondo.
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Eccoti del mio cor palese il fondo
O Feliciano, che sincero m’ami:
Il visetto di Giulia rubicondo
Se tu propenso dimostrarmi brami
Ed il tuo petto amabile e ritondo,
E se fia che in mio nome ancor la chiami,
Più desiar non m’avanza, e a te d’accanto
Di vero amico ognor darotti il vanto.
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Deh rasciuga al mio ciglio il caldo pianto
In pensare a Colei così scortese,
Ella colmommi d’inusato incanto
Ed insolita fiamma in ven m’accese:
Io vivo in pene, ed ella gode intanto
Che mai per me pietate non intese.
Di giorno in giorno in me l’amor s’accresce
Ed ella con la fiamma il gelo mesce.
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Ma se di mia verace fè lea inevesce
Perché dal primo di non mal dicea;
Ora la vampa che nel cor mi cresce
Spenta sarebbe di mia vita rea:
Diletto amico se non ti rincresce
Il mio core, che amor non conoscea;
Spargi stille di pianto all’angoscioso
Viver ch’io meno oscur e nebuloso.
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Ogni piacer per me fatto è noioso
Tutto m’attrista intorno e m’addolora;
Ho sempre il foco nel mio petto ascoso
Né Giulia ingrata lo conosce ancora.
Mi spregia amante, e non mi brama sposo
Tal che vicina pàrmi L’ultima ora
Che lo spirito mio dal fral diviso
Salga, pensando a Giulia, in Paradiso.
Gio. Batt. Delia
3 agosto 1834
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All’ottimo amico Feliciano Orlando
Sonetto
Feliciano, d’amor prove a Giulietta
Immense io diedi, ma ciò a nulla valse,
Di Cupido ella spregia la saetta,
E mai di mia verace fè le colse.
L’orgoglio ognora in Lei maggior prevalse
E fu la pura anima mia negletta.
Volubil sempre, come l’onde salve,
Ella mostrossi, ed in me fa vendetta.
Quanto più cerco dimandarle amore,
Ella mi dice che non m’ama, and’io
Sento più crudo in seno il mio dolore.
Deh m’aita diletto amico mio!
Fa che si cangi di Giulietta il core,
Dille che tema il faretrato Dio.
Gio. Batt. Delia
3 Agosto 1834
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All’egregio e colto amico Feliciano Orlando
Sciolti
..............amor mi scese all’alma
Profondamente, ed al soave aspetto
Sentia stemprarsi di dolcezza il core.
Ossian, Cartone V.° 100
Pende la notte: tenebria s’aduna
Sopra la faccia della terra: in cielo
Splendon le stelle co’ lor glauchi lumi.
Tacciono i venti, e su leggieri vanni
Sol va scherzando la notturna auretta,
Che col soffio gentil lusinga il sonno
De’ miseri mortali. Oh deh ti ferma,
Notturna auretta; un mio sospiro accogli.
E lo reca a Giulietta: ella riposa
Su molli piume in dolce sonno immersa. 10
Tu non destarla, e sopra lei t’arresta
Un cotal poco, e fa le sorga in mente
Amoroso pensier che la consoli.
Portami L’arpa, che dal muro pende
Di nostre case, o garzoncel diletto,
Figlio della mia suora; e tu m’ascolta.
O Feliciano: io vo’ cantar di Giulia.
Giulietta è l’amor mio. Nella sua casa
Un dì m’accolse la sua madre, Nina;
E sacro nodo d’amistà si strinse. 20
Ella non v’era allor ch’ospite entrai
Nella magion materna: ella poi venne,
E gli occhi nostri si scontràro, e i petti
Palpitàro a vicenda, ed a vicenda
Fin da quel punto amor nostr’alme accese.
Io ben m’avvidi, ch’era il volto sparso
Di gentile rossore, e gli occhi suoi
Sugli occhi miei fissar poteva a stento:
Ben m’avvidi, e d’amor fui preso anch’io.
Spesso m’accolse da quel giorno Nina 30
Nella sua casa, e più e più cresceva
Alla vista di Giulia in me la fiamma,
Che pur nascosa ancor serbava in petto.
Era quel dì che prese umane spoglie
L’eterno Verbo, Redentor del mondo.
Fui a mensa di Nina, e poi che in giro
Andò la tazza del convito, il canto
Sciolse la bella Giulia, e la sua voce,
Risvegliatrice di soavi affetti,
Con celeste armonia mi scese al core. 40
Poi n’andammo a riposo … Ahi! Ch’io vegliava,
Né a leggiero sopor chiusi le ciglia;
Che Amor teneami desto; innanzi agli occhi
Tuttor mi stava la diletta immago,
E tuttor la sua voce intorno udiva.
Alfin mi vinse l’amoroso foco:
Balzai dal letto, come quel che dorme,
E sogna, ed opra, e ratto il piè rivolsi
Ver’ la stanza di Giulia. Ella giacea
Languidamente sopra bianchi lini; 50
La bionda chioma in sull’aburnee spalle.
Crespa qual onda, le scendea; socchiusi
Erano gli occhi, per cui vibra Amore
Le sue quadrella; il biancicante petto
Al tranquillo alitar del suo respiro,
Qual piuma sollevavasi di cigno
Al lieve soffio d’aura mattutina.
In contemplar quelle celesti forme
Attonito tremante il piè fermai,
E a quella vista quasi non credeva 60
Fra i bàttiti del cor tre volte innanzi
Poscia mi spingo, e tre volte recedo.
Al basso scalpitar ella si desta,
E sbigottita in su leva il bel capo:
Volea gridar, ma la rattenne Amore,
Allor che me conobbe. Indi m’avanzo
Già fatto ardito: ella nel sen mi cade
Fra la tema, e l’amore, e la vergogna:
Forte la strinsi, e sull’amato viso
Avidi baci palpitante impressi …. 70
O ciel, perché in quel punto io non spirai
L’alma fra le sue braccia! _ Alfin si sciolse
Quasi desta da sonno, e mi guardava
Furtivamente vergognosa _ Giulia,
Le dissi, io t’amo, e t’amerò pur sempre
Finchè avrò vita, ed anche oltre la vita _
I nomi nostri da quel dì fur uno,
E i nostri cuori un solo: ella in me vive,
Io vivo in lei. Sovente io la rivedo,
E di sincero amor tra i dolci amplessi, 80
E tra’ sospir passiam l’ore fugaci.
Né sciorre mi potrà d’astro nemico
Maligno influsso, o d’oro ingorda sete,
Ovver d’onori ambiziosa voglia,
Distruggitrice dè soavi affetti.
Quando Imen ci unirà con saldi nodi,
Sacri per società ( chè senza Imène
Ancor son sacri di natura i nodi ),
Amico, al suon dell’armoniosa cetra
Un canto innalzerai, canto di gioia, 90
Onde propizio Imen svuota la face
Sull’ara sacra, e della bella Giulia
Risuoni il nome a quel di Giovannino
Unito _ E quando il naturale stame
Di nostre vite troncherà la parca
( Che insieme al sole chiuderem le luci,
Non che nel giorno, ancor nell’ora istessa ),
Amico, allor c’innalzerai la tomba,
Di Mergellina in sull’amena spiaggia,
Ove giace il cantor del pio Troiano, 100
Che spande di parlar sì largo fiume,
E ch’è la fonte ond’io tolsi il mio stile.
Ma il cener nostro, e le nostr’ossa chiuda
Solo una tomba: chè se in ciel congiunte
Nostr’alme fièno, uniti ancor saranno
I corpi nostri in terra, infin che il giorno
Verrà, che saliran con l’alme in cielo.
Sopra quel sasso alla canzon funèbre
Misto il tuo pianto spargerai: chè grata
La ricordanza degli estinti amici 110
Sorge alla mente, e a lagrimar ci sforza.
E l’Italo nocchier passando, a dito
Mostrerà quella tomba allo straniero,
E dirà con pietade, e con dolore;
Là giace Giovannino, e Giulia accanto.
G. B. Delia
Napoli 7 agosto 1834
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All’ottimo e colto amico Feliciano Orlando
Sonetto
Che si legge sottosopra
Feliciano, Giulietta alfin s’arrese
Alle prove di mia stabil costanza.
Oh quale ferve in me grata esultanza!
Quale insolita gioia il petto intese!
Fiamma nel seno a Lei Cupido accese;
Mutar non più vedrolla di sembianza.
Fan pudore e virtute in Essa stanza:
Di Giulietta il cor mi fu palese.
Ben io penai; sorride a me la sorte:
Il sol desiro ch’ora serbo all’alma
E’ il viver d’Imenèo fra le ritorte.
Con Essa proverò la dolce calma:
Adorando Giulietta oltre la morte
Avrò di fido Amante ognor la palma.
Gio. Batt. Delia
Napoli 13 agosto 1834
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Al solo amico del cuore Feliciano Orlando
Sonetto
Oh benedetto il giorno in ch’io ti vidi;
E benedetta la magion gradita
In cui formava Amor suoi dolci nidi
Quando Giulia mirò la mia ferita!
Oh benedetto chi mi diè la vita
Se meco, o Felician, tu la dividi!:
Or quella donna è dal mio sen bandita.
Oh benedetto il giorno in ch’io ti vidi!:
E benedetta ognor la mente mia
Che seppe dispregiar quel cor di ghiaccio
Allor che tutta a lei pensar solìa!
Oh benedetto d’amistate il laccio!
E benedetto eternamente sia
Chi mi disciolse dal fatale impaccio!!
Gio. Batt. Delia
7 marzo 1835
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Sonetto
Sant’amistà, che mi risiedi in core
Nunzia tu sei di pace e di dolcezza:
Del mortale rattemprasi il dolore
Per te, che muti in gioia ogni amarezza.
O voi, cui pose instabile favore
Di sorte al colmo di fatal richezza:
La sorella bellissima d’amore
Non giunge al sommo di cotant’altezza!
Io non cerco gli amici a cento a cento
Chè profanata allor saria la fede,
E in braccio poserei del tradimento.
Il mio Felice ho ritrovato al mondo,
In cui tu bella Diva hai pura sede,
Ed il viver per noi fatto è giocondo.
Gio. Battista Delia
offre al suo Felice
Napoli 28 febbraio 1835