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Mario GAROFALO
ALLE ORIGINI DEL SOCIALISMO IN IRPINIA
FERDINANDO CIANCIULLI
Estratto
Pg. 97 - 101
DAL 1911 AL 1914
Il quinquennio 1911-1915 registra il massimo sforzo del Cianciulli in direzione di un inserimento dello sparuto movimento socialista irpino in un ambito interregionale. Stringe rapporti organizzativi e di collaborazione con i più influenti esponenti del socialismo campano (Fasulo, Alfani, Turi, Bordiga e il gruppo del circolo «C. Marx»), della Basilicata (Di Napoli, Ciccotti, Cautela), della Calabria (Mancini), dell'Emilia Romagna (Mussolini, Bombacci, Ferri) e persino di alcune regioni settentrionali come il Friuli Venezia Giulia (Musatti, Serrati). È presente nei più importanti consessi regionali e nazionali del partito. Il terreno comune di lotta è ancora una volta l'antiriformismo e l'antimilitarismo, sul cui fronte in quegli anni era impegnata l'estrema sinistra del partito ed i giovani della FGS. Il Cianciulli si sposta su posizioni di intransigenza. Ma, pur alimentandosi al rigoroso marxismo bordighiano, il suo intransigentismo rimarrà di vecchia maniera, imbevuto com'è di vetusti miti massimalisti e positivisti, di tipo fideistico e messianico, come l'unitarismo del partito e la ineluttabile vittoria storica del Socialismo. Né il suo antimilitarismo, che pure accoglie proposte e formulazioni teoriche nuove (dall'anti-herveismo alla istituzione de «il soldo al soldato»), riuscirà sostanzialmente a discostarsi dal pacifismo secondinternazionalista e da una mitica concezione della guerra quale «orrido mostro» divoratore di cose e di uomini. È anche vero, peraltro, che le condizioni obiettive per la formazione di un'avanguardia rivoluzionaria mancavano nell'Irpinia del tempo, dove era ancora da perseguire una difficile opera di aggregazione tra miseri contadini delle campagne e le masse povere dei paesi e delle contrade, facendo leva più sulla loro ansia di redenzione dal bisogno che su di una embrionale, e spesso inesistente, coscienza di classe. Le vicende politiche di questo periodo, anzi, segnano l'ascesa, sempre più determinata, dei ceti medi e piccolo-borghesi, che inseguendo senza scrupoli una logica di potere non esitano a rompere con già professate fedi e milizie politiche, per confluire in schieramenti di tipo bloccardo, come il Blocco d'ordine liberale ed il Fascio democratico costituzionale, attestati su posizioni moderate e talvolta reazionarie, nei quali convivono senza disagio liberali e radicali, costituzionali e repubblicani, nazionalisti e socialriformisti e persino clericali.
Il partito socialista irpino vive i suoi anni più difficili: già esiguo per forza numerica, conosce defezioni e lacerazioni interne; è isolato e sconfitto nella sua campagna antitripolina, nelle varie competizioni elettorali, nella campagna antinterentista. I suoi pochi indomiti dirigenti sono sottoposti dagli avversari ad una concentrica azione di bersagliamento, che va da dotte intonazioni di de profundis ideologici (1) a veementi attacchi personali sulla stampa provinciale, fino alle intimidazioni ed alla violenza fisica.
Il 31 dicembre 1910 Ferdinando sposò, con rito civile, Giovannina Morrone, che fu per lui compagna fedelissima di vita e di ideali (2). Sull'isola di Capri, dove in gennaio con la giovane consorte si trovava in luna di miele, apprese della grave sciagura avvenuta nelle miniere sulfuree di Altavilla Irpina e dei successivi tentativi di scioperi e di resistenza intrapresi dai minatori.
La sera del 7 gennaio, nella miniera Nuova Vittoria di proprietà della Società Immobiliare, dopo il brillamento delle mine focolai residui non controllati avevano provocato lo svilupparsi di un incendio, nel quale avevano perso la vita, oltre al vecchio custode di anni 72, altri sette operai, tutti giovani dai 17 ai 36 anni di età. L'immediata inchiesta, che ne era seguita, si era limitata a prendere atto della fatalità dell'evento, senza individuare responsabilità di alcun tipo nella parte padronale, soltanto evidenziando una scarsa opera di vigilanza, che peraltro a nessuno poteva essere addebitata. Questa ennesima «inutile disgrazia» (3) aveva indignato i minatori della vicina Miniera Sociale, che la mattina di martedì 10 gennaio erano scesi in sciopero pressoché compatti (circa 100), con la richiesta di più «sicure» condizioni di lavoro, accanto ad una diminuzione dell'orario giornaliero ed a miglioramenti salariali. Dopo cinque giorni di sciopero spontaneo, le cui modalità non erano state concordate con la locale Camera del Lavoro diretta dall'avv. Carlo Giordano, il quale si rifiutò di guidare l'azione dei minatori (4), questo era mestamente rientrato. Dietro vaghe promesse di miglioramenti gli operai avevano ripreso il lavoro la mattina del lunedì 17 gennaio.
Il Cianciulli affrettò il rientro dal viaggio di nozze, nella speranza di suscitare una ripresa delle agitazioni. Ma la sua presenza fra i minatori di Altavilla e di Tufo ed i colloqui avuti col Giordano e con il presidente del locale circolo operaio Carmine Rossi furono purtroppo infruttuosi. Il commento de «Il Grido» fu di rabbiosa amarezza:
Vi è troppa viltà, vi è troppo servilismo, vi è troppo abbrutimento in questi schiavi per potersi ribellare alla volontà del prete e del padrone, e domandare un po' più di pane per la famiglia (5).
E tuttavia la calorosa fede che sempre emanava dalle sue parole era riuscita ad accendere l'entusiasmo di un nucleo di giovani altavillesi, che di lì a pochi mesi avrebbero costituito il Fascio Giovanile Socialista di Altavilla (6). Quasi contemporaneamente Carlo De Rosa costituiva a Calitri una Società Operaia di Protezione e ad Avellino, sotto l'impulso dato dai partiti popolari, sorgeva una Lega di resistenza fra tipografi che aderiva alla Federazione Nazionale.
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- I Cfr. l'art. di A. De Marsico La fine di un ismo, in «Il Nuovo Giornale », 1° nov. 1911, che riprendeva il noto intervento di B. Croce, La morte del socialismo apparso su «La Voce» del 9 febb. 1911.
- Giovannina Morrone, nata ad Avellino nel 1876, insegnante elementare nelle scuole comunali di Cassano Irpino, partecipò intensamente all'attività propagandistica del partito a Montella fin dalla prima giovinezza. Accanto a Ferdinando si era impegnata a sostenere la candidatura protesta di E. Ferri nelle elezioni del 1904, che a Montella raccolse 96 voti (cfr. «La Propaganda», 17 febb. 1907). Nello stesso anno era stata firmataria della petizione per la liberazione del brigante Alfonso Carbone, condannato ai lavori forzati a vita (cfr. «Corriere dell'Irpinia», 25 apr. 1925). Nei primi anni coniugali fu collaboratrice assidua de «Il Grido», sul quale trattò la questione femminile e temi di un socialismo umanitario e sentimentale. Di G.C. (Giovannina Cianciulli) sono gli articoli apparsi su «Il Grido»: La nostra redenzione (8-9 genn. 1911); La vita del popolo (1-2 febb. 1911); Un beccamorto del socialismo (28-29 apr. 1911); L'epopea del lavoro (31 maggio 1911); La donna e il socialismo (24 apr. 1920). Curò, inoltre', per il giornale la corrispondenza da Cassano fino al 1915. Nell'agosto del 1911, nei locali della sezione avellinese della Federazione Internazionale del Libero Pensiero, tenne una conferenza su La donna di fronte al clericalismo. Dopo la morte del marito e l'esito del processo, che non assicurò gli assassini alla giustizia, madre di tre bambine tutte in tenerissima età, si rinchiuse in un dignitoso ed austero silenzio. Durante il fascismo, tenuta sotto sorveglianza e più volte «invitata» a mantenere «condotta regolare», fu costretta a dare alle fiamme tutti i libri e le carte del marito. Dedita esclusivamente alla professione, si spense il 24 maggio 1939, all'età di 63 anni a Montella.
- 3 Gli insufficienti ed arcaici sistemi di protezione e di sicurezza rendevano frequenti gli incidenti nelle miniere. Soltanto un mese dopo, il 18 febbraio 1911, un altro minatore moriva nelle miniere di proprietà del Di Marzo. Nel 1880 avevano perso la vita 18 operai. Né la rischiosità del lavoro veniva compensata da adeguati livelli salariali. La paga giornaliera dei «lavoratori esterni», addetti al trasporto dello zolfo, reclutati nella maggior parte tra i ragazzi dai 12 ai 15 anni, andava da L. 1,00 a L. 1,30; quella dei braccianti era di L. 1,40; mentre quella dei minatori oscillava da L. 2,70 a L. 3,25 (cfr. «L'Irpinia nuova», 14 genn. 1911).
- Il Giordano fu inspiegabilmente irremovibile. Rimase insensibile persino alle sollecitazioni rivoltegli da Guido Podrecca, presente il 14-15 gennaio in Avellino per tenere una conferenza anticlericale su «Fede e Morale» nei locali del teatro comunale.
- « Il Grido », 1-2 febb. 1911.
- Ivi, 13-14 ag. 1911.
Pg. 122 125
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Nell'Irpinia non esiste una vera contrapposizione di una classe di sfruttatori a una classe di sfruttati: la famiglia qui si asside sulla piccola proprietà, sulla breve cerchia della quale si gradua tutta la sua attività ed economia: qui siete un po' tutti proprietari. Ma se nelle terre d'Irpinia non esiste il grande cozzo delle classi, la lotta del lavoro con il capitale, voi avete pur sempre una battaglia da combattere ed è la battaglia per l'epurazione delle pubbliche amministrazioni dai solidi nuclei di camorre che l'aduggiano, per dar tono di elevazione alla vita civile (1)
Prevalse nettamente il Caputi, con 5.095 voti, su Covotti (v. 1.593) e su O. Franza il quale, nonostante gli innumerevoli episodi di corruzione, di prepotenze, di ostruzionismo per impedire il voto degli elettori socialisti, di brogli d'ogni specie perpetrati dagli avversari e dai funzionari governativi (2), riuscì a conseguire 2.513 voti ed a riportare sul Caputi una schiacciante supremazia nel capoluogo del collegio, dove ebbe il pieno appoggio elettorale della fortissima Lega dei Lavoratori del Campo e della maggior parte degli iscritti alla Società Operaia «P.S. Mancini».
Una candidatura di bandiera si rivelò quella di Remigio Pagnotta, restio fino all'ultimo ad accettare la designazione del partito, nel collegio di Avellino, dove la lotta, incertissima nella prevedibilità dei risultati, fu tutta tra l'uscente A. Di Marzo (3), che godeva del sostegno ufficiale della chiesa, ed il radicale A. Rubilli che, lontano ormai dalle posizioni anticlericali della sua prima milizia politica, poteva contare sull'appoggio di una parte del clero e soprattutto su quello del gruppo facente capo al sindaco della città Aster Vetroni. La vittoria, di strettissima misura, arrise al Rubilli, con 4.856 voti contro i 4.724 del Di Marzo. Il Pagnotta, la cui sconfitta appariva scontata in partenza, riportò appena 71 voti e fu evidente il dirottamento sul nome di Rubilli della maggior parte dei suffragi socialisti del collegio.
I risultati nei rimanenti collegi della provincia fecero registrare la massiccia ed incontrastata avanzata dei liberali (4).
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- 1 II discorso di Bissolati, tenuto il 5 ottobre, è riportato in «La riscossa del popolo», 12 ott. 1913. Per il viaggio elettorale nel meridione del leader socialriformista cfr. l'aggiornata biografia di U. Alfassio Grimaldi - G. Bozzetti, Bissolati, Milano 1983, pp. 140-143.
- Cfr. « Il Grido », 8 nov. 1913.
- La figura dell'industriale di Tufo fu particolarmente presa di mira dagli ambienti politici avversari, dove veniva ironicamente soprannominato «Vispa Teresa». Sul Di Marzo intervenne anche l'«Avanti!» del 15 luglio 1913 con questo caricaturale trafiletto: «È una delle più graziose macchiette di Montecitorio, ove è meglio noto come... Vispa Teresa. È deputato per censo del collegio di Avellino ed è un bravo figliuolo. È venuto alla Camera assolutamente privo del bagaglio noioso delle idee, del programma, dei principi, ecc., ma con in tasca l'ultimo giocattolo della sua infanzia, per sollazzarsi con esso nelle sedute monotone e con nell'altra un binocolo per ammirare le signore delle tribune o per farsi ammirare da esse. Non avendo un programma, non ha neppure un posto fisso. Gironzola, salterella da un settore all'altro della Camera, con la inquieta giocondità di un fanciullo, scambiando con tutti una parola, una stretta di mano. Solo quando parla un ministro o un deputato di opposizione egli resta presso il banco del Governo, acciocché si noti bene che egli è pienamente d'accordo con sua Eccellenza e che deplora i blasfemi dell'oratore avversario. Ma esaurita questa sua incombenza, se ne va... "saltando giocondo, che male ti fo? " ».
- Nel collegio di Atripalda: eletto Carlo Vittorio Cicarelli (v. 4904), non eletto Carmine Preziosi (v. 4180); nel collegio di Lacedonia: eletto Luigi Capaldo (v. 6842), senza competitori; nel collegio di Mirabella Eclano: eletto Alfredo Petrillo (v. 5761), non eletti Francesco Paolo Sgobbo (v. 3775) e Adolfo Del Conte eliminato al 1° scrutinio; nel collegio di S. Angelo dei Lombardi: eletto Camillo Ruspoli (v. 4746), non eletti
Pg. 151 – 153
LA RICOSTRUZIONE DEL PARTITO
(1919-1922)
Nell'immediato dopoguerra, le condizioni delle masse popolari irpine si presentavano drammaticamente disagiate, angustiate come erano dai problemi della disoccupazione, del generale ed incontrollato aumento del costo della vita — con un rincaro abnorme dei prezzi dei generi alimentari — e, in non pochi casi, della crisi del tradizionale nucleo familiare, privato dalla guerra del sostegno lavorativo delle braccia maschili. Né si potevano considerare soddisfacenti le condizioni di quelle categorie a reddito fisso, come dipendenti pubblici, postelegrafonici, ferrovieri, che si vedevano buona parte della retribuzione erosa dal nuovo fenomeno inflattivo. Né tanto meno le conquiste sindacali del «biennio rosso» investirono le categorie operaie dell'Irpinia, legate a quei settori dell'economia che già la guerra aveva gravemente penalizzato privilegiando lo sviluppo delle industrie siderurgiche, meccaniche, chimiche e tessili, praticamente assenti nella provincia di Avellino.
Di qui l'esplosione del malessere e della collera sociale delle popolazioni con manifestazioni di protesta, tumulti, assalti ai municipi e saccheggi di negozi, che si verificarono in molti comuni della provincia: a Lacedonia, a Rocchetta S.A., a Orsara di Puglia, a Grottaminarda, a Calitri, a S. Arcangelo a Trimonte, a Mirabella, a Montemiletto, a Montoro Inferiore, a Solofra, ad Altavilla Irpina, a Montella, a S. Martino V.C. (1). Furono quasi sempre dimostrazioni a carattere spontaneo, non guidate e disorganizzate, che si esaurivano in poche ore nel circoscritto ambito locale, facilmente sedate da vaghe promesse del sindaco o di qualche accomodante notabile o funzionario pubblico.
Di qui gli sporadici tentativi di invasione di terre incolte o mal coltivate da parte dei contadini e dei reduci dell'Alta Irpinia: tentativi di occupazione di terre che, in una provincia dove prevalente era la presenza della piccola proprietà coltivatrice e dove spesso le figure del salariato e del minimo possessore si identificavano, interessarono unicamente quei comuni, come Orsara, Lacedonia e Rocchetta S.A., posti al confine con la Capitanata, dove il fenomeno conobbe una forte estensione. Ma si trattò anche in questi casi di modeste sommosse senza coordinamento e senza precisi obiettivi, che malaccortamente guidate da socialisti o da ex combattenti finirono ancor di più con il dividere e l'inasprire i rapporti delle parti interessate.
Di qui, ancora, gli scioperi che interessarono nel '20 e nel '21 i nuclei operai delle pelletterie di Solofra e delle miniere di Altavilla e Tufo, nonché quelli dei postelegrafonici e dei ferrovieri, che erano allora le sole categorie organizzate in leghe e sindacati.
Il partito socialista irpino, che al termine dell'evento bellico si ritrovava frantumato e acefalo, tutto proteso in uno sforzo di faticosa ricostruzione, non riuscì mai a controllare e a coordinare questi diffusi fermenti di rivolta sociale, che però rimasero ancora una volta strumento di ascesa personale o politica dei vecchi notabili locali o dei gruppi politici da sempre dominanti (2). Privi di qualsiasi struttura organizzativa, tutti presi dalla volontà di ricucire gli strappi provocati dalla guerra, ríaccesi da un rinnovato quanto verboso fervore rivoluzionario, i socialisti irpini, nel clima incandescente del dopoguerra, non seppero cogliere l'occasione per organizzare il pur vasto movimento di protesta, mettersi alla testa di esso e convoglíarlo verso possibili concreti sbocchi politici.
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- Cfr. A.C.S. Ministero degl'Interni, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati (d'ora in avanti A.0 S., PS), 1920, bb. 46, 70. Cfr., inoltre, le cronache dei periodici, aa. 1920-1921, « Don Basilio », « Il Rinnovamento Irpino », « Azione popolare », « Il Grido ».
- Sulla strumentalizzazione delle agitazioni contadine del Mezzogiorno da parte dei gruppi e partiti politici conservatori e della stessa sinistra, cfr. le osservazioni di M. Bernabei, Leghe bianche, leghe rosse e lotte per la terra nel primo dopoguerra, in Mezzogiorno e fascismo, Napoli 1978, pp. 193-197. Cfr. anche la lucida autocritica socialista fatta da Serrati, in « Avanti! », 16 díc. 1920.
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Pg. 156 – 158
Per la partenza al fronte della maggior parte degli iscritti, sezioni e circoli socialisti, fin dall'autunno del 1915, si erano letteralmente sfaldati. Nella bufera della guerra l'unica a restare in piedi, sia pur nominalmente e praticamente inefficiente a causa della repressione governativa, era stata la sezione di Avellino, retta dal Pagnotta, con i suoi 12 iscritti. All'indomani del conflitto il partito socialista irpino si ritrovava quindi decimato e organizzativamente assente in tutta la provincia. L'obiettivo primario da perseguire che al Cianciulli si presentava, al suo ritorno dalla guerra, era perciò quello della rifondazione del partito ab imis. Distaccatosi definitivamente da quei compagni che con lui avevano costruito il partito nell'anteguerra — Franza, Sansone, Pelullo, De Rosa —, avviati ormai su altri percorsi politici; abbandonato di lì a poco dallo stesso Pagnotta, che sfiduciato e stanco preferirà imbarcarsi sulla pericolosa rotta della speculazione finanziaria, il Cianciulli — sull'onda di quel generale ottimismo che sembrò impadronirsi dei socialisti italiani nell'immediato dopoguerra, che ad essi parve un momento carico di germi di mutamento sociale e politico — si immerse con febbrile lena in un'opera indefessa di ricostruzione delle strutture organizzative del partito. E i risultati non tardarono a venire: nel volgere di poco più di un anno, a tutto il 1920, gli iscritti salirono da 12 a 161 (1); al settembre 1921 le sezioni socialiste costituitesi in Irpinia ammontavano a 12, un numero mai raggiunto fino ad allora. Soprattutto riuscì il Cianciulli a guadagnare alla fede e al partito socialista un numero considerevole e omogeneo di dirigenti e di compagni, dislocati su tutto il territorio provinciale, i quali assicurarono una costante presenza propagandistica ed un'azione di «resistenza» politica, i cui frutti non andranno perduti durante il fascismo e la massiccia ripresa della sinistra del secondo dopoguerra.
I gruppi più importanti furono: quello di Solofra, con Vincenzo Napoli (2), Emanuele Papa, Francesco Barbarisi, Angelo Antonio Famiglietti; quello di Calitri, con Pietro Borea (3), Gaetano Acocella, Francesco De Franco, Giuseppe Inverso, Alfonso Lampariello, Giulio Panelli; quello di Ariano, con Ireneo Vinciguerra (4), Palmerino De Furia, Leonardo Miressi, Gianuario. Ma vanno ancora ricordati: Enrico Grieco a Bonito; Osvaldo Bartolino (5) a Luogosano; Antonio Parise a Calabritto; Giovambattista Arminio a Lacedonia; Vito Nigro a Bisaccia; Pietro Cristino e Domenico Caccese a Montecalvo; Giovanni Granata a Cassano Irpino; Salvatore D'Avella ed Antonio Pisano ad Altavilla Irpina; Antonio Genovese, Domenico Amato, Antonio Boffa, Beniamino Criscuoli e Giuseppe Pisaniello a S. Martino V.C.; Venanzio Bonazzi e Gennaro Maffei ad Atripalda; i gemelli Giuseppe e Lazzaro Battista, Luigi Marano ed i fratelli Giuseppe e Luigi Iacovino ad Avellino.
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- Cfr. Almanacco socialista 1921, cit., p. 467.
- Per cenni biografici di V. Napoli, già seminarista col Cianciulli a Benevento, poi spretato e sindaco socialista di Solofra, v. Appendice I in questo volume.
- Pietro Borea, contadino, detto « Panco », era conosciuto come « Borea il disertore », per aver appunto disertato durante la guerra (cfr. A.C.S., C.P.C., b. 750). Alle schede nominative del C.P.C. si rinvia per notizie su tutti i socialisti citati.
- L Vinciguerra (1887-1954), avvocato di Ariano, dopo essere stato in gioventù seguace del giolittiano on. E. Caputi, si converti definitivamente al socialismo nel 1908, dopo aver subito l'influenza di O. Franza e dell'avv. Scalone, noto socialista arianese. Eletto consigliere comunale socialista nelle amministrative del 1920, fu nel dopoguerra segretario della sezione del PSI di Ariano. Membro del Comitato Antifascista della Campania, fu sottoposto dal regime a severa sorveglianza. Durante il fascismo esplicò la sua professione nei processi politici a difesa dei suoi compagni di fede. Fu corrispondente dei giornali « Roma » e « Il Mondo ». Si dichiarò fautore di una fusione con i comunisti nel 1926. Eletto deputato alla Costituente, dopo la scissione di palazzo Barberíni nel '47, passò nelle fila del PSDI, vicino alle posizioni di G. Romita. Nel 1950 fondò e diresse il periodico socialdemocratico « La riscossa ». (Cfr. A.C.S., C.P.C., b. 5249; AA.VV. (a cura di), La città di Ariano Irpino a Ireneo Vinciguerra, Avellino 1985).
- 0. Bartolino, detto « Oreste », nativo di Pratovecchio (Arezzo), si era trasferito a Luogosano…
Pg. 163 – 165
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Il 1920 fu per il socialismo irpino un anno denso di lotte e di consistenti risultati a livello organizzativo.
Nella seconda metà di gennaio i socialisti furono al fianco dei postelegrafonici in una agitazione contro le inadempienze del governo, che cedette alfine arrivando persino a retribuire le cinque giornate di astensione dal lavoro. Furono alla guida dello sciopero che per dieci giorni — dal 19 al 28 gennaio — interessò i ferrovieri della zona di Avellino, i quali aderivano ad una vasta vertenza di categoria che, accanto alle vecchie richieste di aumenti salariali, di diminuzione dell'orario di lavoro e di garanzie contro l'arbitrio disciplinare, rivendicava al primo posto il riconoscimento del diritto di sciopero e della libertà di organizzazione. Lotta, questa, durante la quale si alternarono momenti di tensione e di indecisione (la partecipazione, all'inizio massiccia, andò via via assottigliandosi per divergenze di opinione, per defezioni dettate da improvvisi timori), ma che, anche per il suo esito positivo — tra l'altro i ferrovieri si videro accolta la richiesta delle otto ore di lavoro —, determinò all'interno del Sindacato Ferrovieri la vittoria della tendenza intransigente e rivoluzionaria, portata avanti da un nutrito gruppo di ferrovieri al contempo militanti nelle fila del partito socialista: Umberto Moriconi (1), Saverio Possemato (2), Carmine Guacci, Gennaro Maffei, Venanzio Bonazzi, Ettore Marino, Ciro Padiglione, Giuseppe Francavilla.
E fu il socialista V. Napoli l'animatore degli scioperi che, tra marzo e aprile, fermarono il lavoro nelle pelletterie di Solofra e nelle miniere di Tufo e di Altavilla; mentre il Cianciulli accorreva a portare il verbo socialista in quei paesi ove, soprattutto nel periodo primavera-estate, il malcontento generato dalla grave situazione alimentare esplodeva in tumultuose manifestazioni di piazza. Lo ritroviamo a Luogosano, dove un suo comizio viene artatamente disturbato dal suono delle campane della chiesa; a Mírabella, dove insieme al Venditti viene fatto segno ad azioni di rappresaglia; a Solofra, con Papa, Moriconi e Napoli, e ad Avellino con Pagnotta, Guacci e Bruno Giordano (3) in occasione degli scioperi indetti per il 1° maggio; ad Altavilla, dove i minatori per protesta contra la deplorevole condizione annonaria assaltano il municipio; a Montella, ove spesso i suoi comizi vengono proibiti per ragione di ordine pubblico.
Concreti frutti di tanto impegno si potevano cogliere intanto sul versante della diffusione e della organizzazione del partito. In quell'anno altre sei sezioni socialiste andarono ad aggiungersi a quelle di Avellino e Montella: in aprile quella di Mirabella, in maggio quella dí Rocchetta S.A., nel mese di luglio quelle di Solofra e di Ariano, ín settembre quella di Atrípalda, ín novembre quella dí Lacedonia.
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- Umberto Moriconi, nato ad Ancona il 1878, fu in servizio nelle ferrovie. Membro del Sindacato Ferrovieri di Avellino, fu alla testa di tutte le agitazioni e gli scioperi della sua categoria nel dopoguerra. Rappresentò il S.F. di Avellino al Congresso nazionale dei ferrovieri tenutosi a Bologna nel luglio 1921. Nominato, nell'agosto del '22, membro della Commissione Esaminatrice, insediata a Bari, per l'avanzamento di grado degli aspiranti ferrovieri, rifiutò l'incarico, mettendosi alla testa di un gruppo di scioperanti del Deposito Movimento di Avellino, persistendo nell'azione di protesta per circa otto giorni. Nel giugno 1923 fu esonerato dall'impiego per scarso rendimento. Tenuto sotto stretta sorveglianza, durante il fascismo fu fiduciario del PSI per la provincia di Avellino. Tenne corrispondenza con l'on. De Nobili, Nenni e con il vice segretario del partito Enrico Mastrocelli. Nel dicembre 1926 veniva diffidato. Nell'aprile del 1931, allontanatosi dalla politica attiva, si impiegava presso una ditta di autotrasporti di Avellino (A.C.S., C.P.C., b. 3419). Nel 1931, con lo pseudonimo « Alfa », divenne un informatore della polizia politica fascista (O.V.R.A.); (cfr. le sue « relazioni » del 26 gennaio, 3 febbraio, 18 febbraio, 2 marzo 1931, in A.C.S., P.S., Divisione Polizia Politica, 1926-1945, pacco 198).
- Saverio Possemato, nato a Napoli nel 1899 , in possesso di diploma di scuola industriale, prestò servizio nelle ferrovie a partire dal 1° ottobre 1916 , in qualità di allievo fuochista. Con Moriconi, Guacci e Maffei fu l'animatore di tutti gli scioperi dei ferrovieri di Avellino nel dopoguerra. Inviato, per punizione, presso il deposito locomotive di Trento nel novembre 1919 per circa tre mesi; nel maggio del 1921 gli venivano inflitti 40 gg. di sospensione dall'impiego e dallo stipendio. Confinato successivamente nella secondaria stazione ferroviaria di Lioni, veniva nuovamente punito con 70 gg. di sospensione. Passato nel partito comunista, continuò la sua attività di agitatore, fino a quando, nell'agosto del '22, su proposta della Divisione di Napoli, non venne espulso dall'amministrazione ferroviaria. Fu socio, nel '22-'23, del Circolo di cultura proletaria di Avellino. Arrestato nel maggio del 1923 a Marsiglia per aver tentato l'espatrio clandestino, riuscì nell'ottobre ad imbarcarsi e a raggiungere il nord America. (A.C.S., C.P.C., b. 4096).
- Bruno Giordano, nato a Montefredane nel 1892, esercitò in Avellino la professione di avvocato. Segretario del Fascio Giovanile Socialista, costituito in Avellino nel 1909, fu molto attivo nelle manifestazioni del partito nel primo dopoguerra. Passato nelle fila del partito comunista, fondò con Alfredo Pastena la cellula comunista «Liebknecht». Durante il fascismo, fu in contatto con i più noti comunisti irpini, come Gaetano Iandoli, Vincenzo Galasso, Francesco Gatta e Giovanni Granata. Lettore dell'«Ordine nuovo» di Gramsci, tenne anche corrispondenza con Ettore Gaetani del giornale «La Giustizia» di Milano. Arrestato in Avellino il 21 settembre 1926 per attività sovversiva, dopo aver goduto della libertà provvisoria, venne definitivamente assolto dalla Corte di Appello di Napoli nel 1928. Partecipò alla seconda guerra mondiale con il grado di capitano. (A.C.S., C.P.C., b. 2421). Dal 1945 fu direttore dell'organo di stampa della Federazione Comunista Irpina «Il lavoratore. irpino».
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La scissione di Livorno e l'operato stesso dei delegati irpini al congresso non mancarono di generare disorientamento ed un certo malcontento tra i militanti del partito, che nelle assemblee precongressuali pur avevano espresso in maggioranza un orientamento comunista «antiunitario», e fu soprattutto per un'azione doverosa di chiarificazione e di ricerca unitaria di indirizzo politico ed operativo che dalla Federazione venne indetto il 3° congresso dei socialisti irpini, tenutosi a Solofra nei giorni 13 e 14 marzo nel salone della Lega Pellettieri. Dalle animose discussioni di quella riunione non dovette emergere unità di vedute, né a dissipare le incertezze dovette bastare l'autorità del Cianciulli, se la finale decisione sul comportamento del partito e sulla strategia politica da tenere veniva rimessa alle indicazioni della Direzione del PSI di Roma, dove al più presto si sarebbe recata un'apposita commissione di socialisti irpini (1). I lavori del convegno ripiegarono, quindi, sul dibattito intorno alla stampa del partito, con un caloroso plauso alla importante ed insostituibile azione svolta da «Il Grido», e sulla questione del reclutamento e dell'organizzazione, con un incoraggiante bilancio dell'operato delle sezioni ed un particolare riconoscimento alla combattività dei movimenti operai di Solofra, di Altavilla, di Tufo e di Petruro (2), i quali proprio in quei giorni avevano dato una nuova vittoriosa prova di forza con lo sciopero e la successiva occupazione, durata 8 giorni, della miniera SAIM da parte dei minatori di Altavilla (3). Prova che seguiva a pochi giorni di distanza da una massiccia protesta, promossa dal Moriconi, di 150 ferrovieri iscritti al SFI di Avellino contro le inadempienze del governo sui patti concordati dopo gli scioperi del gennaio 1920 (4).
La convocazione dei comizi elettorali per il rinnovo anticipato delle camere, fissata per il 15 maggio, acquetò, intanto, le polemiche postcongressuali tra i socialisti irpini, che in fronte unico e compatto si ritrovarono a sostenere il Cianciulli, candidato per la prima volta al Parlamento nazionale.
L'allargamento della circoscrizione elettorale — 5^ dei 34 collegi della penisola —, che affiancava l'Irpinia alle vicine province di Benevento e Campobasso, aveva favorito la formazione di un vasto e composito schieramento di forze politiche, che si fronteggiavano in ben otto liste di candidati. Al nastro di partenza si presentava come la più forte quella del Partito Democratico Sociale (stemma: Stella a cinque punte), nata dall'accordo tra l'Unione Democratica Irpina di Rubilli e Tedesco e la sannita Democrazia Sociale di Raffaele De Caro e Vincenzo Bianchi. Concorrente molto agguerrita appariva la lista di «blocco nazionale» del Partito Liberale Democratico Riformista (stemma: Tre anelli intrecciati), che accoppiava in un connubio tipicamente trasformistico candidati provenienti da disparate esperienze politiche, talvolta opposte, in passato, l'una contro l'altra, come il salandrino e futuro fascista Petrillo, i clericomoderati F. Biondi Morra e Cicarelli, il liberale di destra Di Marzo e gli ex socialriformisti Basile (che aveva scelto la lista in funzione di una contrapposizione personale al De Caro) e Franza, che aveva a sua volta abbandonato il gruppo di Unione Democratica Irpina (5). I Combattenti erano in lizza con due liste, la prima (stemma: Aratro con elmetto) presentava candidati pressocché sconosciuti e di inconsistente peso elettorale, mentre la seconda (stemma: Elmetto con l'aquila ad ali spiegate) esibiva un solo candidato, l'avellano Pasquale Vittoria, personaggio con larghissimo seguito tra le organizzazioni combattentistiche. Erano inoltre presenti il fortissimo Partito Democratico Liberale (stemma: Stella ad otto punte), il nittiano Partito Indipendente (stemma: Due buoi aggiogati all'aratro), capeggiato dal massone Giovanni Baviera, docente dell'ateneo napoletano di origini siciliane, ed il Partito Popolare Italiano (stemma: Scudo crociato col motto«Libertas»), rappresentato per l'Irpinia dal presidente della sezione avellinese Modestino Romagnoli, dall'avvocato Michele Sampietro, dal conte Mario Cenci Bolognetti e dal deputato uscente Vincenzo Boccieri. In tale contesto la concorrenza del Partito Socialista Italiano (stemma: Falce, martello e libro) aveva scarsissime possibilità di successo. La stessa partecipazione elettorale, caratterizzata da una assoluta intransigenza («soli contro tutti») e dall'assenza di un programma che non fosse il tradizionale richiamo ai principi ed ai postulati del socialismo («per gli interessi del proletariato, contro quelli della borghesia»; «per la vita contro la morte, per la civiltà contro la barbarie») (6), era stata voluta, del resto, più per una esigenza di verifica numerica della propria forza, dopo lo scisma livornese, che per una convinta volontà competitiva. Obiettive difficoltà erano state subito riscontrate dalla Direzione nel formare la rosa dei 18 candidati, tre dei quali erano stati reclutati al di fuori della circoscrizione: dal salernitano, da Roma e persino dalla Sardegna. Dei rimanenti 15, otto appartenevano al Molise, quattro al beneventano e soltanto tre all'Irpinia (7). Era stata così varata una lista di candidati raccogliticcia e politicamente eterogenea, ma che ben fotografava la composizione sociale del partito nelle zone meridionali: di essa facevano parte 6 avvocati, 2 laureati, 1 pubblicista, 1 impiegato, 4 ferrovieri, 4 esponenti delle categorie operaie (un muratore, un ebanista, un tipografo, un minatore), e nessuna presenza contadina. Ciò nonostante i socialisti riuscirono a conseguire un risultato lusinghiero quanto inatteso: 4.872 voti di lista — ma insufficienti per il raggiungimento del quoziente - nell'intera circoscrizione, e il maggior numero di suffragi venne proprio, e non a caso, dall'Irpinia (2.238 voti), dalla provincia cioè che, rispetto a Benevento e Campobasso, aveva registrato nell'ultimo ventennio un più continuo e coerente impegno propagandistico ed organizzativo. Al Cianciulli andarono 779 voti di preferenza, risultando il quinto nell'ordine di lista tra i preferiti (il primo fu l'avv. Salvatore Pannunzio di Agnone) (8). Con legittimo orgoglio, quindi, il montellese, preso da fervore, poteva esclamare:
la provincia di Avellino, la Cenerentola , ha dato a noi un risultato magnifico, imprevisto [ ...] Nessuna sosta nella lotta, che continua con fervore. Nessuna esitazione. Vi è da guardare più ín alto, dove sta la vita, il sommo della vita! (9)
La tornata elettorale del maggio '21 — come è noto — fu contrassegnata dalla violenza dello squadrismo fascista in quasi tutta la penisola. Anche nella circoscrizione Avellino-Benevento-Campobasso furono registrati episodi di questa matrice, che assunsero toni di particolare violenza nel molisano e nel beneventano, dove bande armate di fascisti operarono angherie e soprusi d'ogni sorta contro elettori socialisti e popolari.
Brogli, atti di corruzione, intimidazioni e aggressioni ebbero a verificarsi anche nella provincia di Avellino: a Torella dei Lombardi e a Mirabella Eclano ad opera di giovani nazionalisti (10); ad Avellino, a Solofra e a S. Angelo dei Lombardi, dove agirono indisturbati membri dei fasci di combattimento (11); e ad Altavilla Irpina, dove fascisti armati cercarono di impedire ai minatori l'accesso nelle sezioni elettorali provocando scontri e tafferugli (12). Ma a parte questi episodi, legati alla contingenza elettorale, e non molti altri atti di provocazione e di teppismo (13), si può affermare che l'Irpinia non abbia conosciuto il fenomeno dello squadrismo fascista almeno fino al 1923, quando invece esso si espresse in forme di notevole virulenza (14). La stessa penetrazione del fascismo in Irpinia avvenne soltanto dopo la marcia su Roma (nel maggio 1922 in provincia di Avellino si erano costituite appena tre sezioni fasciste: Avellino, Altavilla e Pratola Serra) (15) attraverso un « normale » processo di «adattamento » alla nuova situazione da parte dei ceti medi e piccolo-borghesi, già saldamente insediati nei gangli del potere politico-amministrativo della provincia (16). Se è vero — come è stato autorevolmente sostenuto — che il fascismo fu essenzialmente espressione della lotta per il potere degli strati intermedi — piccola e media borghesia - della società (17), in Irpinia esso si configurò come il prosieguo, non traumatico, di una fase di conquista del potere già avviata a partire dal 1911 e ben consolidatasi nelle affermazioni elettorali del '14 e del '20.
Nel '21, dopo le elezioni di maggio, il movimento fascista irpino era limitato a pochi nuclei di giovani in quattro o cinque centri della provincia. Il suo rapporto con i socialisti era abbastanza teso, ma non fino al punto da essere motivo di grossa preoccupazione per le autorità (in Irpinia, tra l'altro, non si registrarono formazioni di «Arditi del popolo»). E però fu soprattutto la volontà di obbedienza alle disposizioni governative che spinse il prefetto di Avellino a farsi promotore e mallevadore del cosiddetto «patto di pacificazione» tra le parti avverse. La firma del «patto», che implicava l'accettazione di una serie di condizioni (18), avvenne l’11 agosto nei locali della prefettura tra i rappresentanti della segreteria della sezione fascista di Avellino, della Federazione Socialista Irpina e della Camera del Lavoro (19). Fu un atto, quello della firma della «tregua», al quale i socialisti irpini non attribuirono alcun significato politico sostanziale — non è un caso che di esso non si trovi traccia sulle pagine de «Il Grido» —, al di là di quello puramente formale di rispetto di una iniziativa prefettizia, e al quale il segretario federale socialista si sottopose per mera disciplina di partito. Il giudizio che il Cianciulli ebbe del fascismo, certamente incomprensivo della reale sua portata storica, seppure etichettava il fenomeno come «colpo di coda» cruento e barbarico della borghesia e del governo reazionari e militaristi, fu sempre e perentoriamente di aspra opposizione:
Compagni, combattete il fascismo, spiegatelo ai giovani, esso è assetato di sangue, di delitti, di devastazioni [...] Questi pazzi vogliono anche nuove guerre; il fascismo è la jena non ancora sazia di sangue, la nostra avversione sia forte e tenace (20).
E ancora:
…abbiamo subito tutte le stragi, tutte le violentazioni, tutti gli eccidi e tutte le infamie dei fascicani, non pos¬siamo dimenticare, no, tutto questo; sono macchie di san¬gue le quali soltanto col sangue potranno essere lavate. Questo dica il congresso di Milano, se non vuole tradire il proletariato (21).
Nei mesi di agosto e settembre del '21 tra i socialisti italiani divampò la polemica sulle modalità di adesione alla Terza Internazionale, che vedeva contrapposte la posizione dei massimalisti serratiani, decisi a salvaguardare del proprio partito la peculiarità « nazionale » e soprattutto l'unità, evitando quindi una nuova scissione — l'espulsione dei riformisti richiesta dal Comintern — e quella dei fautori dei cosiddetti « pellegrini di Mosca » (Lazzari, Riboldi e Maffi), sostenitori di un partito rivoluzionario, epurato di ogni elemento di destra, riformista e collaborazionista, i quali avrebbero di lì a poco dato vita alla frazione terzinternazionalista. Fra quest'ultimi, alla vigilia del XVIII congresso nazionale del partito convocato per il 10-15 ottobre a Milano, i più convinti assertori della scissione apparivano proprio alcuni nuclei di socialisti campani, con alla testa il gruppo napoletano guidato da Giulio Trevisani (22) Con i compagni partenopei il Cianciulli mostrò piena concordia nella accesa critica contro ogni spirito di «collaborazionismo e di riformismo serpeggiante nel partito » e contro quei dirigenti che ancora concepivano il « socialismo al latte, rose e miele », e nella convinzione di doversi attrezzare per « l'abbattimento violento del potere borghese » (23), ma altrettanto fermamente era persuaso che la tendenza rivoluzionaria si dovesse imporre all'interno del partito, di cui andava anzitutto preservata la grande forza unitaria: inopportuna e nefasta sarebbe stata una nuova spaccatura, proprio quando era necessario raccogliersi per far fronte alla « sanguinaria » reazione borghese vestita di fascismo (24).
Per la discussione di questi temi e per la definizione dell'orientamento politico in vista del congresso di Milano, fu tenuto il 24 settembre a Solofra un convegno dei socialisti irpini, al quale parteciparono rappresentanti di tutte le sezioni della provincia. Non siamo a conoscenza del resoconto di quel convegno, ma è fondata l'ipotesi che la maggioranza dei partecipanti si sia pronunciata a favore della mozione massimalista. Pochi giorni prima della riunione « Il Grido » aveva pubblicato un appello dei socialisti di Lacedonia rivolto alle sezioni della provincia affinché votassero per la «tendenza unitaria» (25). Sulla medesima posizione era certamente schierato il Cianciulli e la sezione di Montella. Inoltre era apparsa sull'« Avanti! » una nota in cui veniva riportata la votazione favorevole alla « frazione massimalista » espressa « all'unanimità » dalle sezioni di Altavilla, Ariano, Calitri, Lacedonia, Mirabella, Montella e Solofra (26). Al congresso di Milano, infatti, i voti della delegazione irpina confluirono quasi tutti (101 v.) sull'o.d.g. Serrati-Baratono, che uscì maggioritario (27).
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- La proposta di inviare una commissione a Roma per chiedere lumi alla Direzione fu avanzata dai socialisti della sezione di Calitri.
- Un resoconto del congresso in « Il Grido », 16 aprile 1921.
- Ivi, 8 marzo 1921.
- Cfr. A.C.S., C.P.C., b. 3419, Umberto Moriconi; « II Grido », 12 febbr. 1921.
- « Il Grido » del 16 apr. 1921 così stigmatizzava i due ex compagni di partito: « Basile e Franza, i due rinnegati, trafficanti della politica, che per giungere a Montecitorio avevano calpestato ogni ombra di pudore ».
- Ivi, 8 maggio 1921.
- I candidati irpini erano Cianciulli, Fioravante De Nova, operaio ferroviere di Avellino, e Antonio Pisano, minatore di Altavilla. Su quest'ultimo, dirigente sindacale nel secondo dopoguerra, cfr. «Il Cantoniere», 10 giugno 1948.
- L'Irpinia conservò in quelle elezioni i sette seggi già conseguiti nel '19. Tre andarono al Partito Democratico Sociale (Rubilli, Amatucci, Bartolomei); due al Partito Liberale Democratico Riformista (Di Marzo, Petrillo); uno ai nittiani (Baviera) e uno al Partito dei Combattenti (Vittoria). Per i risultati elettorali cfr. Min. dell'Economia Nazionale, Direz. gener. della Statistica, Statistica delle elezioni generali politiche per la XXIV legislatura (15 maggio 1921), Roma 1922, p. 27.
- « Il Grido », 19 giugno 1921.
- Il gruppo nazionalista di Torella e quello di Mirabella, intitolato a « Gabriele D'Annunzio », si erano costituiti nell'aprile del '21 (cfr. «La Squilla », 22 apr. 1921).
- Quelli di Avellino, Solofra e S. Angelo dei Lombardi furono i primi fasci di combattimento a sorgere in Irpinia nell'aprile del '21. Complessivamente raggiungevano 53 iscritti. Il più forte, quello di Avellino, era nato dallo smembramento del gruppo nazionalista « Antonio Del Franco », costituitosi nel capoluogo irpino fin dall'ottobre 1919. Tra i suoi esponenti più in vista vanno ricordati il presidente Alberto Carfì, che sarà aggressore di Guido Dorso e futuro fiduciario provinciale del PNF, Antonio Federico Lanzara e Giuseppe Pelosi. I fasci di combattimento in Irpinia ebbero una crescita molto modesta: in numero di 5 con 513 iscritti nel giugno 1921, tanti rimasero fino al maggio 1922, quando divennero 9 ma con 477 iscritti. (Per i dati numerici relativi ai fasci di combattimento, cfr. la tabella riportata in R. De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere 1921-1925, Torino 1966, pp. 8-9).
- Cfr. « Il Grido », 19 giugno 1921.
- Fino all'agosto del '21 il prefetto segnalava un solo caso di scontro violento tra fascisti e rappresentanti della camera del lavoro, avvenuto il 20 giugno ad Altavilla (A.C.S., PS, 1921, b. 74, f. Avellino), e nel maggio '21 un solo caso di violenza tra socialisti e fascisti denunziato all'autorità giudiziaria (cfr. R. De Felice, op. cit., p. 36).
- Cfr. A.C.S., PS, (1923), b. 49, f. Avellino. A novembre dello stesso anno risultavano 12 i fascisti in attesa di giudizio e 1 in espiazione di pena, per reati di violenza (R. De Felice, op. cit., p. 443).
- Cfr. A.C.S., PS, (1922), b. 65, f. Avellino.
- Per una prima analisi del fascismo in Irpinia, cfr. M. Bernabei, Fascismo e nazionalismo in Campania (1919-1925), Roma 1975, pp. 269¬321; F. Barra, Chiesa e società..., cit., pp. 209-21. Cfr., inoltre, i periodici « La Squilla », « L'Irpinia fascista », « La Fiaccola », « Il Manganello », « La Disperata ».
- R. De Felice, op. cit., p. 118.
- Il testo del « patto di pacificazione» è pubblicato in R. De Felice, op. cit., pp. 753-55. Era prevista, tra l'altro, la costituzione di un collegio arbitrale paritetico provinciale, con il compito di accertare e dirimere eventuali casi di violazione, presieduto da un membro scelto di comune accordo. Il collegio irpino, su nomina del prefetto, fu presieduto da Alfredo De Marsico, noto nazionalista e futuro deputato fascista.
- A.C.S., PS, (1921), b. 74 , f. Avellino. Dopo la firma il prefetto, soddisfatto, poteva scrivere: « nella popolazione pacifica e laboriosa di questa provincia la notizia dell'accordo ha prodotto un'ottima impressione ed ho ragione di ritenere che il medesimo verrà lealmente osservato » (Ibidem)
- “Il Grido », 1° genn. 1921.
- Ivi, 16 sett. 1921.
- Per la posizione dei socialisti napoletani, cfr. L'organo di stampa della Federazione provinciale socialista partenopea « La Conquista », 5 marzo, 28 maggio, 11 giugno, 23 luglio, 6 agosto 1921; l'« Avanti! », 25 agosto 1921. V. inoltre G. Trevisani, Lineamenti di una storia del movimento operaio italiano. Dalla svolta liberale allo scioglimento della CGDL. Milano 1961, III, pp. 241 e ss.
- « Il Grido », 16 sett. 1921.
- Ivi, art. Milano.
- Ivi.
- « Avanti! u, 4 ott. 1921
- I dati sono riportati dall'«Avanti», 16 ott. 1921. 12 voti irpini furono dati all'o.d.g. «centrista» Alessandri.
Pg. 202- 203
Vincenzo Napoli, fu Luigi e Agnese Grassi, nato a Solofra il 14-11-1882.
(15 marzo 1921): « Condotta morale: circa 6 anni orsono sedusse mentre era prete la signorina Grassi Giorgina, furono Michele e Figliola Anna, nata a Solofra 1'11-1-1886 con la quale mena vita insieme. Condotta civile: buona, però nel pubblico riscuote in tal senso non tanto buona fama. Carattere nevrastenico. Educazione buona. Intelligenza pronta e spiccata. Cultura: abbastanza studi compiuti: scuole ecclesiastiche. Titoli accademici: nessuno. È assiduo lavoratore. Trae i mezzi di sostentamento quale segretario delle Sezioni socialiste di Altavilla Irpina e di Solofra. Frequenta i soci della sezione e della Lega dei pellettieri da lui istituita. Ha una sorella maestra e pur essendo nella stessa casa non sono in armonia. È sindaco del comune di Solofra nominato appena con le ultime elezioni e disimpegna bene tale carica.
È iscritto al partito [ socialista] ufficiale unitario. Ha influenza nel partito estesa ad Altavilla e Tufo. È in corrispondenza epistolare con il socialista Cianciulli di Montella. Non ha dimorato all'estero. Non ha appartenuto ad associazioni di mutuo soccorso o di altro genere. Non ha collaborato o collabora alla redazione di giornali. Riceve il giornale « Avanti! ». Fa propaganda tra lavoratori pellettieri apparentemente con indirizzo economico con buon profitto avendo già formato 1500 soci pellettieri e la sezione socialista locale di circa 30 soci. È capace di tenere conferenze, ne ha tenute ad Altavilla, Tufo, Montella e Solofra dal principio dell'anno scorso. Verso le Autorità tiene contegno accessibile [sic]. Il 24 febbraio 1921 ha preso parte al congresso federale [sic] socialista in Livorno.
Il 12 andante e 13 successivo ha tenuto congresso socialista in Solofra con intervento dei rappresentanti delle sezioni della provincia di Avellino, con corteo e bandiere rosse. Non fu proposto od assegnato a domiciliato coatto. Non risulta aver fin qui riportato imputazione ».
(14 luglio 1925): « Non sviluppa palesemente propaganda sovversiva e antinazionale ma non manca di spiegare una certa attività che resta circoscritta a Solofra suo paese d'origine. Ivi nella sua abitazione riunisce spesso pochi intimi della stessa sua fede, ma esercita influenza sulla massa. Frequenta l'Associazione Combattenti di Solofra godendo simpatia fra gli aderenti. È sottoposto a continua vigilanza ».
(13 gennaio 1926): « In data 13 gennaio 1926 rilasciatogli passaporto n. 28 per ragioni di lavoro, per destinazione Buenos Aires ».
(4 giugno 1926): « Rientrato in patria ».
(2 marzo 1929): « Assolto il 5-2-1925 dal Tribunale di Avellino per estinzione dell'azione penale per amnistia dai reati di peculato, sottrazione ed appropriazione indebita e interesse privato in atto di ufficio ».
(15 luglio 1933): « Presenta domanda d'iscrizione al PNF, respinta per i suoi precedenti politici » *.
(30 settembre 1934): « Continua a serbare regolare condotta politica, dimostrandosi anche favorevole al Regime. In occasione della permanenza in Solofra del X Reggimento Genio, ha parlato a nome degli ufficiali in congedo esaltando l'Esercito ed inneggiando al Re ed al Duce ».
(21 febbraio 1936): « Avendo dato prove di effettivo e sincero ravvedimento viene in data odierna radiato da questo schedario dei sovversivi, su proposta del prefetto Trotta del 23-1-1936 ».
(A.C.S., C.P.C., b. 3486)
* Da una testimonianza resa, nel secondo dopoguerra, da un noto gerarca fascista solofrano al sig. Antonio Maffei (che me ne ha reso partecipe) risulta che furono, in realtà, i fascisti locali ad offrire la tessera del P.N.F. a V. Napoli, il quale la respinse sdegnosamente.