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EGEO: GUERRA DIMENTICATA

Oreste Villani: un ufficiale altavillese protagonista della resistenza

(di Alfonso Porcaro )

Premessa storica

   L'Italia che per circa un ventennio era stata "educata" dalla roboante propaganda fascista, restò dapprima perplessa e poi frastornata nel giro di quattro mesi: dal 9 luglio, data dello sbarco alleato in Sicilia, al 13 ottobre 1943, giorno in cui il governo Badoglio dichiarava guerra alla Germania. In questi pochi mesi gli italiani avevano visto travolgere le nostre deboli resistenze dalle forze alleate che avevano occupato la Sicilia in solo 40 giorni a partire appunto dal 9 luglio.

Sotto l'incalzare degli avvenimenti, la notte tra il 24 e i125 dello stesso mese, il Gran Consiglio del Fascismo si era ribellato al suo Duce.

   Un ordine del giorno proposto da Grandi, col quale si faceva appello al re per il ripristino della legalità costituzionale, fu votato a grande maggioranza (19 votanti contro 7). Era evidentemente questo il segno dell'accordo tra la Corona e i dissidenti del Gran Consiglio diretti da Ciano, Grandi e Bottai, tanto è vero che Mussolini, recatosi a Villa Savoia a conferire con il re, fu arrestato e relegato sotto scorta sul Gran Sasso. Poco dopo liberato dai tedeschi ricostruiva lo stato fascista a Salò: la Repubblica Sociale Italiana, un governo Quisling che si richiamava al primo fascismo, a quello cioè del 1921 socialisteggiante e radicalizzante. Ecco perche il M.S.I. dei nostri giorni, che si onora di ereditare gli ideali di Salò, è un partito di sinistra e non di destra come maliziosamente si dichiara.

   Il 3 settembre a Cassibile fu firmato l'armistizio, annunciato in ritardo da Pietro Badoglio agli italiani, con un proclama ambiguo e contorto, la sera dell'8 settembre poco prima che, con Vittorio Emanuele III ed i notabili della corte, partisse alla volta di Pescara per raggiungere successivamente Brindisi sotto la sicura protezione inglese.

   L'impero delle camice nere si ritrovava ora tallonato da due forze contrarie e ridotto in due stati: la Repubblica di Salò, sul lago di Garda, sotto la tutela della Wehrmacht che, per assicurarsi il controllo dell'Italia centro-settentrionale e bloccare l'avanzata alleata dal sud, aveva costituito con i repubblichini (le camice nere dell'esercito fascista) una linea di difesa, che dal Garigliano, attraverso Cassino giungeva alla foce del Sangro ("linea Gustav") e il Regno del Sud sotto la tutela delle forze alleate, nell'Italia meridionale.

   Il "grande" impero ridotto a un'italietta che, provata dagli stenti, dalle sofferenze, dalla fame, dal sangue di vittime innocenti, aveva una gran voglia di vivere. I sogni di gloria e della grande Roma erano ormai affogati e sepolti sotto le macerie di un'ideologia pasticciona e violenta.

I giovani leoni

   Eppure, all'indomani del 10 giugno 1940, i giovani che per un ventennio erano stati abituati a "credere", a migliaia accorrevano ad arruolarsi, per non essere in ritardo all'appuntamento con la storia, mentre tutti gli altri dovevano "obbedire" e "combattere". Fra questi ultimi vi era anche il tenente di complemento Oreste Villani, originario di Altavilla Irpina, che era già assegnato al comando della 4^ compagnia mitraglieri del 265° Reggimento fanteria nell'isola di Rodi nel Dodecaneso. Questo era considerato possesso italiano in virtù della pace di Losanna dell'11ottobre 1912 a conclusione della guerra di Libia. In realtà, col trattato di pace la Turchia riconosceva all'Italia oltre alla sovranità sulla Libia, il diritto di conservare il controllo di Rodi e delle altre isole del Dodecaneso, dall’Italia occupate nel corso delle operazioni; "e ciò a garanzia dell'evacuazione turca dai territori libici e della cessazione della guerriglia da parte delle tribù indigene. In effetti questa guerriglia si perpetuò fino al 1927 e ciò fornì all'Italia l'alibi per mantenere stabilmente l'occupazione delle isole egee".

   “.. Durante il periodo di Vatì (Egeo, n.d.r.) - scrive Gianni Baldi in “Dolce Egeo Guerra Amara" ed. Rizzoli febbr. 1988” - venne assegnato alla 4^ un altro sottotenente di complemento, che proveniva da una delle isole minori. Il nuovo venuto originario dell'Irpinia portava uno straccio di divisa bisunta e scarponi da soldato... Fin dal primo approccio Oreste Villari (leggi Villani, n.d.r.) intuiva di ciascuno di noi le debolezze, le manie, le fasullaggini, e subito le prendeva a bersaglio delle sue irridenti sfottiture. Ma non lo faceva con cattiveria, per il gusto di ferire. Si divertiva a sfottere il prossimo per gioco, per il piacere della satira. Tant'è vero che, nonostante le sue punzecchiature, tutti gli erano amici e se la spassavano a stare con lui."

   Chi ha avuto il piacere di conoscere l'avv. Oreste Villani si accorge che lo Scrittore, protagonista anch'egli di queste vicende, ha magistralmente interpretato il suo temperamento. Ma la personalità è ben più ricca e complessa: essa, per dirla con Freud, è come un iceberg che non lascia emergere la parte più consistente, più ricca della sua struttura. Il tenente Villani trascorre così la prima parte del servizio militare in queste dolci isole dell'Egeo, guadagnandosi giorno dopo giorno, l'affetto e la stima dei suoi soldati e dei suoi colleghi.

   Non dei superiori però che provano per lui rancore e risentimento per i suoi lazzi non sempre leggeri e di facile sopportazione.

Lo sbarco degli inermi

   Nella seconda quindicina del maggio 1941 fervono i preparativi per un'azione di guerra "in grande stile", tenuta segreta ma che presto tutti scoprono. Si tratta di affiancare le truppe tedesche nello sbarco a Creta. Quando la battaglia tra inglesi e tedeschi, ad ovest dell'isola, volge ormai alla fine, con notevoli perdite da entrambe le parti, circa 30.000 morti, con l'impiego di mezzi bellici sofisticati, qualche migliaio di soldati italiani, imbarcati su motovelieri detti gazzolini, da Rodi, attraverso lo stretto di Caso, con la scorta di tre unità un cacciatorpediniere e due torpediniere, approda nella baia di Sitìa nella parte orientale dell'isola. E’ inutile domandarsi quale stella salvò i nostri soldati dalle cannoniere e dalla RAF inglesi. Nessuno saprebbe rispondere, neppure gli alti comandi italiani che probabilmente credendo nel Blitzgrieg (guerra lampo) volevano far pesare i morti al tavolo della spartizione.

   "Invece non successe nulla" scrive Mario Cervi in una sua recensione dell'opera citata sul Giomale "Alla spicciolata, in un disordine zingaresco, plotoni e compagnie sbarcarono a Sitìa senza sapere bene dove si trovassero e quali fossero i loro obbiettivi. Quando finalmente, stabilito in qualche modo un contatto con i tedeschi, il battaglione si avviò a piedi verso un villaggio a una sessantina di chilometri di distanza, da occupare e presidiare, venne il peggio. Il sole era gia cocente, le divise di panno e l'elmetto ne rendevano la sferza insopportabile. Insomma ci vollero tre giorni perchè il battaglione arrivasse, in pezzi a destinazione, accolto con sorrisetti dai carristi tedeschi che l'avevano dovuto attendere, perplessi, e che, comunque, mentre aspettavano, avevano saccheggiato e devastato quelle povere case con la metodica efficienza che li distingueva. Insomma gli strapelati italiani furono accolti come salvatori dalla gente del posto. La storia di sempre: i buoni italiani, soldati di un cattivo esercito".

La resistenza

   Miracolosamente scampati alle forze inglesi nel 1941, non tutti riuscirono ad evitare la furia tedesca all'indomani dell' 8 settembre 1943. Prima di imbarcarsi per l'Italia, il generale Carta "ordinò" ai nostri soldati, male armati e male equipaggiati, di non cedere ai tedeschi, mentre qualche giorno dopo il comandante di battaglione Galoppi li invitava a consegnarsi agli alleati di ieri.

   Sei ufficiali, fra i quali il tenente Oreste Villani, per coerenza, per dignità, per orgoglio, per avere intuito le contraddizioni di quella guerra e del "Regime", con una trentina di soldati volontari costituiscono un plotone che chiamano Moklos per analogia alla zona d'operazione, e organizzano la resistenza.

   II settimanale Epoca del 10 novembre 1951, anno II, n. 57, pag. 61 cosi scriveva: "...Ma gli episodi di valore individuale dell'ultima guerra, della guerra perduta, sono innumerevoli e non c'e ricordo o parola che possa renderli tutti noti o premiarli.

   Vorremmo farne conoscere uno, in queste giornate di memoria di guerra. Nell'isola di Creta, il 10 settembre 1943 due reparti del Corpo italiano rifiutano di consegnare le armi ai tedeschi e si danno alla macchia. Un reparto della 31^ batteria del LVII Gruppo Autonomo Artiglieria è comandato dal ten. Boemi, l'altro reparto, la 4^ compagnia mitraglieri del 265° Reggimento Fanteria è comandata dal tenente Villani. Per un bel un pò di tempo questo centinaio di soldati conduce una vita grama, sulle montagne brulle dell'isola, guardato con diffidenza dagli isolani abituati fino a poco tempo prima a considerare gli italiani come invasori. Dopo qualche mese, i tedeschi vanno all'attacco di questi reparti partigiani che, dopo scaramucce, fughe, combattimenti, vengono circondati e devono arrendersi. Cinque dei sei ufficiali sono immediatamente fucilati, il sesto, il tenente Villani, riesce nella notte a fuggire con alcuni uomini. II sottotenente Chiaia di Napoli si porta alla fossa che deve accogliere il suo cadavere cantando l'Ave Maria di Schubert.

   Il colpo alla tempia del boia tedesco gli tronca il canto a mezzo. Ma chi sapeva della bella morte del ten. Chiaia, caduto cantando, nel fiore dei suoi ventidue anni e delle peripezie del ten. Villani? E quale medaglia ha premiato il loro coraggio cui non fu necessario una guerra giusta per manifestarsi?"

Uomini e topi

   II ten. Oreste Villani allo sbando sopravvisse alla meglio, tormentato sempre da quell'immagine di morte che ancora oggi si porta nella mente e nel cuore, fino all'aprile del 1944 allorchè da un delatore ad Acridia fu consegnato alla Gestapo che lo sottopose ad ogni genere di torture credendo ch'egli fosse a conoscenza del rapimento del generale tedesco Kreipe che a Timpakì era stato rapito dagli inglesi ed imbarcato a bordo di un sommergibile. Per 10 giorni fu ospite del tetro carcere di Iraklion dove a torture si aggiungevano torture. Persino il cesso non dava pace perchè infestato da ratti sempre pronti ad afferrare i genitali nel momento in cui era necessario recarsi in quel posto per naturali necessità fisiologiche. Dal carcere di Iraklion passa a quello di Kanea dove si congiunge con altri ufficiali dello stesso reggimento, sorvegliati da aguzzini repubblichini. II 20 luglio 1944, giorno dell'attentato ad Hitler, i prigionieri di Soùda vengono imbarcati per Atene e fatti poi proseguire per la Germania. Il ten. Villani viene rinchiuso prima nel lager di Sambostel e poi in quello di Wietzendorf ad una decina di chilometri dal campo di sterminio di Belsen, dove certamente sarebbe finito se non fossero giunte le forze di liberazione dell'esercito inglese.

Triste ritorno

   Oreste Villani alla meglio riapproda nella sua Altavilla con un'Odissea nel cuore: lo tormentava il pensiero che la fossa scavata dai suoi compagni e nella quale essi giacevano non sarebbe mai stata ritrovata. Inizia da questo momento una intensa corrispondenza con il Ministero della difesa, nel tentativo di riportare in patria i resti mortali di quegli eroi sfortunati. I familiari dei caduti sanno che il tenente Villani è riuscito a salvarsi e gli rivolgono suppliche perchè indichi loro il luogo in cui giacciono i corpi. Dal Ministero della difesa sempre risposte negative circa il ritrovamento del luogo, fino a quando, siamo ormai negli anni sessanta, il tenente Villani di professione avvocato, decide di ripartire per Creta. Grazie alla sua generosa iniziativa, il capitano Bonifacio Costante, i tenenti Boemi Salvatore e Pugliese Pasquale, i sottotenenti Tea Giampaolo, Fienco Salvatore, Chiaia Virginio, i soldati Dellamassa Astorre, Bottazzi Mario, Di Pastena Rocco, Magro Benedetto, riposano in Patria. Il generale di brigata Delio De Santis, del ministero della difesa, Commissariato Generale onoranze Caduti in guerra, con una lettera datata 15 febbraio 1966 comunica ufficialmente l'avenuta traslazione delle salme.

Amore e pietà

   Ma perchè il tenente Villani con una caparbietà che gli appartiene e che rivela ancora in ogni circostanza, si è impegnato per oltre venti anni a realizzare il suo progetto? Sicuramente lo capiremo dalla lettura dell'Opera citata a pag. 242 che ci riporta all'isola di Creta, l'indomani dello sbarco tedesco, dove il mare spingeva a diecine i cadaveri dei soldati della Wehrmacht periti nell'affondamento di una nave da guerra."... Negli ultimi giorni di giugno (1941) Villari (Villani, n.d.r.) con il suo plotone mitraglieri, era stato distaccato in una località della baia di Mirabello, a qualche chilometro da S. Nicolaus. Proprio sul lungo tratto di spiaggia affidato alla sua sorveglianza, approdavano quasi ogni notte dei cadaveri di soldati tedeschi naufragati. I cadaveri rigonfi come palloni per il loro stato di avanzata decomposizione, avevano ormai perso ogni sembianza umana: somigliavano piuttosto a piccoli, informi cetacei espulsi dal loro elemento naturale per chissà quale catastrofe ecologica. Villari, puntualmente, il mattino presto arrivava sulla spiaggia col suo plotone e provvedeva al seppellimento. Anche di questa macabra operazione, che risultava oltremodo sgradevole per le mefitiche esalazioni di quella carne putrefatta, egli dava una sua versione comica, mimata: dapprima levava il dito insalivato per captare la direzione del vento, poi si avvolgeva il viso nel fazzoletto a mo' di mascherina, infine faceva l'atto d'iniziare la sepoltura. L'importante, diceva, era collocarsi "dalla parte giusta", ossia col vento alle spalle, in modo da non essere investiti dal lezzo cadaverico, altrimenti si correva il rischio di morire asfissiati. "Finalmente ho capito", concludeva, "che cosa significano le parole sottovento e sopravvento che da ragazzo, quando leggevo i romanzi di Salgari, m'erano sempre apparse assolutamente misteriose, incomprensibili".

   Villari però, non si limitava a sbarazzarsi dei cadaveri sotterrandoli in un improvviso cimiterino di guerra, ma con sentimento di autentica pietà ne raccoglieva anche i documenti personali: lettere, fotografie, documenti e tutti i segni distintivi della persona umana. Si proponeva di inviare queste reliquie ai familiari dei caduti con una lettera nella quale si dicesse che il loro congiunto aveva trovato cristiana sepoltura in quella parte dell'isola di Creta.

Sotto l'spetto beffardo, iconoclasta, Villari celava un cuore tenero".

Anche questa volta lo scrittore Baldi ha contribuito a fare emergere un'altra parte di quell' iceberg, che affiorerà completamente nella risposta di 0reste Villani ai congiunti di Della Massa, nel lontano ottobre 1945, ansiosi di conoscere la sorte del loro Astorre. "Fra le brulle montagne di Creta si annida un villaggio dominante una vallata ricca di acque e di olivi; a chi viene da Sitìa l'abitato non si svela se non quando il viandante è a pochi metri da esso, una ripida strada attraversa il paese fiancheggiata dalle sessanta case di pietra che lo compongono. KRIGIA', un atomo nel grande mondo che nessuna carta geografica giammai includerà nella sua planimetria, paese che nemmeno i cretesi di altre province conoscono, paese sconosciuto ai più ma giammai dimenticato dai pochi che vi vissero e vi lottarono. Quivi il destino costruì un rifugio a dei derelitti che il tradimento dei capi aveva messo nella dura alternativa di morire o di tradire, vi giunsero separatamente pressati da varie e diverse vicende, la sventura li unì, la sventura li separò. L'inverno fu duro ma non li piegò, il lavoro dei campi, la generosità della popolazione costituirono le risorse di vita: le baite, le grotte offrirono l'asilo per la notte. Venne la primavera, il sole divenne l'incontrastato signore di quella terra, ma esso illuminando i loro volti non riuscì a fugare l'ombra della morte che vi era scolpita, della morte che si celava dietro ogni pietra, dietro ogni albero, della morte che ogni giorno faceva sentire la sua voce nelle raffiche rabbiose dei mitra". ..."Mai più rivedremo la Patria, mai più rivedremo i nostri cari, ormai non vi è scampo; per ognuno di noi suonerà la propria ora". E per il fante Della Massa Astorre l'ora scoccò in quella tragica notte del 30 aprile 1944. Un rabbioso, lungo ed incessante latrato ruppe il silenzio della notte e la quiete dei monti che cullava il sonno degli abitanti ma non il nostro sempre agitato da incubi e da inquietudini. II lugubre concerto dei cani sembrava non dovere avere più fine, vi doveva essere qualcosa d'insolito e l'insolito per noi non poteva avere che una sola causa. Una donna scalza bussa la porta e con voce strozzata dice: "fuggite, i tedeschi". Troppo tardi, lassù nel firmamento splende la luna traditrice il cui splendore offusca quella dei razzi che già solcano il cielo; voci rauche, passi pesanti, ordini gutturali, colpi di fischietto fanno comprendere che il villaggio è circondato e che ogni tentativo di fuga è precluso. Ma laggiù presso l'ultima casa del paese un'ombra cerca di confondersi con quella degli ulivi, il cuore gli batte forte nel petto: "sono riuscito, son salvo. Mamma grazie, Ma...", un alt imperioso gli strozza la parola in gola, il gelo della morte gli si diffonde nel corpo, raduna tutte le sue forze e lancia il suo ultimo grido che noi raccogliemmo per non mai dimenticare: "Non m'ammazzate", un colpo di rivoltella fende il silenzio, poi più nulla. A valle del villaggio di Krigìa, fra l'azzurro del lino ed il verde perenne degli ulivi, il fante Della Massa Astorre dorme il sonno eterno che le placide acque del suo lago non potranno giammai cullare."

Avvocato, gli ho chiesto, è vero che il tenente Chiaia mentre andava a morire cantava l'Ave Maria di Schubert? Due lacrimoni hanno solcato il suo volto mentre un monosillabo indecifrabile ha smosso la sua bocca troppo riservata per svelare altre cose che sono scolpite solo nel suo animo di soldanto gentiluomo.

( da “Il Corso” – anno III n. 11 – 1988 )