I MOTI POLITICI DEL 1848
IN AVELLINO E NELLA SUA PROVINCIA
( di Francesco Scandone )
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Le manifestazioni di spirito liberale, che in Irpinia nel 1848 per certi episodi assursero ad epica grandezza, furono per lungo tempo in gran parte ignote (1), o mal note (2). Dal vago alone della leggenda, sia dotta, sia popolare, che in vario modo le aveva abbellite (3), oppure, a seconda della fantasia e del colore politico dei narratori, deformate (4), esse balzarono fuori nella loro interezza; allorchè trovarono, nel compianto prof. Nicola Valdimiro Testa, un competente ed accorto ricercatore, che imprese ad illustrarle con una metodica esplorazione delle fonti archivistiche. All'opera diligente e coscenziosa, da lui pubblicata, notevole anche per ampiezza di respiro e di mole (5), sarà necessario ricorrere per chiunque voglia minutamente e ben addentro scrutare quegli avvenimenti, e conoscere i personaggi, che ne furono attori. Sarà intanto sufficiente per noi, senza riandare alle fonti, farne una breve rassegna, sforzandoci di renderla, quanto più sia possibile, chiara ed esatta.
(1)- Qualche accenno generale, per lo più scarso, o incompleto, se ne leggeva in Nicola Nisco, Storia civile del Regno di Napoli. Alcuni particolari aneddotici –trascurando il resto - si potevano trovare in Vincenzo De Napoli, Storia dell'Idea, Avellino, Ferrara, 1900, p, 179-186.
(2)- Neppure sodisfacenti, sebbene alquanto più ampi (ma d'indole spiccatamente borbonica), furono i riferimenti ai fatti del '48, in Avellino, in due opere, cioè nella Storia di Giacinto De Sivo, ed in quella del Calà-Ulloa,
(3)- Il numero unico «Prima e dopo il 1848» (pubbl. il 15 maggio 1892 come supplem. del periodico «La Provincia», in Avellino), contiene, è vero, una commossa rievocazione dei fatti e dei personaggi più noti, ma ci lascia sempre all'uno via uno, senza aggiungere, cioè, nulla di nuovo. - Dello stesso genere, e senza alcuna risonanza in provincia rimase il plauso, tributato dal Petruccelli della Gattina ai promotori del moto di Ariano,
(4)- Apprezzamenti ingiusti. di tinta borbonica assai forte, si trovano in Giuseppe Zigarelli, Storia civile di Avellino, Vol. I, Napoli, Tornese, 1889.
(5)- Nicola Valdimiro Testa, Gli Irpini nei moti politici e nella reazione del 1848-49, Napoli, Contessa. 1932, di pag. 310.
§ 1. - I prodromi de' moti del '48
I moti, scoppiati qua e là nella prov. di Avellino nel '48, non ebbero un unico centro propulsivo. A chi li guardi dall'alto, essi appaiono piuttosto come un disordinato agitarsi di animi esaltati, facili così ad accendersi per improvviso entusiasmo, come a lasciarlo sbollire per impreveduto scoramento. Ma sussiste, per gl'intellettuali, e per i liberali in genere, un fattore, da cui ricevono luce ideale, ed impulso comune per l'azione. Essi tendono, tutti, a ricollegarsi con un invisibile filo ai fatti gloriosi della rivoluzione del '20-'21. Nè, d'altra parte, di essi potevano i nostri padri mostrarsi immemori, poichè il teatro più importante di quegli storici eventi era stata proprio Avellino. Com'era possibile dimenticare le sue «cinque giornate», e le numerose compagnie armate di carbonari, accorse da ogni lato della provincia, e l'opera conciliatrice di Lorenzo de Concilijs verso le autorità costituite, che valse a trasformare la rivolta militare di Nola, in una rivoluzione di popolo, legalizzata, e ad affrettare, senza spargimento di sangue, anche in Napoli il trionfo del moto costituzionale ?
Era ovvio, pertanto, che in Avellino, e nella provincia (la quale, entro più ampii confini, serbava il nome medio-evale di Principato Ultra) nutrissero sentimenti liberali non poche famiglie, i cui membri, dopo il nonimestre (luglio 1820 - marzo '21), erano stati oggetto di persecuzioni poliziesche, ovvero «amnistiati», o indultati», dopo i tormenti del carcere, o i disagi e i dolori dell'esilio (6).
Con questi, tra gli antesignani del movimento liberale, furono anche i cultori delle lettere, e di studi storici, filosofici, ed economici. E di persone, di siffatta levatura d'ingegno, l'Irpinia contava allora buon numero, residenti o nel capoluogo, (7),. dove fiorivano anche due importanti istituti di cultura (8); o nei centri minori della provincia (9), oppure in Napoli (10), i quali, senza alcun dubbio, erano i più noti ed importanti.
(6)- In questo campo additiamo come definitivo ed esauriente il risultato delle lunghe e pazienti ricerche, pubblicato nel magnifico vol.: «Vincenzo Cannaviello, Gli Irpini nella rivoluzione del 1821. Pergola. 1941», ed anche nella seconda edizione dell'altro vol.. che illustra la vita e le vicende di Lorenzo de Concilj.
(7)- Sono da ricordarsi tra questi, Serafino Pionati, autore delle Ricerche sulla storia di Avellino, in 4 voll., e di un'Autobiografia, tuttora inedita; l'agronomo Federico Cassitto; Michele Montuori, autore di un vol. sul «Commercio», in 4 «libri»; di una «Descrizione economica e politica della Valle superiore del Sabato» (Napoli:, Perrotta, 1838), ed anche di un poemetto georgico sulla coltivazione del nocciuolo; Federico Villani, scrittore di Poesie, tra cui una Cantica d'ispirazione patriottica, intitolata: «Incitamento»; Lorenzo Riola, che si fece notare per i suoi studi di letteratura straniera. Con quelli erano altri membri della «Società Economica di P.U.», di cui i più noti furono: Pietro, Giacomo e Ippollitto de Conciliis; Pasquale Roca; Luca Barra; Modestino della Bruna; Domenicant, Balestrieri; Modestino Piciocchi, Antonio del Gaudio.
(8) L'uno era il «Real Collegio», che, sebbene affidato agli Scolopii dal governo, ricevè da' suoi maestri un indirizzo di studi severo, e prettamente liberale. L'altro era il Seminario vescovile, in cui monsig. Gius. Palma aveva chiamati ad insegnare i più celebri maestri del suo tempo, non pochi de quali erano usciti dalla scuola di Basilio Puoti. Da ricordarsi, fra gli altri, è il canon. Raff. Masi, il cui, insegnamento filosofico, informato a nobilissimi sensi civili e liberali, lo dimostrava ammiratore e, in parte, seguace delle idee del Gioberti.
(9) Anche questi erano, quasi tutti, soci della «Società economica», che dai 1830 al 1845 offrì 153 memorie, pubblicate in gran parte sul «Giornale economico», diretto dal Cassitto. Parecchi fra essi erano tenuti d'occhio dalla polizia per i sentimenti liberali. Degni di ricordo, in particolare, sono: Domenico Murena, autore d'una collana di sonetti dal trasparente titolo di: Rimembranze di glorie italiche (Avellino, Sandulli e Gimelli, 1838), ed anche Nunzio della Vecchia; Giuseppe Santoli; Michelang. degli Uberti; Gius. Catone; Pasq. Iazeolla; Filippo de Iorio; Domenicant. Balestrieri.
(10) Senza parlare del giovane Francesco De Sanctis, allora alle sue prime armi nell'insegnamento, si segnalava Pasquale Stanislao Mancini, che, esercitando l'avvocatura, dirigeva il periodico «Ore Solitarie». Con questi due, che divennero poi i più fulgidi astri del firmamento irpino, sano degni di ricordo il vecchio Anania De Luca, che fu, dopo il 1860, professore di fisica nell'Universitá degli studi; e gli avv, P. E. lmbriani, e Carmine Modestino, autore, di varii saggi in prosa e in poesia. Eccelleva, allora, su tutti gli altri il giovane avv. Gaetaao Trevisani, nato in Avellino dall'avv. Luigi, oriundo montellese. La sua fama, ben meritata, di storico e di giurista insigne, era avallata dalla stima e dalla familiarità di Carlo Troya, suo maestro, il quale gli legò alcuni libri della propria biblioteca nel testamento, e confermata dalla testimonianza d'importanti opere, date alle stampe. Sorvolando su studi varii di storia civile e letteraria d'Italia, possiamo ricordare come dai dotti stranieri di Francia, dell'Inghilterra, e della Germania, ch'erano in corrispondenza col Troya, furono lodati in modo speciale il vol, «Delle leggi longobarde in relazione de' popoli conquistati», e l'altro, dal titolo: Di alcuni teoremi della storia d'Italia-nel Medio-evo».
§ 2. - Avvenimenti premonitori de' moti del '48.
Veniamo, ora, all'esposizione di alcuni fatti particolari, che preannunziano, in certo modo, lo scoppiare de' moti del '48. Le prime riforme di Pio IX, la propaganda neo-guelfa del Gioberti, il sorgere d'una nuova società segreta, con fini patriottici, come la «Giovane Italia», avevano dovuto, anche di qua dal Tronto e dal Garigliano, scuotere gli spiriti, anelanti a più liberi ordinamenti civili. Non è un mistero per nessuno l'esistenza di un «Comitato supremo» in Napoli, di cui era capo F. P. Bozzelli, con una rete di associati e di corrispondenti in Avellino, e nelle provincie vicine. - Sin dalla fine del '47, alcuni abitanti di Tufo erano arrestati come « propalatori di notizie allarmanti» (11). - Nello stesso tempo tre avellinesi, erano denunziati per «criminose corrispondenze e segrete trame contro lo Stato nelle province di Salerno, Avellino, e Basilicata». Essi avrebbero anche apprestati vasti depositi di armi e munizioni nella Villa Capozzi al Vasto (alle porte, per così dire della città) e nel «casino» di Modestino Carulli. Le forze, raccolte in Avellino dai congiurati, avrebbero dovuto assaltare le carceri, liberare i prigionieri politici, e, fatta massa con altri armati, che sarebbero venuti da Potenza, marciare su Napoli. Il denunziante metteva in risalto la partecipazione di tutte e tre gli accusati, Stefano Preziosi, Tommaso Carpentieri, Nicola Pionati, ai moti (12) del '20. Per il terzo, metteva in rilievo che nel 1837 era stato imprigionato per aver preso parte «alla organizzazíone della rivolta in provincia di Salerno, allo scopo di ripristinare la Costituzione». Sebbene l'Intendente della provincia, assunte informazioni, non avesse data all'accusa troppa importanza, noi sappiamo in modo certo che i collegamenti, denunziati tra i liberali dell'Irpinia e quelli del salernitano esistevano realmente. Ci sono pervenuti anche i nomi di taluni emissari, irpini, che facevano la spola tra le due regioni limitrofe, come Michele Pironti di Montoro, e Giuseppe Belli dí Atripalda.
Da sicura fonte apprendiamo che questi, appena che da Palermo era giunto l'annunzio della rivoluzione, minacciata a giorno fisso, dal «Comitato supremo», fu inviato al Pironti, col mandato ch'egli avesse dovuto dar inizio alla rivoluzione (13). D'altra parte si apprende che il barone Gennaro Bellelli, di Capaccio, fu anche lui in quel torno di tempo da Carlo Poerio mandato nel capoluogo del P. U., «a intendersela con i liberali avellinesi» (14). Un altro personaggio di questa provincia, che aveva strettissimi rapporti col Comitato supremo di Napoli, era Nicola Nisco, di «s. Giorgio della Montagna», (frazione di Montefusco, ora in prov. di Benevento). Per incitamento dello stesso Poerio (quando era stato già chiuso in carcere) il Nisco si recò dipoi a Roma, per stabilire con Luigi Masi, Pietro Sterbini ed altri liberali un accordo, per effetto del quale i popoli dello stato pontificio si sarebbero dovuti opporre ad una calata eventuale degli Austriaci verso l'Italia meridionale, impedendo loro il passo. Il circolo romano ne dava anche assicurazione, a nome del popolo di Romagna (15).
Le notizie, talora ad arte esagerate, gl'incitamenti, che pervenivano per mezzo de' diversi emissarii, la fantasia spesso surriscaldata degli ascoltatori, accendevano gli animi a segno che si dava oramai come assai vicina, - e ne abbiamo le prove per s. Sossio (16), Torella dei Lombardi (17), e Bonito (18), - la promulgazione di uno Statuto costituzionale. Alcuni cartelli, affissi in Solofra il 5 dic. '47, ne davano l'annunzio come di un fatto già avvenuto (19). Venivano, inoltre, spedite per posta anche delle «stampe incendiarie», come quelle dirette da Napoli in Avellino il 7 genn. (20) '48, ed altre, giunte ivi il 9 e il 16 gennaio (21), a varii liberali.
Non v'era quasi luogo della provincia, dove, sul finire del '47 ed i primi giorni del '48, non fossero denunziati da anonimi (che talora si mascheravano col nome di persone rispettabili) più noti per le loro idee liberali, come avvenne in Monteforte (22), Tufo (23), Ariano (24). Lioni (25).
(11) Cfr. Vinc. Cannaviello, Principali cospiratori nel 1820, Avellino, Pergola, 1920, e il vol. cit.
(12) Per mancanza di prove quei d Tufo vennero escarcerati. In Avellino non si trovarono n'e armi n'è munizioni nei luoghi indicati. L'Intendente scrisse al Ministro di Polizia che i tre antichi liberali «erano ormai come delle bestie feroci senza zanne»: Preziosì, fatto cauto dai mali sofferti; Carpentieri avanzato negli. anni e ritirato; Pionati »vecchio, curvo, e inadatto a movimenti rivoltosi»,
(13) Nicola Nisco, Michele Pironti, necrologia, nelle Onoranze a M, Pironti, Napoli, Morano, 1886,
(14)- M. Mazziotti, Costabille Carducci e i moli del Cilento, vol. I.
(15)- Raulich, Storia del Risorgimento, Bologna, Zanichelli, vol. III, p. 236.
(16)- Dall'istruttoria contro un tale Sena, di s. Sossio, risulta provato che ivi, negli ultimi mesi del '47, già si parlava di Costituzione.
(17)- Ad una denunzia scritta, contro D. Michelant., e D, Raff. De Laurentiis, l'estensore Stefano de Laurentiis aggiungeva, a voce, che «prima del '29 genn. 1847 i due fratelli perchè entrambi sediziosi e in corrispondenza con i capi sediziosi di Avellino, e di Ariano, annunziavano che il Re sarebbe stato costretto dalla forza a dare la Costituzione».
(18)- A carico dei medico Francesco Ciani di Bonito fu apposto che «andava propalando che un tal Savarese, inviato ambasciatore presso le Corti di Torino, Francia e Londra, n'era stato respinto; che nelle vicinanze di Gaeta vedevasi una flotta inglese; che tra breve, nel Regno, vi sarebbe stata una riforma di tutte le autorità civili e militari; che in tutta Europa si sarebbe data una costituzione uniforme Pér tutti, e che anche S M. avrebbe data la Costituzione».
(19)- L'origine di tali cartelli si volle attribuire a Francesco Ronchi, giudice della Gr. Corte civile di Salerno; il quale si difese energicamente, affermando Che non sarebbe mai ricorso all'anonimo, essendo dotato di coraggio civile, sufficiente a sostenere le sue opinioni,
(20) Erano state indirizzate a D. Raff. la Bruna.
(21) Venivano dirette al noto oratore sacro e fervente liberale, D. Modestino Ottaviani,
.(22) Furono denunziati il 10 ott. '47 « quattro settari » per mettere in cattiva luce il suddiacono Gaetano Gimelli, esiliato dalla polizia in Napoli. Un'altra successiva denunzia ne dava i nomi: D. Antonio Picone, esiliato a Montefusco; D. Gaetano Lignito, e il sac. D. Andrea Valentino. Fu sottoposto a più stretta sorveglianza il solo Gimelli.
(23)- Il 13 ott. '47 furono arrestati in Avellino, - come si è già accennato,- il cancelliere comunale di Tufo, Angelo di Marzo; il cognato, Paolo Iovane, e Gius. Iannaco, sotto l'accusa di esser «propalatori di notizie allarmanti su lo stata del Regno, e specie delle Calabrie ». Fu anche sequestrata una lettera, spedita dal Di Marzo a D. Ant. Zoppoli di Benevento. Vi si chiedeva «se gli amici dell'Abruzzo Ultra erano pronti», allusione evidente al fermento, ch'esisteva negli Abruzzi, specialmente nella prov. di Aquila, dove si comunicavano i proponimenti de' liberali con quelli dei patrioti dell’Italia meridionale.
(24)- Nell'ott. 47 un, anonimo avvertiva che «quaranta persone» di quella città s'erano messe di accordo per un'aggressione al procaccio delle Puglie, - Il che accadde poi davvero in maggio '48.
(25)- In un processo, istruito in quell'industre borgata, alcuni testimoni asserirono che i rivoltosi del Cilento, agli ordini di Costabile Carducci, attendevano anche «truppe a massa» dalla Irpinia. Ma, prima che queste si movessero, i ribelli furono sbandati da una colonna mobile comandata del generale Gaeta. - Gli accordi per tale mossa concordata sarebbero stati presi già da qualche tempo.
§ 3 - Generale esultanza per la promulgazione dello Statuto
La notizia che il 29 genn. '48 era stata finalmente promulgata la tanto sospirata Costituzione, fu accolta dai più, in Avellino e nella provincia, con pubblica esultanza, e persino con rumorose manifestazioni di giubilo. Infatti, secondo il costume del tempo, quasi da per tutto, la sera, furono esplosi numerosi colpi a salve di pistola, o di armi lunghe da caccia. Il dì seguente, in Avellino, una gran folla acclamante (26) percorre le vie principali al grido: «Viva la Costituzione ! ». Dopo qualche giorno i festeggiamenti furono rinnovati in forma più solenne, e con crescente ardore, per obbedire alle esortazioni della suprema autorità provinciale (27).
Al comune giubilo non fu tenuto estraneo il clero delle due diocesi, riunite da secoli, di Avellino e di Frigento (28). Anche nelle chiese di altre diocesi, come in Montefusco (29) e in Andretta (30) fu celebrata una funzione per lo storico evento. In Torella dei Lombardi fu tenuta un'accademia, ed anche una tornata speciale del decurionato (31).
Alle voci dei due circondari di Avellino, e di s. Angelo dei Lombardi, e dei centri della Valle caudina (di cui, dipoi, alcuni passarono alla prov. di Benevento), si unirono quelle di Ariano. Ma qui le manifestazioni assunsero un aspetto diverso, secondo che si trattava di «liberali accesi» (32), o «effervescenti», oppure «moderati » (33).
(26) A capo del corteo era il medico Francesco Montuori, aI quale facevano corona D. Tomm, Imbimbo, D, Giocch. Barrecchia, D. Tomm, Carpentieri, D. Carmine Vecchione.
(27)- Dopo la pubblicazione dello Statuto,fu, nominato Intendente della provincia P. E. lmbriani,
(28)- 11 vescovo, mons. Maniscalco, emanò una circolare, con cui prescriveva che in ogni parrocchia fosse celebrato lo storico evento col suono delle campane a festa, e con una funzione solenne, la quale, dopoché un oratore avesse esposti dal pergamo i vantaggi della concessione sovrana; si sarebbe conclusa col canto del Te Deum e con la benedizione eucaristica.
(29)- Dopo una prima celebrazione nella chiesa di s, Maria a Piazza, ne fu tenuta un'altra in quella palatina di S. Giov. del Vaglio [o «de Balio militum” , come si diceva nel medio-evo], con l'aggiunta di una luminaria per tre giorni, e di una «tavola per i poveri».
(30)- Si fece, più tardi, carico al sac. Antonio Miele di aver tenuto, venendo da Napoli, dentro la Collegiata un discorso, con cui esaltava la costituzione, e di aver voluto che si fosse poi cantato il Te Deum,
(31)- Mentre D. Raffaele de Laurentiis «indossata la tricolore, faceva l'apertura dell'Accademia », con un discorso di circostanza, faceva concludere dal Consiglio un provvedimento a carico del capo-urbano D. Gius, Marciano «perché era amico del ministro di polizia Del Carretto, e del Re».
(32)-Tra questi erano Vite Purcaro e Gius. de Miranda. Al loro nome si trova unito quello di Pasquale Rotondi, di Torre le nocelle,
(33)- Pur essendo compreso tra costoro, il poeta P. P, Parzanese non, ometteva di mostrare il suo rincrescimento a causa di certi suoi dubbi sui veri sentimenti della maggioranza dei cittadini avellinesi.
§ 4. - Sospetti contro í liberali « esaltati » e i «sovversivi ».
I « crociati di Lombardia » - Disordini pubblici nella provincia.
Alla generale esultanza alcune anime sdegnose non parteciparono con soverchio entusiasmo, abbondando in lodi verso il sovrano; e furono dette «esaltate». Altri si misero addirittura contro corrente, continuando a cospirare nelle società segrete, e furono giudicati «sovversivi». Sugli altri invigilava, con occhiuta alacrità, la polizia. Erano in cattivo odore presso i capi di essa varii personaggi, in Andretta (34), in Avellino (35), in Altavilla irpina (36), in s. Martino V. C. (37) e in Monteforte (38). Venivano prese di mira altre persone di Zungoli (39), di Candida (40), di Cervinara (41), di Torella de' Lombardi (42);.Felicetto Preziosi, di Mercogliano, accusato ,come « divulgatore di notizie esagerate sugli avvenimenti d'Italia», si sottrasse alla persecuzione, arrolandosi, dopo le cinque giornate di Milano (19-23 marzo '48) tra i « Crociati di Lombardia ». Non fa d'uopo avvertire che qui si tratta della prima guerra d'indipendenza contro l'Austria, per combattere la quale accorrevano forze armate regolari, e volontari (43) di ogni regione d'Italia, a fianco dell'esercito del piccolo Piemonte. Si può, conoscendo che col Preziosi partirono altri irpini (44), anelanti a dare il loro sangue per l'indipendenza della patria, non affermare che il moto uscisse fuori del ristretto orizzonte della provincia e del regno ? Anche qui, sebbene di nascosto (e se ne dovè il merito alla Libreria Detken, com'è già noto) era penetrato il « Primato » del Gioberti, suscitando generale consenso; nè erano mancati adepti, che fossero in corrispondenza con l'altro apostolo del Risorgimento, Giuseppe Mazzini (45).
Di fronte ad avvenimenti, il cui ricordo ci esalta, la imparzialità storica ci obbliga a riferirne altri di ben diversa natura. Com'è solito avvenire in tutt'i gravi perturbamenti politici, i violenti ed i facinorosi in qualche luogo ne profittarono, blaterando che oramai « ogni cosa era comune », e tentando d'invadere e occupare stabilmente le terre demaniali de' municipii, o, persino, proprietà private. Disordini di tal fatta furono segnalati in s. Angelo de' Lombardi, in Casalbore, in Lioni, ed in altri luoghi della provincia. Opportuna riuscì quindi, per aiutar la polizia nel mantenimento dell'ordine pubblico, l'istituzione della G. N., sorta con lo scopo precipuo di difendere, per mezzo del popolo, le libertà costituzionali (46), concesse al popolo.
(34) Tale qualifica fu data all’avv, Camillo Miele, di Andretta, il quale, mentre il fratello sac., col padre, era in Napoli, accoglieva in casa una «segreta associazione», per ottenere la costituzione del 1812 [-- spagnuola], oppure la repubblica. Ciò nonostante, si affermava che il caporione della società segreta era il sac, D. Antonio, Questi, tornato in paese, vestiva da secolare, Incontrando dei seminaristi [di s. Angelo de' Lombardi] li costringeva a gridare: «Viva la Costituzione»! Qualche testimone gli ascriveva anche il disegno di voler porre a sacco il paese natio, e affermava essersi colui vantato di aver a disposizione 800 calabresi «per fare un massacro di tutt'i realisti, davanti al portone», -Nello stesso paese era tenuto d'occhio anche il sac. Gius. Tellone, dal caratteristico soprannome di «pipiciello» [=peperoncino forte].
(35)- Ivi erano specialmente sorvegliati D, Modestino sac. Ottaviani, e D. Samuele Rosiello, denunziato quale «capo» d'un club di 54 persone.
(36)- Il «maestro di scuola» Federico Villani, insieme col fratello Michele anch'egli maestro erano indicati come «facienti parte di sette segrete, e fomentatori di disordini).
(37)- L'avv, D. Serafino Soldi era definito «effervescente rivoluzionario».
(38)- Secondo una particolareggiata denunzia, sarebbero stati, sin dalla fine del '47, a capo «di una congiura; che avrebbe dovuto affrettare la rivoluzione e la marcia su Napoli, insieme con Tommaso Carpentieri, ex tenente dei legionarii, anche Evangelista Berni, Gioacchino Testa, Michele Franza, Michelang. de Feo, ed un «Mirabello» [o Miroballo?] «figlio del patrocinatore».
(39)- Erano sospetti tutt'i membri della famiglia Susanna, tra i quali un capitano della G. N.
(40)- Si accenna ad un personaggio della fam. De Caro, anch'esso capitano della G, N,
(41)- Insieme con un Imbriani, si accenna anche a D. Giuseppe Capone, oriundo di Arpaise [o di Altavilla?] «agente fervidissimo della setta»,
(42)- Era quivi di ritorno il sac, Gius, Tedeschi, già appartenente ad un ordine mendicante [francescano?], poi secolarizzato. Gli si faceva l'accusa di aver frequentato, mentre era nel suo convento d'un paesello della Basilicata, «alcuni ritrovi politici fra i più attivi» ,(Giuseppe Paladino, Il 15 maggio '48, p, 98). — Di tutti costoro, specie de' militari, bisognerà ricordarsi a proposito de' moti insurrezionali del 15 maggio nella provincia.
(43)- I volontari della «guerra santa» di liberazione dallo straniero, portavano, come una volta i cavalieri, che partivano per la Terrasanta, una grande croce rossa, ricamata sul petto,
(44)- De' «crociati irpini” pubblicò l'elenco de' soli nomi e cognomi, senza indicarne il luogo di nascita, il Giornale delle Due Sicilie, nel n, del 30 marzo ’48 insieme con quelli di altri meridionali, — Di qualcuno si daranno de' cenni in seguito.
(45)- A me consta, da un ms. del comm. Scipione Capone (Bibl. provinc. Di Avellino, Fondo Capone), che il padre di lui, e dell'avv. Filippo, avv. Andrea, antico carbonaro del '20-21, aveva più tardi lasciata la setta, non, più rispondente agli ideali degli amatori di libertà, ed era passato alla «Giovane Italia», — Lo stesso Scipione, che per poco non fu coinvolto nel processo per la setta degli Unitari», — fu in segreta corrispondenza col Mazzini, come rivelò a me, suo ammiratore sin dai miei primi anni, — La chiave era una pagina della «imitazione di Cristo», di cui essi soli conoscevano il numero.
46) Il 2 apr. '48 fu eletto comandante della G, N, di Avellino il più volte ricordato Michele Montuori.
§ 5. - Le prime elezioni dell'aprile '48
Per seguire il costume della metropoli ed anche per la propaganda elettorale, in Avellino furono aperti due «clubs». L'uno fu chiamato, con termine militaresco, « Circolo 'della Guardia Nazionale ». Prova della sua attività furono vani discorsi politici, improntati ad alti sensi di libertà. In uno di essi furono reclamati nuovi ordinamenti non solo amministrativi e militari, ma anche culturali, fondati sul maturo consenso del popolo (47). Dell'altro, ch'ebbe il nome e l'indirizzo spiccatamente civile di «Circolo costituzionale”, fu eletto presidente l'alto magistrato Pietro Calà-Ulloa (futuro narratore degli eventi di quei giorni fortunosi) e segretario l'avv. Pirro Giovanni De Luca, di Montefusco. Com'è ovvio, il lavoro di preparazione divenne più intenso dopo il 29 febbr., allorchè fu pubblicata la legge elettorale provvisoria, che, per le elezioni, fissava la data del 4 aprile '48. In tutta la provincia il numero degli elettori (iscritti nelle liste in virtù del censo, non inferiore ad una determinata somma) si aggirava intorno ad una decina di migliaia. I votanti furono 6065; ma, essendosi data facoltà ad ogni elettore di votare per tutti e nove i deputati, i suffragi andarono dispersi a segno, che a primo scrutinio risultò eletto il solo venerando Paolo Anania De Luca (voti 4028).
I nove deputati erano così ripartiti: quattro per il distretto di Avellino; tre per quello di s. Angelo de' Lombardi, due per l'altro di Ariano. Riconvocati i comizii nel maggio, la Commissione elettorale centrale, riunita in Avellino il 6 dello stesso mese, proclamò eletti (fra i sedici, a' quali s'era ristretta la votazione): 1) P. E. Imbriani (voti 4502); 2) il colonnello Vincenzo degli Uberti (v. 4040); 3) Michele Santangelo (v.3866); 4) Pasquale Stanislao Mancini (v. 3437); 5) Lorenzo de Concilj (v. 3434);.6) il colonnello Luigi Cianciulli (48) (v. 3109); 7) canonico Raffaele Masi (v. 2779); 8) Federico Grella (v. 2725). Erano, tutti, bei nomi di patrioti (49), non meno degni, nel riverente ricordo de' posteri, di quelli, che allora combattevano sui campi di Lombardia, della maggior parte de' quali ci duole di non poter tramandare nome all'età futura (50).
(47) Tenuto il 26 aprile, venne poi dato alle stampe.
(48) Nei verbali è detto «di Montella». Risulta, invece, ch'egli nacque a Napoli il 1792, da Michelangelo, celebre avvocato e statista, nato a Montella: Avviene qualche volta lo stesso per Gaetano Trevisani, il cui padre, avv, Luigi, era montellese.
(49) Cannavielo V., Le elezioni del 1848… - Avellino, Pergola, 1930. Seguivano i nomi degli altri otto, in ordine decrescente di voti: P. P. Parzanese; Giuseppe Capone di Altavilla; Gaetano Trevisani; Filippo de Jorio; Nicola Nisco; Federico Cassitto; Michele Solimene.
(50) V. De Napoli, OP. cit., ricorda Domenico Donatelli, di Morra; Gius. del Balzo (Valle Caudina), che combattè a Curtatone; Saverio e Giov, Batt. Luciani; Gaetano Pirera; Pasquale Pelosi; Vincenzo Roselli, Samuele Torre; Federico Crisolio; Domen. e Giuseppe Festa; Giovanni e Giuseppe Altieri; Felice Vigilante, Alfonso Vetrani; Matteo Saggese. Sono, in gran parte, nomi di cittadini avellinesi. Notizie più recenti hanno rivelato il singolare merito dell'atripaldese Alfredo Dinacci, che si arrolò a 16 anni, Valorosa trai più valorosi fu senza dubbio il sac. Giovanni Margotta di Calitri. Avendo cominciato a servire da semplice soldato, fu promosso tenente per merito di guerra. Morì il 27 maggio per ferite riportate nella difesa del forte di Marghera, In quella difesa gli fu compagno Tommaso Albarella, irpino di Montefusco, trasferitosi in Acerra.
§ 6. - Il 15 maggio ed i moti correlativi nell' Irpinia. - Le nuove elezioni.
Il 15 maggio, come tutti sanno, mentr'era per inaugurarsi la Camera dei deputati, scoppiò un moto inconsulto, per causa del quale essa, dispersa dal rombo del cannone e dalle baionette dei mercenari stranieri, venne poi dichiarata sciolta per intimazione sovrana. Noto è pure che, contro la violenza delle armi fu elevata una fierissima protesta, di cui fu estensore P. S. Mancini. Piace qui ricordare che tra la gioventù ardimentosa, accorsa a difendere sulle barricate la libertà, creduta in pericolo, vi furono anche degli Irpini (51).
Non è abbastanza noto però il fatto, che prima e dopo di quel funesto 15 maggio. accaddero de' gravi disordini nell'Irpinia e nel suo capoluogo, e segnatamente nella Valle Caudina; all'estremità del confine regionale con la Campania; e nell'Arianese.
Diciamo brevemente quel che si riferisce alla Valle Caudina, centro notevole d'insurrezione. Veniva anzi tutto segnalata l'opera sobillatrice di Nicola Nisco in Cervinara (52), dove, come si diceva, il 14 maggio si era organizzata la marcia su Napoli, per instaurarvi la repubblica (53).
In corrispondenza col Nisco era anche D. Serafino Abate, di s. Martino V. C., dove si diceva che per opera di Giovanni Corcione, già perseguitato per i fatti del '20, « si arrolavano molte persone, decise di partire per Napoli in unione di molti altri insorgenti di diversi comuni, per battere le regie truppe ». E passiamo a dare un cenno de' fatti di Mugnano, e Baiano, ch'ebbero pure una certa importanza.
Tra gl' « incolpati di misfatti contro la sicurezza interna dello stato per gli avvenimenti del 15 maggio 1848», fu anche Stefano d'Avanzo. Questi, con quattro o cinque « forestieri », discendeva la sera stessa del 15 maggio dalle alture di Monteforte, col disegno di «adunar gente, e marciare» verso il “ponte di basso» (54), e “per vietare il passo ad un .battaglione di carabinieri, che doveva recarsi per rinforzo in Napoli». Nutrivano essi la speranza, o (ad usare espressione più adatta) l'illusione che, da un momento all'altro, dovessero sopravvenire dalla provincia almeno 30.000 insorti. Mentre veniva distrutto il ponte, per impedire anche all' artiglieria regia di venire contro gl'ipotetici insorgenti, sopraggiunse la nuova che in Baiano scorrazzava, con taluni «effervescenti», Pietro Sgambati, e l'assicurazione che Marino e Pasquale Sorice fossero lì lì per sopraggiungere da Avellino, alla testa di 200 armati (poca cosa, di fronte agli attesi 30.000 !). Nel tempo stesso, altri accorrevano in armi, da Mugnano. Invece, sopraggiunse dalla città un buon nerbo di truppe regie, al cui appressarsi, dileguossi qual tenue nebbia lo scarso assembramento non solo del «rotto” ponticello, ma anche di Baiano. Maggiori furono le «escandescenze» di Ariano. Quivi uno stuolo non molto numeroso di armati, al comando di Vito Purcaro, e del figlio, Michele, costruite le barricate, «primo alzò il vessillo di guerra» (55). Con l'aiuto degl'insorti di Greci e Savignano si voleva insieme con altri atti di violenza, «opprimere la gendarmeria, tagliare il telegrafo, costringere i fanti leggieri, giunti poco innanzi, a parteggiare, o a partirsi».
Sopravvennero infatti di rinforzo, al comando di un tal Mottola, sacerdote di sentimenti assai esaltati, alcune centinaia di armati di Savignano, ove gli insorti avevano deposte tutte le autorità costituite. Così in Ariano venne proclamato il Governo provvisorio, a capo del quale era un triumvirato, costituito da Vito Purcaro, Giuseppe de Miranda e Giuseppe Vitoli. Gli eccessi de' loro partigiani mentre tennero i liberali «meno effervescenti» in trepida attesa, (56) fecero sì che si rivolgessero al partito dell'ordine i ben pensanti, tra cui era, con non pochi altri, il poeta Parzanese.
Il moto, ispirato da ideologia repubblicana, pareva che fosse riuscito ad affermarsi; ma le notizie, giunte da Napoli la sera stessa del 16 maggio, furono come un forte colpo di vento su un mucchio di polvere. - Tutti furono invasi da un grosso scoramento,-che portò al ritiro immediato della gente armata (57). Anche i triunviri si ecclissarono, trovando un rifugio fido e sicuro presso D. Giovanni Soldi, arciprete di s. Martino Valle Caudina.
I torbidi della provincia, ed il tentativo, non riuscito, di attizzarne altri in Avellino, ebbero di lì a poco lino strano contraccolpo nella città stessa. Possidenti, industriali professionisti, spaventati dalla piega quasi anarchico-comunista, in alcuni luoghi assunta (là dove aveva potuto estendersi fra le plebi) del moto repubblicano, si accordarono per correre ai ripari, e compilarono il così detto «indirizza di fedeltà al Re». Questo doc. completato il 7 giugno, fu pubblicato, con tutte le sue 225 firme (58), nel «Giornale Costituzionale» del 14. — Ad onore del vero, di fronte a tale manifestazione di anime trepide, o titubanti, si adersero alcuni giorni più tardi, come diremo, coloro che, nello stesso tempo, a viso aperto nelle sezioni elettorali, o altrimenti, avevano espresso la loro sdegnata protesta contro l'opera del governo, in ispecie, contro le rinnovate elezioni del 16 giugno (59).
— E veniamo ora a dire di tali elezioni, e del loro svolgimento in mezzo a quel furioso contrasto di politiche passioni. — Il decreto del 17 maggio, che scioglieva la Camera prima che si fosse costituita, fissava i nuovi comizii per il 16 giugno. Esso modificava anche la legge elettorale, aumentando con l'abbassamento del limite del censo, il numero degli elettori, e prescrivendo che ognuno dovesse votare soltanto per il numero de' candidati del proprio circondario. Le astensioni furono moltissime; in Avellino si recarono a votare solo 96 persone. Si trattò d'una tacita protesta, da parte dei liberali, o di un atto di superbo disdegno, dalla parte contraria ? — Forse fu l'uno e l'altro sentimento a tener lontani i più dalle urne. — Proteste scritte, quasi in ogni seggio, furono fatte inserire nel verbale. Il De Luca, segretario del «Circolo costituzionale», le riassumeva ne' due capi seguenti: I «La Nazione ha i suoi deputati; e chi mai non li riunì, non li poteva disciogliere» — II «Non si riconoscono gli atti del governo dal 14 maggio in poi, perché, se la forza può uccidere, non può certo obbligare». E soggiungeva: «Nella presente condizione della civiltà europea, è impossibile ad un principe mantenersi in riverenza ed in potere, se non a patto che sinceramente voglia, e con ogni forza si adoperi, perchè sia libera davvero la nazione (60)».
Intanto, perché si abbia una più chiara idea della forma di tali proteste, ne riportiamo una, da un verbale di sezione elettorale (61). – Il risultato dei comizii fu il seguente: Per Avellino, furono eletti il canon. Raffaele Masi (voti 1342); Lorenzo .de Concilj (v. 1303); P. E.Imbriani, (v. 1172) e Paolo Anania de Luca (v. 1135).
Per Ariano: P. Stanislao Mancini (v. 1271); il colonnello Vincenzo degli Uberti (v. 1048).
Per s. Angelo (di cui non fu dato conoscere l'esatto numero dei voti): Carmine Modestino, Filippo de Iorio, Federico Grella. — Come si scorge a prima vista, vi fu qualche diversità tra questa votazione e la prima, non solo nel numero dei voti, ma anche nelle persone, .e nell'ordine degli eletti (62).
La protesta delle astensioni, e quelle inserite nei verbali dei collegi elettorali non furono credute sufficienti a manifestare i veri sentimenti di buona parte del popolo del capoluogo. Di fronte allo «speciale sentimento» di devozione al Borbone, attestata per le stampe dal primo firmatario ed estensore dell'«Indirizzo di fedeltà», avv. Giov. Francesco Lanzilli, era necessario opporre un doc., anch'esso stampato. Così Avellino sarebbe uscita dalla zona grigia di antiliberalismo, di cui a torto si era voluto circondarla. Questo fu il movente della dichiarazione, pubblicata il 18 giugno. Secondo questa, i liberali null'altro desideravano, se non che «s'instaurasse l'ordine costituzionale, secondo le ottenute e mal ritirate guarentige, e quelle che potrebbero essere reclamate dalle condizioni civili e dai bisogni della nazione». — Al servilismo dell'indirizzo, ch'esaltava la «clemenza» di Ferdinando II, per aver restituiti alla provincia gli esuli suoi figli, i liberali di Avellino contrapponevano i sofferti mali, non per chiederne vendetta, o per volgerli al proprio utile, ma perchè tante sofferenze non rimanessero senz'alcun profitto per gli altri. Erompeva, in fine, il grido dell'anima indignata contro gli opportunisti: «Stretti alle libere istituzioni dal vincolo santo e potente delle prigioni, degli esigli, e del sangue cittadino, maledicono altamente a chi tentò in qualunque modo avvilirli in cospetto dei fratelli, nel cui senno essi confidano, che vogliano rimandare l'onta alla colpa, e tenerli non degeneri del nome italiano!». - Questa sì, ch'era la voce non solo degl'Irpini del '20, ma anche di quelli che, a differenza dei padri, guardavano oramai anche all'Italia! E non si diedero per vinti (63). — Allorchè, il 29 genn. '49, la polizia volle proibire che si festeggiasse l'anniversario della Costituzione, riuscì ad impedire il banchetto commemorativo, che i liberali avevan fatto disegno di tenere nel convento di s. Francesco. Ma non potè far sì, che una banda musicale, accolta da lieto clamore non percorresse, alla sprovvista, le principali vie di Avellino, e che in teatro, la sera, durante la rappresentazione, non echeggiasse vigoroso il grido: «Viva l'indipendenza d'Italia!».
(51) Oltre Franc. de Sanctis, tratto fuori della quiete della sua scuola, sono ricordati: Francesco Montuori, che, ferito, fu trattenuto per buona parte del giorno dagli Svizzeri; Francesco del Balzo di S. Martino V. C.; il calzolaio Tommaso Corcione; D. Pietrant. Cioffari di Callitri; D. Nicola, D. Giuseppe e D. Raff. Sepe di S. Angelo dei Lombardi. Il sac, D. Antonio Miele trovandosi il 23 giugno in Andretta, con fidava a D. Alessandro De Sanctis che «in Napoli aveva fatto gran cose contro il Governo il 15 maggio...». Per -un episodio, accaduto dentro l'Assemblea, durante il cannoneggiamento, è ricordato anche l'avv. Filippo Capone, di Montella, da L. SETTEMBRINI, nelle Ricordanze.
(52) In quella terra anche prima del 15 maggio erano scoppiati de' torbidi, ad opera dei Verna. Uno di costoro, D. Antonio, insieme col suo congiunto D. Onofrio ed i figli di lui, aveva minacciato di vita il capo-posto della G. N., D. Giov. Gallo (16 febbr.), suscitando grave scompiglio. Il 5 aprile quei medesimi signori; insieme con Scip. e Giescenzo d'Orsi; Andrea, Ant. e Gius, Piccolo; Nicola, Pasquale e Franc. del Balzo avevano assalita la carrozza di D. Bernardo de Bellis, che l'Intendente aveva nominato capo provvisorio della G. N. Accorsi i militi in difesa del comandante, gli aggressori si asserragliarono in casa Verna, donde aprirono il fuoco, ed ebbero fino a sera così fiero conflitto, da farne parlare come di una «guerra civile». L'assalto al de Bellis era forse cagionato dal timore, ch'essi avevano, ch'egli fosse venuto ad esautorare il Cioffi, eletto capitano locale, Costui, d'intesa con Nicola Nisco, andava tramando la marcia su Napoli.
(53) Risulta da alcuni processi che il Nisco aveva presi accordi con 10 cittadini di Cervinara, e con altri de' luoghi vicini, sebbene egli contasse in modo speciale sull'appoggio di molti capitani della G. N. A quei militari aveva mandato un corriere fidato, il contadino Crescenzo Petrillo, Questi poi rivelò di aver percossa buona parte della provincia, recandosi a Torre le nocelle, Montemarano, Volturara, Serino, Solofra, Atripalda, Grottolella, Montefredine, Manocalzati Anzi ripetè che i capitani di Montemarano e di Montefredine, dopo la lettura delle lettere del Nisco„ applaudivano battendo le mani, e gridando: «Repubblica vogliamo!», Il Petrillo, quattro giorni dopo aver eseguita la prima commissione, era stato dal Nisco mandato a Gesualdo con due lettere, da recapitarsi l'una al capitano della G. N., e l’altra ad un tale Forgione; su per giù dello stesso contenuto delle altre. Anche D. Antonio Nisco, fratello di Nicola, aveva per suo mezzo inviate altre missive ai due capitani di Benevento. Questi, richiesti di accordar libero passaggio agli armati, che avrebbero dovuto marciare su Napoli, avevano risposto che li avrebbero lasciati passare non per l'interno ma di fuori della città. Un rapporto del giudice Pasquale Tirelli precisava che Nicola Nisco «il dì 16 [maggio] ebbe sessione segretissima. Nel mattino del 17 più di 150 armati di Terranova, Cucciano, ed altri paesi, con guardie nazionali di s, Giorgio (la Montagna) si apprestavano a (partire [N. B. - I luoghi nominati, e quelli vicini erano, sin dai più antichi tempi, «casali di Montefusco». Ne fu poi avulsa una parte, quando venne formata la nuova provincia di Benevento]. Il rapporto del Tirelli, soggiungeva: “Nisco comunicò esser in marcia Calabresi, Abruzzesi, Cilentani e gli Arianesi; bisognava correre in Napoli, onde distruggere le soldatesche, abbattere il Trono, proclamare la Repubblica... Ma, giunte le nuove di Napoli, la comitiva, già in marcia, scioglievasi». Dunque vi è abbastanza per giudicare che vi fosse stato ili tentativo preordinato tra i «liberali effervescenti” delle provintet, e le «teste calde» come il La Cecilia, di suscitare in Napoli il 15 maggio un tumulto, che promovesse la guerra civile, Quel tentativo fu celato ai più moderati, di non dubbia fede liberale, come il De Concilij, che col suo reparto di G, N. della metropoli rimase spettatore del tumulto. Ma credo che non si possa dubitare che se i combattenti delle barricate avessero potuto alcun poco resistere, sarebbero, presto accorse numerose masse dalle province in loro sostegno.
(54) Cavalca un torrente lungo la «via nazionale», prima di giungere a Mugnano.
(55) –Il Purcaro convocò in piazza una riunione, in cui, fra alte grida ed imprecazioni al Re, fu acclamato generale. Tentò d'impadronirsi dei 36.000 duc. del «procaccio postale», che portava quel danaro dello Stato a Napoli. Li rilasciò poi per l'Intervento del vescovo, Franc. Capezzuto, che diede di suo 300 ducati ai rivoltosi. Si temevano gravi eccessi da parte de' più scalmanati. Questi andavano gridando che si dovevano dare «al sacco e al fuoco» le cose di tutti coloro, che non avevano dato il nome ai «comitati segreti». Su questo episodio, ricostruito su attendibili fonti inedite, v. ora, A. Zazo, Gli avvenimenti di Ariano del 16-18 maggio 1848 in Samnium, luglio-dic. 1948 e dello stesso, Ariano Irpino dopo gli avvenimenti del 15 maggio 1848 in Samnium, gennaio-giugno 1949.
(56) - Fra costoro erano Fedele Carchia, l'avv. Raimondo Albanese, il marchese Rodolfo d'Afflitto; i sacerdoti delle famiglie Del Conte, Maurantonio, Grassi e parecchi altri.
(57) - Soltanto il Mottola (sempre con poco rispetto al suo abito) per raddolcire il disinganno, quando tornò in paese, fece dar nelle campane, gridar vittoria, ed annunziare che in Napoli il Re aveva rimessa in vigore la costituzione del '20.
(58)- Accanto ai nomi di borbonici sfegatati, si trovano anche quelli di liberali moderati, come il march, Ettore Filioli, l'avv. Ant. de Cristoforo; il sac, Viincenzo Miroballo, già esule a Roma per i fatti del '20; Stefano Preziosi, Gabriele Damiani, e persino taluni, definiti «accesi», come Enrico Capozzi, Gioacchino Orta, Emilio de Feo, con un Rosa. un Jandoli, Domenico Capuano, ecc. Tanto poteva turbare gli animi, col temuto avvento della repubblica, lo spaventoso spettro del tempo del Terrore!
(59)- Su questo episodio, v, ora anche A. ZAZO, La «Dichiarazione intorno alla lettera degli Avellinesi al Re», del 18 giugno 1848, in Samnium, gennaio-giugno 1949,
(60) CANNAVIELLO. Le elezioni cit.; p. 52 (dell'Annuario 1928-29 del Lic, Ginn. P. Colletta di Avellino),
(61) Arch. di Staio di Napoli, Minist, degl'Interni, Fascio 1085 (fascicolo, interno, n. 1329): «...Il collegio elettorale di Montella, prima di venire alla votazione, ha consacrato nel suo verbale ciò cho. segue: Il presidente [era questi l'avv. Filippo Capone, ricordato, come si è detto, a proposito del 15 maggio, nella Ricordanze del Settembrini] quindi ha invitato a procedere alla elezione dei deputati.,, Diversi però degli elettori hanno domandato la parola, proponendo al collegio elettorale di voler protestare contro la illegalità dello scioglimento delle Camere, fatto con decr. 17 maggio corrente anno, perchè queste, non legalmente costituite, eransi sciolte; per protestare contro gli altri atti del governo, che a questo hanno tenuto dietro, come tendenti a distruggere la libertà del paese, In seguito di tale protesta, molti elettori hanno preso successivamente la parola per appoggiarla, e nessuno essendosi presentato per combatterla, riassunta la discussione, abbiamo messa ai voti la seguente proposizione: «Tutti coloro, che credono doversi protestare contro gli atti dell'attuale ministero, alzino la mano», cosa che tutto il collegio ha fatto unanimemente Uno de' segretarii, espressamente incaricato ha presentato al collegio un progetto di protesta, il quale discusso, ed approvato qui si trascrive: «Il collegio elettorale di questo circondario unanimemente protesta contro il decr. del 17 maggi 1848, con cui si è sciolta la camera dei deputati al Parlamento del Regno prima che fosse legalmente costituita, con che il governo, uscendo dai limiti de suoi poteri, ha annullata l'elezione e violato lo statuto costituzionale. Protesta contro tutti gli altri atti, che a quel: primo decreto han tenuto dietro, e sopra tutto contro quello del 24 maggio 1848, con che sonosi violate e tolte le libertà al paese, con tanto plauso della nazione proclamate nel programma ministeriale del 3 aprile, e decr. del 5 dello stesso mese, e in altri atti alli medesimi correlativi. Mentre così solennemente protesta, ritiene per nulle le abrogazioni di questi ultimi atti, come quelle che non erano nelle facoltà del potere esecutivo ai termini della costituzione medesima. Ma siccome l'annullamento delle elezioni precedenti è un fatto consumato già da forza irresistibile, mentre contro esso questo collegio altamente protesta, dichiara di venire alle nuove elezioni solo per vedere presto costituita l'Assemblea nazionale. Nel tempo stesso però impone agli eletti il mandato espresso di fare che le cose vengan restituite quali erano al 14 maggio corr. anno », etc.
(62) II colonnello Luígi Cianciuili non ripresentò la candidatura, essendo stato chiamato, sin dal 13 maggio '48, a far parte della Camera dei Pari. Il Santangelo, rimasto soccombente, entrò in Parlamento a 3 febbr. '49, per effetto di altra elezione, provocata dalle dimissioni del colonnello Degli Uberti,
(63) Gli estensori, che rimasero anonimi, della, dichiarazione, non possono esser diversi da coloro, che avevano presentate le loro proteste, scritte, nei seggi elettorali, Fra questi, tenuti dipoi specialmente di mira dalla occhiuta polizia, sono i più bei nomi del liberalismo irpino: Francesco Montuori, Giuseppe Mirabello, Tommaso Imbimbo, Marciano Tarantino, Federico Papa, Serafino Soldi, Michelangello de Feo, Lorenzo Filidei, Bartolomeo Barrecchia, Nicola Baratta, Emidio de Feo, Giuseppe Festa, Antonio Denti, Pirro Giov, de Luca, Carlantonio Solimene, Giosuè Speranza, Enrico e Luigi Solimene.
§ 7. - Le persecuzioni politiche, dopo i moti del '48.
Grande era, in tutta la provincia, l'affaccendarsi delle spie, che denunziavano alla polizia il lavorio delle società segrete. L'incarico d'indagare nel P. U. venne affidato al commissario Maddaloni. Il quale, il 15 aprile '49, riferì d'essersi recato in prov. di Avellino, e di aver visitato varii luoghi del suo circondario, e di quello di Ariano, sino a Grottaminarda, per investigare sullo spirito pubblico, e sulle condizioni politiche di quelle popolazioni». Aggiungeva che da due o tre mesi «per opera dell'ex-deputato Imbriani, di Nisco, e di altri, si tentò d'iniziare in diversi comuni i circoli della nuova setta degli Unitari italiani» (64).
Anche nei circondari (ora meglio si direbbe «mandamenti») di s. Martino V. C., e di Cervinara, secondo una deposizione, resa il 9 maggio '49, esisteva un «numeroso partito repubblicano» (65). Inoltre l'Intendente di P. U., Mariano Terzi, fu sollecitato a rispondere ad una «riservatissima» del Ministro di polizia» del 24 febbr. ’49, che comunicava la denunzia, a lui pervenuta, contro vari «capi di clubs». Costoro si sarebbero recati a Napoli, dove si erano abboccati con alcuni deputati «per porre ad effetto sinistri disegni» (66).
Questo infittirsi di accuse e di sospetti dimostra che si era ancora lontani dal ritorno della calma. La quale, per giunta, era minacciata ogni momento da sussulti improvvisi. In Avellino, ad esempio, regnava grande animosità fra le truppe regie e la G. N., (che si erano sempre guardate in cagnesco sin dal 15 maggio, allorchè s'erano trovate di fronte; a Napoli, sulle barricate) anche dopo che la G. N., sciolta dispoticamente, era stata ricostituita con decr. 8 giugno 1848. In essa rimaneva sempre il fermento dell'antica avversione; sarebbe bastato un nonnulla, perchè divampassero le ire sopite, e avvenisse un massacro. Uno dei tenenti, eletto Avellino dopo la ricostituzione della G. N., era Francesco, figliuolo del barone Brescia. Questi per l'appunto, per la sua indole troppo avventata, fu causa, la sera del 27 febbr. '49, di un subbuglio improvviso. Il quale fece temere un conflitto armato alla cittadinanza, che, in preda al terrore, ne prevedeva le tristi conseguenze (67).
(64)- Aggiungeva che «associazioni di tal natura ebbero breve ed imperfetta vita in Avellino, Zungoli, Mirabella, Altavilla... Roccabascerana e Candida, ma ben presto crollate...». Da altri doc., conservati nella Bib. Prov., risulta che Scipione Capone, di Montella, minor fratello dell’avv. Filippo, fu tra gli imputati, anche lui, del processo degli Unitarii. Ma l'avv. Andrea, suo padre, riuscì a farlo prosciogliere nel periodo istruttorio,
(65)- I capi sarebbero stati l'arcipr, D, Giov. Soldi, di S, Martino V, C., e D. Gius, Capone, di Altavilla. Erano denunziati, come «soggetti più attendibili», in Altavilla irpina i fratelli Liborio e Ferdinando Capone; Gaetano e Nicola Severino; in Cervinara la famiglia Verna, e Giuseppe Sbordone; in Roccabascerana Gaspare Imbriani ed i congiunti Angelo e Francesco; Luca e Francesco Ciccotti; mastro Paolo Parrella; Ferdinando Gabriele; Antonio, Rossi e Pietro Izzi; in s. Martino V. C. Francesco Del Balzo e Serafino Abbate. Nel «processa della setta di Montesarchio» fu implicato anche l'avellinese Lorenzo Riola, Un tal Vercillo depose il 22 a-maggio '49 che, recatosi a Roccabascerana la Domenica delle Palme, aveva da D. Franc. Imbriani avuta l'iniziazione alla setta, e ne descrisse il rito,
(66) Si trattava di Domenico Capuano; Modestino de Feo; Festo Vetroni; Serafino Soldi, e Pirro Giov. de Luca. L'Intendente asserì che avevano fatto il viaggio «per ottenere delle abilitazioni per il novello uniforme della G, N., ed a tal fine avevano avuto abboccamenti con qualche deputato», Non sembra troppo magra la scusa?
(67) II fattaccio veniva riassunto cosi: Una pattuglia di G. N. aveva fermato soldato di P S., per certe parole oltraggiose al suo indirizzo, Il Brescia credette che da quel soldato, in preda all'ubbriachezza, si fosse voluta offendere, come istituzione, la G. N. Lasciandosi trasportare da un impeto d'ira, diede a colui una guanciata, e lo fece rinchiudere nel corpo di guardia. L'Intendente, appreso il fatto, aveva ordinata la liberazione del soldato e ordinato l'arresto in casa del tenente Brescia, Ma la soldatesca, non contenta, assunse un contegno minaccioso e petulante. Alcuni provocarono un tale Tango, ufficiale di picchetto della G. N.; parecchi, baldanzosi, andarono a tumultuare innanzi alla casa del Brescia, per domandare sodisfazione; altri, venendo ad alterchi. si azzuffavano qua e là, con le GG, NN., riportando anche percosse e ferite. Ad un tratto fra il popolo allarmato si sparse la voce - ed era il vero - che quaranta Guardie Nazionali, uscite dal loro quartiere presso Porta Puglia, armate di carabine con munizioni, marciavano verso il centro della cittá. Ed avvenne allora un serra-serra, per il terrore del prossimo conflitto, e lo spavento degli eccessi, che, dopo, avrebbero potuto commettere le soldatesche inferocite.
Il sollecito accorrere dell'Intendente impedì il peggio, ma non potè scongiurare un grave provvedimento contro la G. N. -- Questa, già messa in cattiva luce per i processi di Roccabascerana, S. (Martino V. C., e Altavilla, fu, dopo il tumulto di Avellino, assoggettata ad un generale disarmo. — D'altra parte, neppure questo radicale provvedimento fu esente da manifestazioni clamorose, per protesta o per malinteso, come avvenne in s. Angelo dei Lombardi, dove tra i responsabili, fra le maggiori autorità locali, si volle includere persino il sotto-intendente, Girolamo ;Ruffo (68).
In quel dedalo di sospetti della polizia, di accuse di privati, o di persone, rivestite di cariche pubbliche, neppure le autorità superiori della provincia riuscivano ad orientarsi. Infatti l'intendente Terzi dichiarava, nel maggio '49, senza fondamento le voci di «sospette riunioni segrete» in Ariano. Non molto dipoi, il 7 giugno, il medesimo Terzi riferì al ministro di polizia che «in Ariano serpeggiava una cupa voce, che, fra giorni, una massa di male intenzionati doveva eccitare il popolo alla ribellione, proclamando la repubblica» (69). E, dopo 3 giorni, annunziò di aver fatto procedere a numerosi arresti (70). — Dal ministero cui dovevano sembrare troppo frivoli i motivi addotti, cioè che «sospette riunioni notturne» si tenevano in casa di cittadini non esenti da sospetti politici, «sotto colore di leciti divertimenti», venne l'ordine di liberazione degli arrestati, e fu imposto al Terzi, per conoscere la verità de' fatti, di recarsi di persona in Ariano. Colà all'Intendente parve di toccar il cielo col dito, quando il 23 giugno potè comunicare le «informazioni sullo spirito pubblico e su parecchi liberali», a lui fornite dal tenente della P. S. Pa gano (71). Ma .(cosa strana anche al raccontarla!) fu costretto, di lì a poco, a smentirsi (72).
Era possibile che si trattasse di fantasie, o di sogni ? Non si può far a meno di pensare che sotto quel cumulo di accuse, che rimbalzavano dal campo dei «liberali accesi)) a quello dei «moderati», e viceversa, — triste frutto di beghe locali, gelosie, ambizioni deluse, vendette personali, — qualcosa di vero, alla fin fine, doveva pur esservi!
Certo è che il continuo, affannoso affaccendarsi della polizia, gli arresti, che si susseguivano numerosi, la istruzione di tanti processi politici, proseguivano a tenere il popolo in uno stato di perenne eccitazione, che giustificava i non infrequenti allarmi. — Un caso tipico di questi si può riconoscere nel fuggi-fuggi, accaduto il 23 marzo 49 tra la folla, che partecipava al tradizionale, frequentatissimo mercato di Atripalda (73).
(68)- Sin dai 4 aprile era stata presentata una denunzia, con cui il Ruff o, insieme con Don Vitaliano Libetta, ricevitore distrettuale, e il capitano della G. N. era accusato di essersi recato a Napoli «per attingere notizie sui fatti di Palermo, Lombardia, Torino, Firenze e Roma, per manifestarle ai demagoghi, come loro». L'intendente, dopo aver prese informazioni, aveva dichiarato che all'accusa mancava qualsiasi fondamento. Il 9 aprile, giunto l'ordine del disarmo della G. N., i liberarli erano stati presi da un grande scoramento. Se ne riscossero quando, non molto dipoi, il Ruffo, certo per un malinteso, annunziò la revoca del provvedimento. Allora venne riaperto il corpo di guardia, e fatto «sonare il tamburo alla generale». Il Ruffo in casa sua imbandì un banchetto, cui invitò anche il sindaco, Questi, dal canto suo «diede animo a cantare la canzone alla Lombardia». Dipoi, la notte dal 22 al 23 alcuni ignoti avevano rimossi dalle pareti della cattedrale le immagini de' sovrani.
(69)- La parola «repubblica», che di tratto in tratto risuona come un ritornello, dovrebbe per tutti esser un chiaro accenno agli effetti della propaganda mazziniana, anche se non vi furono dei nuclei, regolarmente costituiti, della «Giovane Italia».
(70)- Furono carcerati Raffaele Bilotta; Nicola Luparelli; Raffaele Maineri; Carlo Martucci; Vincenzo Voccoli; Giov, Batt. Pitti; l'ispettore Raffaele Rulli; Giuseppe Aliprandi, ed il tenente Angelo Pagano. Osservava l'intendente che tale operazione aveva prodotta una generale scossa e terrore,
(71)- Il Pagano, ch'era uno degli arrestati, e poi liberati, asseriva che « sin dal maggio aveva concepita una sfavorevole opinione sullo spirito pubblico, quando campeggiavano le notizie di Roma pel ritorno delle nostre truppe [disfatte da Garibaldi a Monte s. Giovanni]. Aggiungeva che unioni criminose avvenivano in casa di D. Melchiorre Imbimbo e di D. Fedele Carchia, e nella farmacia di D. Agostino Parzanese. Il ricevitore distrettuale Ciaburri avrebbe fatto persino degli accenni al «palo» [albero della libertà], .già preparato e nascosto in una delle grotte, circostanti ad Ariano.
(72)- Gli accusati dimostrarono che D. Giuseppe Aliprandi (anche lui tra gli arrestati del 10 giugno) «aveva mosso il tenente Pagano a rapportare il falso, mentre egli voleva fomentare partiti, e indurre i buoni cittadini ad opere avventate».
(73)- Quell'enorme putiferio era stato provocato da un facchino che, per equivoco o ad arte, aveva annunziato, gridando, lo scoppio di una sommossa nella prossima città di Avellino.
Ma non sempre i denunziati, palleggiandosi a vicenda le accuse e le responsabilità, riuscivano a cavarsela per il rotto della cuffia. II più delle volte alle denunzie, ed agli arresti, tenevan dietro lunghi mesi di carcere, in attesa dei procedimenti penali (74). Per citarne un esempio, l'arciprete Soldi di s. Martino V. C. arrestato ai primi del maggio '49, dovè. attendere per un biennio il giudizio, da cui fu assolto (75). Nè la sentenza sarebbe stata così clemente, se non si fosse stato alla vigilia della promulgazione del rescritto 19 maggio 1851, che sospese i giudizi politici, imponendo un improvviso arresto alla macchina giudiziaria.
Degli altri processi ci sono pervenute notizie soltanto di alcuni, celebrati in Avellino, o in Napoli. De' primi, i più notevoli furono quelli a carico di Nicola Nisco (76) e Francesco Montuori (77); del canon. lannelli di Mirabella (78): di Pasquale del Balzo (79), di Antonio Moscatiello di Bagnoli Irpino (80), dei fratelli De Laurentis di Torella de' Lombardi (81); processi, che si chiusero, per pochi, con lievi condanne. — Angelo ed Antonio Carfora, e Cosmo Viscione, condannati il primo e il 3° a 19 anni di ferri, il secondo a 25 furono poi graziati dal Re (82).
In quanto ai processi di Napoli, avendo già accennato á quello contro Nicola Nisco, sappiamo che i più notevoli furono quelli contro Michele Pironti (83) ed il sac. D. Antonio Miele (84).
Ma non è da credersi che si limitasse a queste sole persone la persecuzione per i reati politici. Pur non essendo sopravvanzate le carte processuali, non mancano docc., che ci fanno conoscere altri accusati in buon numero.
Un elenco, intitolato «Imputati politici sotto giudizio», ci presenta molti nomi di abitanti nei comuni della Baronia (85); di Andretta (86) ; di Bagnoli Irpino (87) ; di Cervinara (88) ; Di Mercogliano (89); di Vallata (90): ed anche della Valle Caudina (91).
In un altro «elenco di detenuti del P. U.», con alcuni residenti in Avellino (92) soro nominati altri di Cervinara (93), Roccabascerana (94) (implicati nel processo degli «unitari») ed anche di Greci (95).
E non basta ancora. Vi sono ancora tre altre liste di nomi, dalle quali si possono trarre utili informazioni per gli «accusati di reità politica».
Nel 1° elenco, del 9 genn. 1850, si leggono, oltre le generalità di 101 latitanti, quelle di 31 carcerati, tra i quali sono de' cittadini di Roccabascerana (96), di Cervinara (97) e di Bonito (98).
Nel secondo, che porta la data del 6 febbr. '50, troviamo non solo parecchi nomi già noti, ma anche altri di Vallata (99) e Castelbaronia (100); di Roccabascerana (101) e Cervinara (102) e S. Martino V. C.(103); ed anche di Bonito (104).
Un doc. di una certa importanza .è anche il terzo elenco, di «soggetti attendibili, che non hanno subìto giudizio, ma sono sotto la vigilanza della polizia». Vi si riscontrano anche altri nomi di Ariano (105), di Montecalvo (106), di Montemale (107) [ora s. Arcangelo Trimonti], di Casalbore (108), di Flumieri (109). — Peccato, che sia circoscritto solo ad Ariano, ed ai suoi dintorni !
(74)- Nel giugno erano stati tradotti, nelle carceri di Avellino, Francesco ed Achille de Nicolais, di Cervinara In quella terra il 31 luglio erano stati arrestati D. Onofrio Verna; D. Andrea Piccolo. I loro compaesani Simone e Ferdinando Finelli furone, tutti implicati nel processo degli «unitarii». Era fra essi l'avellinese D. Gioacchino Testa, accusato inoltre di avere scritta in carcere, più tardi, «una sacrilega poesia». Il 4 luglio fu chiuso nel castello di Montesarchio il «carrese» Saverio Vitagliano di s. Martino V. C. In agosto fu tradotto in Avellino il cappellaio Giovanni Corcione, compaesano di lui.
(75)- Tra le accuse più gravi erano le seguenti: Il giorno di Pasqua [8 aprile '48] aveva nella sua chiesa interrotta la predica del quaresimalista P. Tommaso Serre, mentre invocava la benedizione divina sul Re e sui ministri, gridando che costoro, «d'alle potenze straniere erano stati riconosciuti come tanti assassini». [Non sembra che riecheggi, in queste parole, anticipato, il giudizio di Lord Gladstone sul «regno della negazione di Dio»?] Il giovedì in Albis aveva tolta dal cappello di una G. N. la regia coccarda rossa, facendola a pezzi. Verso la fine di maggio aveva accolti in casa sua gli ex triumviri della “repubblica» di Ariano, Sfuggì all'arresto riparando in Benevento, ove l'arciv, lo sottopose a sanzioni canoniche Inviato per gli esercizi spirituali in s. Angelo a Cupolo, fu quivi arrestato, e poi chiuso nelle carceri di Avellino. Assoluto con sentenza 17 febbraio 1851, tornò a S. Martino e vi rimase, «soggetto a stretta vigilanza».
(76)- Gli elementi di accusa, per l'opera svolta in P. U., furono raccolti del cap. della G.N. D. Giov, Sbordone. Più gravi erano i carichi, per l'attività svolta nella capitale. Arrestato l’11 nov. '48 in Napoli, fu chiuso nel carcere di s. Francesco, Poiché dalla G. Corte speciale di Napoli era stato condannato a 30 anni di ferri con sent. l° febbr, '51, gli atti del processo di Avellino, il 13 maggio seguente, furono mandati in archivio.
(77)- Il 27 marzo 1950 fu legittimato l'arresto di lui, e di altri 10 della Valle Caudina [Capparelli Nicola; Del Balzo Francesco; De Marco Francesco; Gallo Giovanni; Perone Giuseppe; Taddeo Crescenzo; Vaccarielli Alessio; Verna Antonio, Federico e Luigi]. Alcuni testimoni affermavano che da questo nucleo, — uno de' pochissimi, in ogni modo, — fosse stato emesso il grido: «Viva la repubblica! Viva il comunismo. Ci dobbiamo dividere la roba altrui !» [Ecco qual era la pretesa teoria comunista, prima ancora che fosse stata formulata da Carlo Marx!] Il grado sociale dei pretesi «repubblicani-comunisti» » si desume dal fatto che la loro difesa venne assunta dai più valenti deputati di Avellino, alcuni de' quali di fede borbonica pura, (come Giov. Franc. Lanzilli, il capolista della «famosa» dichiarazione di fedeltà a Ferdinando II).
(78)- Aveva costui insolentito contro il vescovo, con l'opuscolo: «Poche parole d'un prete cattolico al clero della diocesi di Avellino», Ordinato l'arresto, non fu mai eseguito. Dopo il Rescritto del '51, fu dichiarata estinta l'azione penale contro di lui.
(79)- Furono arrestati con lui D. Tommaso Imbimbo, D, Bartolomeo Barrecchia
e il già detto D. Gioacchino Testa, Dopo varie vicende, il '25 ott, '52 la G. Corte crimnale dispose che il Montuori «venisse rilasciato sotto consegna a persona idonea», con da cauzione di 200 ducati.
(80)- Accusato di «cospirazione, tendente a cambiare la forma del governo , e di aver fornito aiuti ai fratelli Cione, detenuti in Avellino». Il denunziante ritirò l'accusa, e il processo non andò oltre.
(81)- Per D, Raffaele, assente, il 7 agosto 1850 fu disposto il rimando degli atti all'archivio, Per D. Michele Antonio, detenuto, fu pronunziata, il 2 ott. 50, la condanna ad un anno di carcere. Forse non finì di scontarlo, essendo sopraggiunto l'indulto, per il Rescritto del 19 maggio 1851.
(82)- Questi appartenevano al gruppo de' rivoltosi della Valle Caudina.
(83)- Il personaggio è così noto, che non crediamo dover darne altri cenni. Fu arrestato il 3 agosto '49.
(84)- La Gran Corte di Napoli, con sent. 8 lugl. '50, per i fatti del '48, lo rimandò alla Gr. Corte di Avellino, di cui non avanza il processo. Invece, con sent. 10 febbre. '51, nel processo contro gli “unitarii». fu condannato a sei anni di relegazione in un'isola, Era stata stabilita la sua partenza per Ventotene; ma, dopo il Rescritto del 19 maggio, il 12 lugl. '51 fu prosciolto dalla pena, — Gli fu compagno, in quel processo, il frate secolarizzato Giuseppe Tedeschi di Torella dei Lombardi.
(85)- Eccoli : Vincenzo Campobasso, Giuseppe Lamipariello; Pellegrino Migliore; Decio Cecere. Furono processati il 28 agosto come «spargitori di voci allarmanti».
(86)- Nicola Frieri; Camillo e Domenicant. Miele; Vincenzo e Michelant, Alvino; Sabatino Iacovillo, processati per reati politici; il [giudice] «supplente di Andretta». Il proc, è del marzo 1850.
(87)- Angelo, Luigi, Raffaele ed Alessandro Cione furono processati nel marzo 1850 «per aver preso parte agli ultimi rivolgimenti politici.».
(88)- Il 16 febbr, erano “sotto processura per reati politici» Lorenzo Palomba;
D. Francesco, D. Carlo, D Vincenzo, e D. Giuseppe del Balzo; Achille de Nicolais; Nicola Verna.
(89)- Si procedeva contro Pietro Matarazzo «imputato di propositi, oltraggianti la Sacra Persona •del Re».
(90)- Per imputazione politiche si segnalava Porfido Zumara.
(91)- Erano, in genn. 1850 «detenuti per imputazioni politiche» Francesco ed Angelo Imbriani; Gaetano Natto; Vito Caputo e Gius. M. de Ferrariis. Inoltre, «per le voci sedizione dell’8 ott, 1849» furono pure carcerati Pasquale del Balzo; Pasquale Cioffi; Crescenzo Taddeo; D. Francesco Cioffi; D. Federico Verna; e, poco più tardi, «per causa politica» Luigi Bocchino, Carmine Imbriani, Rosario Mansi; Angelant. Maurantonio; Ludovico Loto; Nicola Capparella e Nicola Palomba, Luigi Martucci. Erano da arrestarsi- Costantino Polito, e D. Luigi Ricca.
(92)- Il P. Angelico da s. Nicandro [Garganico] era stato segnalato all'Intendente «per la sua irrequieta condotta». Si propose di farlo trasferir», da Avellino [s. Francesco?] ad altro convento. — Forse aveva relazioni col noto legale D. Gioacchino Testa, ricordato nell'elenco stesso.
(93)- Si trattava di Luigi Verna «proprietario», e Giuseppe Perone «bracciale».
(94)- Viene ricordato: Angelo Imbriani «proprietario».
(95)- Due umili «bracciali» [operai, che lavoravano a «giornata»]. Leonardo Pucci, e Domenico Ghiatta, erano «imputati di far parte di società segrete, per proclamare la repubblica, e per avere concorso alla formazione delle barricate in Ariano».
(96)- Erano costoro D. Domenico Leoni; Giuseppe Corbo; Pasquale Donisi; D. Francesco Imbriani.
(97)- Si trattava di Federico e Francesco Verna, e di Pasquale del Balzo.
(98) Si chiamavano: Sabino Vitagliano, Antonio Verna; Pasquale e Franc. Cioffi, Francesco D'Onofrio, e Orazio Mauriello. — Forse solo l'ultimo era di Bonito.
(99) Si parla di Antonio Sena fu Vito; Nicola d'Addeo; Gaetano Pennella
(100) Eccoli: Porfidio Zumarra col figlio Francescant.; Vito Michelangelo Cornacchia; D. Carlo Netta; D. Michelang, Cirillo,
(101) Erano D. Carmine, D. Michele, e D. Gaspare Imbriani, di Michele.
(102) Oltre gli Sbordone, i Verna, i Del Balzo, i Piccolo, i D'Orsi, i De Nicolais, viene poi ricordato anche D. Francesco Cioffi.
(103) Si nominano D. Serafino e D. Nicola Abate.
(104) Si ricorda il solo Orazio Mauriello, cui si è accennato già sopra.
(105) Ve n'è uno solo, ma significativo il sac. Pietro Paolo Parzanese.
(106) Erano D. Giov. Batt. e D. Fabio De Marco; D. Pasquale Chiancone; D. Felice La Vigna e D. Nicola Pozzoli.
(107) V'è il solo D. Francesco Caruso.
(108) Si nomina D. Michele De Nucibus,
(109) Si tratta di Domenico Piccirillo.
Insieme con i carcerati, e con i «vigilati», sono da porre anche quelli che furono sbanditi dal proprio luogo di nascita, ed assegnati altrove al confino di polizia. Astenendoci, per amore di brevità, dal tener conto di quelli che da Napoli, o da altre terre, furono mandati in Avellino, o ne' comuni della sua provincia ci basterà accennare soltanto agl'Irpini, sbalzati altrove.
Tra i più illustri, ricordiamo Gaetano Trevisani, esiliato da Napoli a Campobasso, mentre un altro valente giurista, Michele Solimene (110), di s. Andrea di Conza, era confinato in Avellino. Alcuni avellinesi furono trattenuti in Napoli (111), mentre Paolo Anania De Luca era costretto a tornare da Napoli a Montefusco, come Michele Santangelo a Mercogliano, e Federico Grella a Sturno:
Dopo il Rescritto del 19 maggio '51 i carcerati, rimessi in libertà, e, insieme con loro gli esiliati, ritornarono quasi tutti, meno pochssimi (112), alle proprie case.
Ma non venne per nulla allentata la sorveglianza su di essi, e su gli altri liberali, ad opera dell'Intendente (la cui memoria, nei miei primi anni, ricordo che veniva con passione maledetta), Pasquale Mirabelli-Centurione, che tenne dal 22 febbr. 1850, al 3 ott. 1859, il governo del Principato Ultra. Al suo cieco odio per la idea liberale, alla sua fanatica devozione verso il Re, è dovuto quel monumento canagliesco (che nella sua intenzione voleva essere d'ignominia, e fu invece di gloria), con cui alla pari o peggio dei comuni delinquenti furono assoggettati alla sorveglianza ed alle vessazioni della polizia gli «attendibili in politica», residenti in Avellino, e nella provincia. Non ci possiamo esimere dal dovere di far conoscere quei nomi, dandone, qui sotto, un elenco in ordine alfabetico di cognomi. (112).
(110) Nato il 1795, mostrò dalla prima sua giovinezza, anche in pubblici concorsi, la sua profonda conoscenza nelle materie giuridiche e in economia politica. Emigrato in Francia, s'era procacciata grande fama per importanti opere di diritto pubblico, date alle stampe. Ritornato in Napoli nel "48 pubblicò il «Corso di diritto costituzionale», che, divenuto par lui un capo di accusa, fu cagione non ultima del suo confino nel capoluogo dell'irpinia.
(111) D. Francesco Imbirnbo, trattenuto «per addebito di attività nella provincia», dopo due mesi, il 7 giugno '50, chiedeva di potar tornare, — Chiedeva lo stesso il 5 agosto Michele Villani, «sotto mandato da 5 mesi». Anche D, Francesco Brescia, confinato da tre mesi a Napoli, chiedeva, verso stesso tempo, un permesso di 15 giorni.
(112) In un doc., si afferma che i carcerati erano quattro; ma si ricordano i soli nomi di Nicola Nisco, e Vito Porcari. — Gli altri due rimangono ignoti.
(113) Balestrieri Gaetano e Domenicant.; Barbaro Modestinant.; Barra Pompilio; *Barrecchia Bartolomeo; *Capozzi Enrico; *Capuano Domenico; *Cerrati Nicola; Damiani Gabriele; De Biase Agostino; De Conciliis Giovanni e Filippo; * De Feo Emilio, * Michelangelo, e Pietrangelo; De Luca Pietro, di Montefusco, e * Pirro Giovanni; * Denti Antonio; De Salvia Angelo M.; * Festa Giuseppe; * Filidei Lorenzo [segnato due volte]; Iandolo Pasquale e Rosario; * Imbimbo Tommaso e Francesco; Luciani Raffaele, Luciano Modestino; Melillo Raffaele; *Mirabelli Gius. e Vito; *Montuori Francesco e Nicola; Orta Gioacchino; * Papa Federico, di Mercogliano; Pelosi Pasquale; Pepere Pietrantonio; Pianeti Francesco; Plantulli Cesare; Roca Giosuè; Rossi Francesco Saverio, e Giacomo; * Soldi Serafino di S. Martino V C.; * Solimene Carlantonio ed Enrico; * Siniscalchi Giovanni, di Forino; * Tarantino Marciano; Troyse Federico Modestino; Vetrone Festo. — I contrassegnati con asterisco, presi particolarmente di mira, furono «biografati, in una «riservatissima» del 28 maggio 1853. In questo elenco dei più temuti liberali furono aggiunti alcuni, che nell'altro non erano stati inclusi.
A questo punto crediamo bene chiudere la succinta esposizione dei moti, avvenuti in Irpinia nel '48, e della scia dolorosa, ch'essi lasciaronsi dietro, di persecuzioni, non senza rivolgere il nostro pensiero, memore e riconoscente, ai nostri padri, che tanto soffrirono per un altissimo ideale.
A chi dicesse, che la loro sofferenza più grave fu quella, di non aver potuto raggiungere lo scopo, per il quale avevano lottato, noi diamo ragione ma aggiungiamo che il loro sacrifizio, il martirio di alcuni di essi, i tanti dolori non furono vani. La libertà, l'indipendenza, l'unità della patria furono, per fortunata coincidenza di eventi posteriori, e per senno e valore di uomini non comuni, il frutto meraviglioso che sbocciò dell'opera di quelli che, come loro, in ogni parte d'Italia, tutto osarono, tutto offrirono, anche la vita, e nulla pretesero per sè, conservando sempre nel cuore una fermissima fede nei destini della patria comune.
SAMNIUM 1949 pp.123 - 149
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