LA "RIVOLUZIONE" DEL 1860 A BENEVENTO
( Da : Rampone, Salvatore, "Memorie Politiche di Benevento" D'Alessandro, BN, 1899 )
[...] Come la ridente aurora annunzia un bel giorno di primavera, così il 1860 fu foriero di un prospero avvenire per Benevento. Le sante aspirazioni di Dante, di Macchiavelli, e di tanti martiri italiani erano per divenire una realtà. L'apostolato di Giuseppe Mazzini, i supremi sforzi, da esso fatti per la conquista della libertà e della indipendenza della patria, mediante l'unità, stavano per raggiungere la meta. In fatti, riscattata la indipendenza, mercé il sangue sparso a Palestro e a S. Martino, ed ottenute delle franchigie con la pace di Villafranca, e col trattato di Zurigo, i patrioti d'Italia, seguendo i consigli del venerando proscritto, rivolsero i loro sforzi alla parte meridionale della penisola, che ne aveva maggior bisogno, perché sottoposta al giogo dei Borboni, - dinastia aborrita, e per indole avversa ad ogni principio di libertà e di progresso. Fu allora che alcuni liberali di questa città compresero esser giunto il momento di procurare al paese natio un serio e radicale miglioramento, e, senza por tempo in mezzo, diedero esecuzione a idee già maturate, concorrendo, in pari tempo, al movimento unitario nazionale, per far grande e libera la patria comune. A me toccò l'onore dell'iniziativa. Avendo nel 1848 fatto parte della Giovine Italia, partito creato da Giuseppe Mazzini per l'unità nazionale, ed avendo militato contro le truppe francesi nel 1849, in difesa della Repubblica Romana, non potetti rimanere indifferente in quei supremi momenti: ma scosso ed animato dalla voce del dovere, risolsi di organizzare un partito, per prestare il maggior possibile concorso al movimento nazionale, e vedere anche unita Benevento alla grande famiglia italiana, assicurandole, simultaneamente, una posizione più splendida e rispondente ai suoi bisogni ed alla storica sua tradizione. Per l'attuazione di tale proposito si affacciavano gravi difficoltà, - la mancanza di mezzi finanziarii, - il difetto di gente risoluta ad affrontare i sacrificii, occorrenti per un pericoloso lavorio, e per 1' attuazione della rivoluzione: però l'ardente desiderio della riuscita le fece superare; sicche', nel febbraio del detto anno, riuscii a comporre un comitato insurrezionale col programma Italia e Vittorio Emmanuele, nelle persone dei signori avvocato Domenico Mutarelli e Giacomo Venditti, membri - di Francesco Rispoli segretario, e di Pasquale Capilongo fu Luigi, cassiere. Posteriormente, e quando già l'organamento del partito era un fatto compiuto, - per le istruzioni ricevute dal Comitato centrale, - fu il Comitato di Benevento rafforzato con altri elementi, ed ne fecero parte, i signori Nicola Vessichelli, Gennaro Collenea, marchese Giovanni De Simone. Fu ciò consigliato dalla necessità di viémeglio paralizzare le mene dei reazionarii, ma che, in ultimo, non raggiunse l'intento. E qui cade opportuno smentire quanto fu da altri scritto, in ordine alle persone, che componevano il Comitato insurrezionale nel 1860, ignari forse dei fatti relativi alla rivoluzione beneventana, o perchè animati da spirito di partito. Così il barone Nicola Nisco, nel libro dal titolo Francesco II, fece figurare i Capi della Camarilla, come componenti il detto comitato insurrezionale, mentre invece furono, esclusivamente, quelli da me indicati. Niente di più facile, che anche la Camarilla si fosse costituita in comitato, ma non certo per concorrere alla rivoluzione unitaria, sibbene per la propria difesa personale, e pei proprii interessi, giacché sapeva di essere odiata e minacciata dal popolo. Con eguale inesattezza e parteggiamento parlò dell'istallazione del governo provvisorio, e degli uomini, che lo rappresentarono, ai quali non si degnò neanche dare il titolo di signore tale.............. Più censurabile, poi, è il concittadino avvocato Errico Isernia, il quale, nella sua istoria di Benevento, scrisse come più la passione e lo spirito di parte gli suggerirono. Egli, invero, non arrivò fino al punto di scambiare i nomi dei Componenti il Comitato, come aveva fatto il Nisco, però disse che il Sebezio Comitato aveva creato il Comitato di Benevento, bramoso di sottrarla al Papa (sic!) Che strana asserzione! E' chiaro che, ciò facendo, crede togliere il merito dell'iniziativa a chi spettava, - ai pochi e veri liberali suoi concittadini. Ne di ciò pago, in altro punto della detta istoria, chiamò faziosi gli uomini della rivoluzione, e scivolò in altri non veri episodii, come si vedrà a suo luogo. Non è poi a meravigliarsi di tutto ciò, giacche il signor Isernia, era uno dei proseliti della Camarilla, scatenatasi contro il partito della rivoluzione. E' coi documenti, soltanto, e non con le semplici passionate asserzioni e denigrazioni, che si fa la storia, e innanzi ai documenti bisogna inchinarsi. Intanto, io chiudo questa disgustosa digressione, per narrare l'opera patriottica compiuta dal Comitato di Benevento. Non appena si fu istallato, si pose subito in corrispondenza col Comitato centrale di Napoli, dal motto Ordine, ch'era composto dalle persone dei signori marchese D'Afflitto, marchese Caracciolo di Bella, Silvio Spaventa, Giuseppe Lazzaro, (ora deputato al Parlamento), Pietro Lacava, (ora Ministro dei Lavori Pubblici), da Fedele De Siervo, (Senatore del regno), e da altri distinti patrioti. A mezzo poi dei signori Lazzaro e De Siervo, il Comitato di Benevento tenevasi in relazione con quello Centrale, e, non è a dire, con quali e quante precauzioni, per non cadere nelle mani della fiera polizia napoletana, diretta, in allora, dal famoso Commissario Ajossa. Su quest'argomento stimo necessario estendermi, dettagliatamente, e ciò non per sentimento di vanagloria, avendone sostenuto la principale parte, ma sibbene per mettere in luce tutto l'operato del Comitato di Benevento e del partito democratico, - sempre bersagliato e calpestato; - cosicché molti, che non potettero formarsi un giusto giudizio del come si svolsero le cose nostre nel 1860, perché non avevano sott'occhio i documenti, ora possono convincersi che furono travisate, risultandone la realtà dai documenti, che sono qui appresso pubblicati. Il Comitato unitario di Benevento adottò le seguenti istruzioni, ricevute dal Comitato Centrale, esistente in Napoli.
COMITATO CENTRALE NAZIONALE
1. Costituirsi un Centro di pochissime persone segretissime, e che comprendano che, chi è loquace, si uccide nell'onore e si perde nella persona. Che sappiano sostenere le persecuzioni e soggiacere in eterno, anziché dar segno di debolezza, comprendendo, pure, che chi cede non si libera, e più diventa infame.
2. Questo Centro debba tenersi in corrispondenza con Napoli e con persone di fiducia, e fare in modo, che possano ricevere tutto ciò, che si giudica opportuno.
3. Corrispondere pure con Avellino e Campobasso, e perciò ligarsi coi due Centri di queste provincie vicine.
4. Fondare subito una cassa, sia per le proprie spese, sia per corrispondere ciò, che si chiederà a Napoli, se si dovesse versare nell'interesse comune.
5. Scopo di ciò, per ora, e di tener desti gli animi ed uniti, per indirizzare la pubblica opinione, affinché non si devii dai principi supremi - Libertà e Indipendenza d'Italia.
6. Ricevendosi carte per diffonderle, eseguir subito, e tenere anche qualche corriere a disposizione, e se fosse possibile, ancor non venale e volgare, ma patriottico e intelligente.
7. Gli uomini del Centro dirigente debbono godere fiducia e ispirarla, debbono aver coraggio, ed esser prudenti: debbono, ad ogni costo, evitare le pubbliche riunioni, il frequentare i caffè, il far crocchi; insomma mostrarsi indifferenti e per nulla richiamare l'occhio delle Autorità.
8. Debbasi evitare, scrupolosamente, ogni scritto, specialmente per posta. I nomi non dirsi mai, neanche coi più intimi. Il contrario sarebbe un errore, che confina col tradimento, e che sarebbe punito.
9. Il modo dell'organamento e' nella discrezione di chi sta sopra luogo, purchè si abbia presente il fine prossimo di esso, cioè., unione, eccitamento; insomma grande preparazione per atti solenni e decisivi.
Napoli, febbraio 1860
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In esecuzione delle suddette istruzioni, dalle quali può apprendersi, che non era cosa facile scrollare le basi dei secolari governi, borbonico e papalino, fu, nulladimeno, diramato il partito, tanto in Benevento, quanto nei limitrofi Comuni della Pontificia Delegazione, con quell'organamento, che si stimò opportuno, e che fu quello settario, sulle norme del partito della Giovine Italia, creato dal grande apostolo della libertà - Giuseppe Mazzini, - del quale organamento fu informato il Comitato Centrale, e questo, non solo approvò l'operato del Comitato di Benevento, quanto gliene rese lodi, col seguente dispaccio.
AL COMITATO DI BENEVENTO
Il Comitato Centrale ha appreso con grande soddisfazione, che si è istallato nella vostra provincia un Centro dirigente, non che diramata una competente associazione, con apposito regolamento. Fa plauso ai sentimenti, onde sono animati codesti patrioti, e si augura, dalla loro perseveranza, dalla loro operosità ed abnegazione, tutti quei prosperi risultati, che debbono condurre all'intento, di fare libera e indipendente la italica famiglia. Desiderando il Comitato Centrale, che i regolamenti di tutte le provincie abbiano, tra loro, la maggiore possibile uniformità, si permette fare alquante osservazioni, riguardo al vostro.
1. Non sembra molto conducente il moltiplicare tanti centri dipendenti, quanti sono i Comuni. In altre provincie si sono formate delle Sezioni, composte da più paesi dipendenti da un Capo-Sezione, il quale corrisponde con esse e col Centro Dirigente. La gerarchia consiste nel Centro Dirigente, Capo-Sezione e Municipio.
2. Non stima necessario il vincolo del giuramento, perché non si può dare l'apparenza di setta ad un partito, che oltre ad avere per sé la forza, che gli viene dalla coscienza della giustizia, e dalla santità della causa, gode il favore della maggioranza numerica, la quale, solo che s'intenda e si accordi, trionferà senza dubbio.
3. Nulla è stabilito per le armi e le munizioni, delle quali ogni patriota dev'esser fornito, ed a cui deve, sopratutto, in tempo, pensarsi e provvedersi.
Prenderete in considerazione i soprascritti articoli, e nella saggezza, che vi e propria, li volgerete a vantaggio della pubblica cosa. In ogni modo i patrioti locali sono i giudici competenti per quanto loro tocca da vicino. Il Comitato Centrale fa alle SS. LL. le più fervide raccomandazioni perché si attui, con prestezza, il lavoro dell'organamento, e sino nel cuore di tutti l'ordine, la concordia e la fratellanza sincera.
Napoli, 10 marzo 1860
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L'organamento dato al partito di Benevento non ebbe bisogno di modifiche, perché rispondente alle condizioni locali, ed allo scopo finale. L'associazione era divisa in tanti nuclei, detti Sezioni, ognuna composta da dodici a venti affiliati, sotto la dipendenza di un capo-Sezione, il quale corrispondeva, direttamente, con uno dei Membri del Comitato. I Capi-Sezione, in generale, erano uomini d'arme e risoluti, e ricevevano dal Comitato la parola d'ordine, come tutti gli affiliati avevano un segno di riconoscenza tra loro. Quando a quando venivano ad essi comunicate notizie, istruzioni e bollettini, per tenerli entusiasmati e pronti in ogni occasione. In fatti l'associazione corrispose alle concepite speranze, poiché rese utilissimi servigi all'ordine ed alla tranquillità pubblica, anche prima della rivoluzione, e, per essere abbastanza disciplinata, seppe serbare il segreto, sicché non ebbe a soffrire molestie da parte della polizia. Intanto l'audace riscossa iniziata a Palermo, il 4 Aprile, da una mano di giovani patrioti col concorso dei Frati della Gancia, sebbene soffocata nel sangue di quei prodi, pure valse a suscitare nuovo e potente fermento nel Regno, e a decidere lo sbarco meraviglioso dei Mille a Marsala, come ognun sa, capitanati dall'Eroe dei due mondi - Giuseppe Garibaldi -, e che venne effettuato all'alba dell'11 maggio. L'atto ardimentoso incoraggiò i diversi Comitati insurrezionali, i quali, immediatamente, incominciarono a preparare la rivoluzione nelle rispettive province, che, d'altro lato, si era resa maggiormente necessaria, per avere re Francesco prese le sue precauzioni, inviando nella Sicilia tutte le forze disponibili. Gl'indugi, però, ancora esistevano da parte del Comitato Centrale, dal motto Ordine, aspettando che la diplomazia avesse suscitato attriti e questioni, d'onde poi la necessità dell'intervento delle truppe piemontesi. La rivoluzione faceva paura, e si tentava evitarla. Ecco tutto! Ma i patrioti delle province erano impazienti e decisi ad insorgere, mentre, d'altro lato, il Generale Garibaldi impaziente più di tutti, vedendo il male, che arrecavano gl'indugi, ed i progetti del Comitato sedente in Napoli, v'inviò, quale suo Commissario, il vecchio patriota Nicola Mignogna con un suo autografo, dandogli speciali istruzioni, in seguito di che fu istallato, in Napoli, un nuovo Comitato insurrezionale, dal motto Azione, aggiungendo al programma, Italia e Vittorio Emanuele, la Dittatura di Garibaldi, e fu per opera di questo Comitato, presieduto dall'energico patriota Giuseppe Libertini, di Lecce, che gli indugi furono rotti, e fu accelerata la rivoluzione. Col nuovo Comitato si pose subito in relazione il Comitato di Benevento, e si addivenne ad accordi, sommamente vantaggiosi per questa città, come si vede appresso. Ecco, intanto, ciò che diceva il Generale Garibaldi nel suo autografo al Mignogna, e che venne comunicato al Comitato di Benevento, in data 7 Agosto 1860.
COMITATO UNITARIO NAZIONALE
Napoli, 7 Agosto 1860
Signor Presidente del Comitato di Benevento
Or ora giunge a questo Comitato un dispaccio del Generale Garibaldi, con istruzioni al cittadino Nicola Mignogna, appositamente incaricato, concepito nel modo, che trascriviamo. Vi rimettiamo pure un proclama del Generale, munito del nostro sigillo.
Comando Generale dell'Esercito Nazionale di Sicilia
Messina, 31 Luglio 1860
CARO MIGNOGNA, Io prima del 15 Agosto spero di essere in Calabria. Ogni movimento rivoluzionario, operato nelle Provincie Napoletane, in questa quindicina, non solo sarà utilissimo, ma darà una tinta di lealtà in faccia alla Diplomazia, al mio passaggio sul Continente.
Qualunque Uffiziale dell'Esercito Napoletano, che si pronunzii pel movimento nazionale, sarà accolto fraternamente nelle nostre file, col proprio grado, e promosso, secondo il merito.
Dite ai vostri prodi del continente Napoletano che, presto, saremo insieme a cementare la sospirata, da tanti secoli, Nazionalità Italiana.
Firmato: G. Garibaldi
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In seguito a tale eccitamento, il Comitato di Napoli spinse le trattative col Comitato di Benevento, e con gli altri delle provincie contermini pel movimento insurrezionale, e progettò potersi prendere l'iniziativa da Benevento, come centro di operazioni più adatto; e quindi gli diresse il seguente altro dispaccio.
Il Comitato Centrale di Napoli
al Comitato di Benevento
Visti gli sbarchi reiterati in Sicilia delle truppe borboniche, e siccome ogni soldato, che là si manda, è una nostra vergogna, dispone quanto segue:
1. Bisogna stringere le cose con Avellino, cioè assicurare quanti mezzi si hanno disponibili, sia in uomini, sia in armi.
2. Esser pronti a insorgere al primo avvertimento del Comitato Centrale, poichè può darsi che sia necessario, che l'iniziativa venga da Benevento, come luogo più adatto.
In somma se si dicesse a Benevento, iniziate, che farebbe?
Concertatevi con Avellino, poichè il concorso di Salerno è assicurato, come anche quello della Basilicata, ed in breve porsi in grado di dar la spinta al movimento, per le maggiori facilitazioni, che si hanno.
Si chiede pronta e precisa risposta senza metter tempo in mezzo. Le cose urgono, la Patria richiede sforzi supremi. Comunicate questa missiva ad Avellino.
(segno del bollo)
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In vista delle suddette categoriche istruzioni, e richieste, il Comitato di Benevento si mostrò all'altezza della sua missione e degli impegni assunti, rispondendo che non si era alieni dall'iniziare la rivoluzione, tra le provincie contermini, a condizione però che le stesse avessero tenuto unità d'azione, e che Benevento fosse destinata centro di operazioni militari. Con ciò il Comitato non si lasciò sfuggire l'occasione, che gli si presentava di giovare, in singolar modo, al proprio paese, facendogli, fin da quel momento, acquistare moltissima importanza, che, indubbiamente, avrebbe di poi conservata, come avvenne, ed in caso di attacco da parte delle truppe borboniche, o papaline, si sarebbe trovata in condizioni di meglio difendersi. Gli accordi col Comitato di Avellino furono da me presi, personalmente, in una riunione, tenuta nel Convento dei Padri Scolopii, e fu stabilito, giusta il piano generale, inviato dal Comandante in Capo Giuseppe Carbonelli, che le bande insurrezionali di Nola, Valle, Mercogliano, ed Avellino, dovevano riunirsi ad Altavilla, e di là, per S. Paolina, marciare su Montefusco, dove doveva farsi il primo campo, ed il secondo ad Ariano, con le bande di Campobasso, del Vitulanese e del Beneventano; ed in conformità furono date le opportune disposizioni. Un'altra trattativa, ancora di maggiore importanza, fu da me pure portata a termine, col Comitato Centrale, nell'esclusivo interesse di Benevento, cioè, di farla riconoscere, fin d'allora, quale capoluogo di provincia napoletana, quante volte avesse iniziato il movimento insurrezionale, tra le provincie limitrofe, la quale proposta fu dal Comitato accettata, emettendone formale dichiarazione, come rilevasi dai due documenti, che seguono, in uno dei quali è pur detto che, in ogni evenienza, i beneventani non restavano abbandonati alla discrezione del Governo Pontificio.
1^ DISPACCIO - Napoli, 13 Agosto 1860
Il Comitato Centrale
al Presidente del Comitato di Benevento
TRASMETTE
1. Che l'analogo concerto con le provincie limitrofe dev'esser preso da codesto Comitato, ed all'uopo si è scritto ad Avellino, a Campobasso, ed alla Valle Vitulanese.
2. Che l'ora del nostro riscatto è vicinissima, più di quello che si crede; quindi ci appelliamo alla vostra energia e patriottismo, alla vostra operosità e zelo, affinchè, nell'ora non lontana, i figli di Benevento mostrino agli altri fratelli il loro amor di patria, dividendo i loro pericoli, ed un di non lontano, uniti da un solo vincolo, e sotto un solo vessillo, siano a parte di ogni gloria cittadina e italiana.
Il Comitato di Benevento riceverà di tutto avviso anticipatamente.
(segno del bollo)
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2^ DISPACCIO - Napoli, 15 Agosto 1960
Il Comitato Centrale
al Presidente del Comitato di Benevento
Il Comitato unitario - nazionale, conoscendo che, da più tempo, codesto Comitato lavora, operosamente, per raggiungere l'unità e la libertà d'Italia, sotto lo scettro costituzionale di Vittorio Emanuele, dichiara che, tenendo Benevento unità d'azione con le provincie limitrofe del regno delle due Sicilie, ed iniziando il movimento, fin da ora, la considera come capoluogo di provincia napoletana, e questo Comitato farà si che, ad ogni costo, si realizzi una tale promessa, oltre che non abbandonerà giammai i beneventani alla discrezione del governo pontificio.
(segno del bollo)
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Occorre forse altro per dimostrare quanto era necessaria la enunciata iniziativa della nostra città? Sebbene, poi, il lavorio fosse stato condotto con segretezza, pure non potè, tutt'affatto, sfuggire e restare occulto al governo delegatizio locale, nè a quello del Regno di Napoli, chè anzi ne restarono allarmati. Il partito avverso, cogliendo l'occasione, non mancò di sollevare e diffondere le solite calunniose voci, che la rivoluzione mirava all'eccidio ed al saccheggio, e ciò vuoi per avversione ai principii di libertà, vuoi per animosità personali, onde allontanare i più timidi, vuoi ancora per far abortire la rivoluzione, con le misure preventive, che avrebbe, senza dubbio, prese il governo. Queste mene, conosciute in tempo dal Comitato, anzicchè disanimarlo, lo spinsero, invece, a raddoppiare di zelo e di accorgimento, onde vièmeglio raggiungere l'intento. I pravi disegni dei camarillisti vennero anche scoverti e denunciati, col seguente dispaccio, dal Comitato di Campobasso, ch'era presieduto dall'avvocato Nicola De Luca, che fu poi Prefetto e Senatore del regno, ora estinto. Il dispaccio è del seguente tenore:
Il Comitato di Molise
al Comitato di Benevento
Il Comitato di Molise desidera mettersi in più stretta relazione, con codesto Comitato, ed offre per mezzo di sicura corrispondenza il latore della presente. Avverte, poi, il Comitato di Benevento che il signor Filippo Iacobelli, per incarico ricevuto dal Re di Napoli, ha formato un battaglione di mille uomini, ricavati dal 4 battaglione mobile degli Urbani di sette circondarii, e li ha stanziati in Pontelandolfo, ove sono già pervenuti mille fucili di munizione, con le corrispondenti ciberne, ed ieri anche un grosso carico di munizioni. Il Iacobelli dà per ragione di questo armamento la certezza di un sollevamento in Benevento contro la proprietà, l'onore e le persone. State in guardia! Pare che lo scopo vero sia quello d'iniziare la guerra civile e far abortire il movimento unitario.
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E non era altrimenti. Questo documento vale, poi, a rettificare quanto narrò lo storiografo Errico Isernia, a riguardo dell'Iacobelli, che cioè, costui, comandante le Guardie Urbane di S. Lupo, con Giuseppe De Marco e Filippo Iadovisio, aveva composto un Comitato insurrezionale, in dipendenza del Comitato centrale di Napoli, facendolo, cosi, figurare come la perla dei liberali, mentre il Comitato di Campobasso lo designava come un capo reazionario. Ma chi sa dove l'Isernia andò a raccogliere tali notizie! Facilmente dagli stessi reazionarii del 1860. Frattanto il Generale Garibaldi, riscattata la Sicilia, era passato in Calabria, con un pugno dei suoi. Lo sbarco era stato felicemente effettuato tra il Capo dell'Armi, e il Capo Spartivento, senza che la crociera borbonica avesse potuto impedirlo, e dalla prima Calabria s'inoltrava nella seconda, fra le acclamazioni delle popolazioni, presentando cosi all'attonita Europa i nuovi suoi miracoli di guerra. La rivoluzione trionfante faceva impallidire i grossi e i piccoli despoti, e i tirannelli di Benevento tentarono gli ultimi sforzi, contro i quali, com'era naturale, il Comitato lottò, con ogni energia ed avvedutezza. Il Delegato Apostolico Monsignor Agnelli, incalzato dagli eventi e spronato dai soliti consiglieri, aveva chiesto a Roma uomini ed armi, onde prevenire, o, quanto meno, porsi in condizione di reprimere il movimento, e per meglio riuscire nello intento, aveva anche progettato di organizzare una compagnia di sussidiarii, reclutandoli tra la classe infima del popolo, attaccata alla polizia, col premio di ducati sei, ed avendone fatta proposta al superiore governo, ricevè dall'allora Sotto-Segretario di Stato Cardinale Antonelli, la seguente risposta:
SEGRETERIA DI STATO - N. 13591
Roma, 18 Agosto 1860
Ill.mo e Rev.mo Signore,
Riservandomi di dare più estesi riscontri ai fogli di V.S. Ill.ma, n. 84, 87 e 94, giunti in mie mani, con ogni regolarità, credo intanto non frapporre indugio a rispondere, per ciò che riguarda i fucili necessarii all'armamento dei sussidiarii. Come ogni altra cosa, così ancora per la provvista delle armi, insorge ostacolo insormontabile, per la condizione delle cose politiche del regno limitrofo. Quindi, a supplirvi, io l'autorizzo a provvedersene costà, se ve ne sono, od a farne acquisto, quante volte codesto Comando militare non abbia come rimediare, ulteriormente, a tale mancanza. Che se non potesse farsi neppure seguito a tale insinuazione, perché riesce difficile trovarne di quelle, che sono in uso, potrà farne acquisto di altro modello, purché l'armamento abbia luogo, con quella sollecitudine, ch'è nei suoi desiderii. Con sensi di profonda stima mi confermo.
IL SEGRETARIO DI STATO
Firmato:ANTONELLI
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Questi, dunque, erano i disegni di Monsignore Agnelli e della Camarilla, cioè, rafforzare la guarnigione di linea di due altre compagnie, di forza regolare l'una, e di sussidiarii l'altra, per essere in grado di arrestare i Capi del partito insurrezionale, e fare una seconda edizione del 15 Aprile 1848. Fortunatamente, però, la progettata repressione fu sventata dall'accorgimento del Comitato. I sussidiarii non furono organizzati, sia perché Monsignore Agnelli non riuscì ad acquistare le armi, sia perché il Comitato, da parte sua, non rimase inerte, e riuscì non solo a far paura ai già arruolati, quanto pure a trarre parecchi alla sua dipendenza, coll'assegno di una buona paga giornaliera. Monsignore ed i suoi consiglieri concepirono, anche, un altro disegno, quello, cioè, d'impiantare la Guardia Civica, all'apparente scopo della tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica, ma furono costretti ad abbandonarlo, avendo fatto il conto senza l'oste. Essi miravano sempre à mettere in ceppi i capi del partito insurrezionale, ed, in ogni malaugurata contingenza, avere il braccio forte della cittadina milizia. In fatti il Comitato ne fu informato, e richiesto del suo assentimento, dal signor Gabriele Mazzei, di Paduli, - il quale, mentre gli si mostrava aderente, faceva invece gl'interessi degli avversarii, - e dal Presidente ebbe in risposta, che l'impianto della Guardia Civica non poteva non considerarsi come una provocazione alla guerra civile, e non sarebbe stato contrastato, nel solo caso che a Comandante e ad Uffiziali fossero stati nominati quelli, che il Comitato stesso avrebbe designati. Tale risposta fece accorti i Camarillisti, che non restava loro altro scampo che rassegnarsi a lasciar fare e a lasciar passare. Intanto Monsignore, non essendo stato avvertito in tempo, dell'opposizione del Comitato, in ordine alla Guardia Civica, si era affrettato partecipare al Comandante i Gendarmi che il signor Carlo Torre era stato autorizzato ad impiantarla, ciò che rilevasi dal seguente ordine del giorno, diretto dal Comandante la Gendarmeria ai militari dipendenti.
GENDARMERIA PONTIFICIA
ORDINE DEL GIORNO DEL 24 AGOSTO 1860
Monsignore mi ha assicurato, con nota di questo stesso giorno che a S. Germano vi sono centinaia di Garibaldini, per cui vivo in agitazione pei gendarmi Varricchio e Baldini, usciti a quella volta. Informatevi della sorte di quei vostri fratelli d'arme. Indagate pure circa l'agitazione, che regna in città, e mostrate risolutezza e coraggio. Passo, poi, a vostra conoscenza che Monsignore ha permesso al signor Carlo Torre di montare la Guardia Civica, dentr'oggi.
Firmato: - Tenente Freddi
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Ma, come ho innanzi detto, la Guardia Civica, per l'opposizione del Comitato, non fu istituita, e lo stesso Carlo Torre ne dovè smettere il pensiero, prevedendone le tristi conseguenze. Va pure segnalato un altro fatto di non poca importanza, e che contribuii a rendere del tutto impotente il governo locale, cioè, l'impedire che penetrasse in città la truppa inviata da Roma; poiche' sebbene il Cardinale Antonelli, col surriportato dispaccio del 18 Agosto, avesse dichiarato di non poter soddisfare la richiesta di uomini ed armi, pure nello scorcio del detto mese, ne dispose l'invio. In fatti due drappelli di gendarmi, in abito borghese, erano riusciti a entrare di soppiatto in città; la qual cosa, saputasi dal Comitato, consigliò ad impedire, senza indugio, che altri drappelli vi penetrassero, e fu disposto che ai confini del territorio beneventano, al luogo detto l'Epitaffio, fosse impiantato un posto di vigilanza, sotto il comando di un Capo-sezione del partito, con la rigorosa consegna di respingere gli altri drappelli, se ne arrivavano, sequestrandone, in pari tempo, le armi e le munizioni, ed ogni altro effetto militare. Il provvedimento fu opportuno e utilissimo; giacche' altri drappelli, a breve intervallo, vi giunsero, e furono respinti, l'uno dopo l'altro, giusta la consegna. Anche un carro di vestiario e di effetti militari cadde nelle mani di una pattuglia della Sezione di servizio, nella contrada Tressanti. Quelli che più si distinsero nelle cennate operazioni furono i Capi-Sezione Pietro Rampone, Domenico De Simone, e Pasquale Gennerazzi. La lotta adunque era incominciata lontana dalla città, tra il governo, che doveva cadere, e l'altro che doveva sorgere, però alla sordina, e questo fu tratto di politica astuta e adatta alle condizioni locali, affievolire, cioè, ed esautorare, giorno per giorno, il governo Delegatizio, allo scopo di evitare al paese le luttuose conseguenze di un serio conflitto con la pubblica forza, e di una sanguinosa rivoluzione. Sicche' Monsignor Agnelli, quantunque restasse a capo della Delegazione beneventana, pure, fin d'allora, ne aveva perduto il potere, e se non n'era stato deposto, dipendeva dal non essere ancora giunto il momento, essendo stato stabilito che dovevasi tenere unità d'azione con le provincie limitrofe, come ho già detto. Egli preso da forte panico pensava, solo, a garentire la sua persona, e tra le altre precauzioni, aveva adottata quella che, all'imbrunire, tutti i gendarmi si concentravano nel castello, punto curandosi che il paese rimanesse in balia di sè stesso. Sorse quindi il bisogno di provvedersi, urgentemente, dal Comitato alla sicurezza ed alla tranquillità pubblica, con un servizio di pattuglie, nelle ore della sera e della notte; e perche' meglio rispondesse allo scopo, per lo incalzare degli eventi, fu regolarizzato con la seguente ordinanza.
AI CITTADINI DI BENEVENTO
Lo scioglimento progressivo di una Commissione sostituita dall'arbitrio, son già tre anni, al Consiglio Municipale, l'immobilità della forza armata, la costante ripulsa del Preside a qualunque proposta, che venisse fatta da probissime persone, per tutelare la vita e la proprietà, ci pongono, fra le altre cause, nella necessità di provvedere alla pubblica sicurezza, con la pronta formazione di una Guardia cittadina. Essendo la salvezza pubblica suprema legge, alla quale con ogni possibile sforzo si è adoperato e si adopera il Comitato Unitario di Benevento, il medesimo, in linea provvisoria, adotta il provvedimento, reclamato dalle imperiose circostanze, di far funzionare le Sezioni del partito, come Guardia cittadina, con incarico, nelle ore della sera specialmente, di tutelare la tranquillità pubblica e la sicurezza interna ed esterna della città, sotto l'usbergo della quale ogni cittadino troverà protezione e difesa.
(Segno del bollo).
Il Comitato insurrezionale
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Intanto mentre che Garibaldi, fidente nella sua stella, proseguiva la marcia verso Salerno, onde presto raggiungere Napoli, il Comitato Centrale chiedeva a Benevento un contingente d'uomini, pronti a partire, secondo i bisogni e Benevento corrispose, anche questa volta, al desiderio del Comitato, come narrerò appresso, ed eccone, intanto, il dispaccio:
Comitato Unitario Nazionale
Il Comitato Unitario Nazionale dispone che in Benevento si usi la massima prudenza, senza precipitare il movimento, dovendosi stabilire il giorno preciso dell'azione per rovesciare il governo, tenendo conto delle condizioni delle altre province, che debbono tenere unità d'azione, ma certo che il giorno è vicino. Codesti liberali sono ardertissimi per la causa nazionale, ma bisogna, sopra tutto, averli disciplinati. Benevento, poi, dovrà dare un contingente di uomini a partire, secondo gli ordini, ove il bisogno lo richieda, e quindi occorre che anche a ciò, fin da ora, codesto Comitato provveda.
Signor Presidente del Comitato di Benevento
(Segno del bollo)
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In data 20 Agosto, un altro dispaccio partiva dal Comitato Centrale, col quale, mentre si annunciava che la Basilicata era insorta, - capi supremi Nicola Mignogna, Giacinto Albini, e Pietro Lacava, - in pari tempo, si dava l'ordine d'insorgere, e quello che più monta, senza neanche inviare le armi promesse, come rilevasi dal seguente altro documento:
COMITATO UNITARIO NAZIONALE
al Presidente del Comitato di Benevento
Cittadini,
Ci sta sommamente a cuore il movimento, che deve compiersi costà, e fondiamo molto sul patriottismo di codesti luoghi. Frattanto le armi si aspettano, ma non sono peranco giunte. Or che fare? La Basilicata è insorta, in numerose bande, ed ha riportata vittoria, comunque non del tutto fornita di armi. Adesso è d'uopo che tutte le provincie insorgano, egualmente, essendo somma la necessità, che ne incalza. Non sapremmo, ne vorremmo imporvi, ad ogni costo, la nostra risoluzione, ma bisogna, certamente, seguire la Basilicata nell'eroico esempio. In momenti estremi, rimedii estremi. Intanto avrete, subito, ed al più presto che si potrà, armi ed uomini, e per questi bisogna che mandiate il denaro pel viaggio. Ripetiamo che la Basilicata è insorta, quasi senz'armi, e siamo sicuri che Benevento, superando ogni ostacolo, sarà di esempio alle altre limitrofe provincie, per la nazionale riscossa.
(Segno del bollo)
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In vista del surriportato dispaccio, e di altri, che crediamo superfluo pubblicare, il Comitato di Benevento dispose che fossero presi gli opportuni accordi coi Comitati di Campobasso e di Avellino; e quindi fissato il giorno dell'azione. Il contingente militare fu organizzato con una compagnia di 102 uomini, nella maggior parte beneventani, e con gli altri inviati dal Comitato napoletano, che avevano disertato l'esercito borbonico. Questa Compagnia restò di poi aggregata al Battaglione Irpino, comandato dal signor Giuseppe De Marco, capo del Comitato della Valle Vitulanese, cui si unirono, pure, le bande insurrezionali di Terra di Lavoro e Campobasso. La Compagnia beneventana venne affidata al comando di Pietro Rampone, mio amatissimo germano, il quale poi, perde, miseramente, la vita nel sanguinoso conflitto, avvenuto il 17 ottobre, presso Pettorano (Isernia).......... Al battaglione furono pure uniti, e ne formarono l'avanguardia, venti soldati di linea, che avevano, con armi e bagaglio, disertato il Quartiere S. Antonio in Benevento, e ciò per opera, principalmente, dei fratelli Giovanni e Francesco De Cillis, e del capo-sezione Paolo Orrei, i quali fecero, in quei giorni, attiva propaganda insurrezionale coi militari della guarnigione, che riuscì utilissima. Alle armi, ed alle munizioni aveva provveduto il Comitato, sicchè tutto era pronto per inalberare la bandiera tricolore, ch'era stata lavorata in casa dei germani Raffaele e Francesco Palmieri, fu Giovanni, dalle signore Palmieri e Biondi loro congiunte, alle quali va tributato un imperituro ricordo. Qh! quali entusiasmi, quale ardire non suscita la donna, quando si ha a compagna nelle grandi imprese, e nei momenti di pericoli, e la donna beneventana, - piace il dirlo, - nel 1860, fu a parte del lavorio e dei preparativi della rivoluzione, e come in altri tempi, anche in detta epoca memoranda, si mostrò risoluta, ardimentosa, capace di ogni sacrificio, pel bene e la difesa del natio paese. Vedremo, ora, come la temuta rivoluzione riuscì, nel modo più civile ed ordinato, a realizzare le aspirazioni dei beneventani. L'alba del 2 settembre spuntava bella e ridente. Le Sezioni del partito, per gli ordini ricevuti la sera innanzi, fino dalle prime ore del detto giorno, trovavansi in armi, pronte ad affrontare le forze papaline, ove avessero opposto resistenza. Gruppi di giovani, con cappelli all'italiana e con coccarde tricolori, si vedevano su e giù per le strade, ed un insolito movimento rivelava le ansie e i timori della cittadinanza. La segreteria del Comitato lavorava con indicibile attività, ed io, pei poteri conferitimi dal Comitato Centrale, nominai gli ufficiali, e i graduati della Compagnia beneventana, la quale, al tocco, si riunì in casa del signor Domenico Mutarelli, membro del Comitato, per essere state ivi deposte le armi, segretamente. Si era quasi sicuri di non incontrare ostacoli seri per la proclamazione del Governo Provvisorio, e di poterli ancora vincere, ma, pure, non vi si addivenne in quello stesso giorno, per essere stati, all'uopo, presi degli accordi col Capo-battaglione signor Giuseppe De Marco; e quindi fu disposto che la Compagnia si fosse acquartierata nella taverna del signor Giuseppe Buonanni, sita sul largo di Porta Rufina. Ma, d'altronde, ciò bastò per determinare il movimento insurrezionale. La Compagnia dalla casa Mutarelli, unitamente al Comitato ed ai sollevati, con la banda musicale alla testa, percorse la strada magistrale, e, per la piazza Orsini, si diresse sull'anzidetto largo, fra le entusiastiche acclamazioni a Vittorio Emmanuele, a Garibaldi, ed alla Libertà. Ivi accorse gran quantità di popolo, e tutti si abbandonarono ad amorevoli e patriottiche manifestazioni, che proseguirono in città, per buona parte della notte. Fu frattanto fu dato avviso al signor De Marco di marciare sopra Benevento. L'indomani 3 settembre, - giorno d'imperitura memoria, - la popolazione, in attesa del solenne avvenimento, e rassicuratasi che non vi sarebbe stato spargimento di sangue, era tutta riversata su le principali strade. La banda musicale allietava il paese, e suscitava l'entusiasmo al suono dell'inno magico - "Si scovron le tombe, si levano i morti" - e Benevento aveva ragione ad esultare, giacché sorgeva a novella vita, se non all'antico splendore. In quel mentre, per gli alti poteri politici e militari, di cui io era fornito, vestito della camicia rossa, da solo, mi presentai al Comandante la piazza, e palesandogli la presa determinazione del Comitato, di proclamare un Governo Provvisorio, lo richiesi dei suoi intendimenti, facendogli, in pari tempo, comprendere l'impossibilità della resistenza contro un popolo in armi e quell'uffiziale si mostrò arrendevole, con riserva, però, degli ordini di Monsignor Delegato. Ed io, senza porre tempo in mezzo, lo invitai a recarsi meco da Monsignore, alla quale stringente proposta non seppe opporsi; ed uscimmo. Percorrendo la strada magistrale, c'imbattemmo col Tenente comandante la gendarmeria, il quale informato di quanto avveniva, si unì a noi, e giunti al palazzo delegatizio fummo ricevuti dal detto Prelato, ed io annunciandomi quale commissario di Garibaldi, senz'altro, gli dichiarai che, da quel momento, andava a cessare il governo pontificio nel beneventano, ed egli rimaneva destituito di ogni potere ed attribuzione. Monsignor Delegato, in sulle prime, si mostrò sconcertato, e quasi deciso a resistere, ma meglio riflettendo, e non vedendosi appoggiato dalle Autorità militari, là presenti, si limitò a protestare. Invitato, poi, cortesemente, a dire quando intendeva lasciare il palazzo governativo, rispose "fra due ore"; ed infatto, nel pomeriggio, si ritirò in casa del marchese De Simone. Intanto, gran folla di popolo mi attendeva presso il castello, e vedendomi comparire, all'agitare che feci del cappello, comprese che ogni resistenza era svanita, e le grida entusiastiche di viva Vittorio Emanuele, viva Garibaldi, si raddoppiarono, si ripeterono, in modo indescrivibile, e ben tosto si abbassarono gli stemmi pontifici, innalzandosi quelli di Casa Savoia, ch'erano già stati apprestati. Le due compagnie di truppa di linea, e i gendarmi di guarnigione, nel numero di trenta circa, deposero le armi, senza però fraternizzare col popolo. Il governo dei Papi finiva cosi, in questa città, dopo oltre otto secoli di assoluto dominio, merce la rivoluzione unitaria nazionale, compiuta da pochi e ardimentosi suoi figli, e non dalla gente venuta di fuori col Signor Giuseppe De Marco, come, bugiardamente, si scrisse dai noti detrattori del partito democratico di Benevento. Verso il mezzodì, poi, arrivava dalla contrada calore il Battaglione comandato dal De Marco, di cui ho innanzi fatto cenno, accolto festosamente dalla popolazione e dalle Sezioni armate, e andò ad acquartierarsi nel collegio dei Gesuiti. Nelle ore pomeridiane dello stesso giorno, tutte le forze insurrezionali, riunitesi sulla piazza Orsini, decisero la formale proclamazione del Governo Provvisorio, che fu composto colle stesse persone del Comitato insurrezionale, il quale, pei riguardi dovuti ad esso Maggiore De Marco, incluse anche il suo nome fra i commissarii del detto governo. Indi, dalla loggia del palazzo comunale, ne fu formalmente annunciata dal Presidente la istallazione, e tutti prestarono giuramento, incrociando le spade, a difesa della unità e della libertà della patria; in seguito di che il popolo, contento dell'opera sua, si diradò fra le ripetute acclamazioni alla Libertà ed al Governo Provvisorio......... Quest'atto chiudeva il movimento insurrezionale, e la tanto temuta crisi politica, senza l'eccidio ed il saccheggio profètato dalla Camarilla, ma invece con i concerti musicali, con le luminarie e le fraterne strette di mano, e col perdono generoso ai Caini del 1848, e del 1860, e, ciò che più monta, con la proclamazione di Benevento a capoluogo di provincia............ Prima di passare oltre, è doveroso ricordare i nomi dei Sezione del partito insurrezionale, perchè la loro opera contribuì, potentemente, a raggiungere l'intento della rivoluzione, ed a mantenere l'ordine nei momenti difficili, di cui si è fatto parola.
Capi - Sezione di Benevento: Babuscio Francesco, Calandrelli Sigismondo; Campanella Tommaso; Capilongo Francesco; De Simone Domenico; Ferrara Alessandro; Generazzi Pasquale; Generazzi Raffaele; Lamparelli Antonio; Lamparelli Raffaele; Marotti Luigi; Marotti Salvatore; Orrei Paolo; Palmieri Francesco; Petrella Pier Felice; Rampone Pietro; Ricci Domenico; Rispoli Francesco; Russo Raffaele; Troise Pasquale; Zanchelli Giambattista; Zoppoli Antonio.
Capi - Sezione di S. Leucio: De Longis Giambattista; Pepiciello Agostino; Varricchio Felice; De Longis Beniamino; Iannace Michelangelo.
Capi - Sezione di S. Angelo a Cupolo: Santucci Pellegrino; Del Ninno Alfonso; Del Ninno Ludovico.
Va pure ricordato il nome del signor Giuseppe Cifaldi, morto ancor giovane, il quale, pur non essendo un capo-sezione, rese, egualmente, importanti e rischiosi servigi al Comitato insurrezionale, ed io rendo alla sua memoria le dovute lodi. Intanto la Camarilla non si dava ancora per vinta, e di accordo sempre con Monsignore Delegato, tentò, a mezzo del Nunzio del Papa, avere dal re di Napoli un numero di soldati, per schiacciare il movimento in Benevento, come appunto narrò il Dumas nelle Memorie di Garibaldi, alla pagina 719, capitolo XXV, nei seguenti precisi termini: "Addì 3 settembre, di mattina, il Nunzio del Papa, uno dei principali motori della reazione, aizzato da alcuni arrivati da Benevento, da parte di Monsignor Delegato, venivagli ad annunziare che ivi eranvi dei torbidi, per il che chiedeva soldati per sedarli. Liborio Romano si pose a ridere. Monsignore, dissegli, a quest'ora i nostri soldati non vogliono più battersi per noi, temo, quindi, moltissimo, che non battendosi per noi, si battano pel Papa. - Ma allora, ripigliò il Nunzio, che farà Sua Santità? -Sua Santità farà ciò, che fece re Francesco II: si rassegnerà a perdere il potere temporale sopra Benevento, eppoi rimarrà a lui la più bella eredità del Papato, - il potere spirituale. - E' questa la vostra risposta? - Letteralmente. - In tale critica circostanza, che cosa mi resta a fare? -Una sola cosa. - Quale? - Di benedire tre individui, cioe' Vittorio Emanuele, Garibaldi e il vostro servo. Il Nunzio andò su tutte le furie, borbottando delle parole, che, al certo, non erano delle benedizioni; e andò via". Il movimento insurrezionale di Benevento, e l'istallazione del Governo Provvisorio, avvenuta nel di 3 settembre, affrettarono la marcia del Generale Garibaldi verso Salerno, dove giunse il giorno sei; ciò che poi decise la partenza di re Francesco da Napoli, il quale s'imbarcò, lo stesso giorno, per Gaeta sul piroscafo francese la Mouette, in seguito alla notizia, datagli dal ministro Liborio Romano, che, cioè, la rivoluzione era alle porte di Napoli. E dove? chiese il re. A Benevento e a Salerno, rispose il Ministro. Ciò fu narrato dallo stesso Ministro al Generale Avezzana, il quale, in diverse occasioni, ebbe a lodare il movimento benevantano, per avere contribuito alla ritirata del Borbone a Gaeta. Frattanto il Governo Provvisorio, senz'arrestarsi agli ottenuti successi, e senz'intimorirsi della incalzante reazione, si occupò, immantinenti, dell'amministrazione della città, e dei comuni dell'antica delegazione pontificia, adottando gli opportuni e necessarii provvedimenti, tra i quali, i più importanti furono per la Rappresentanza Comunale, - per gl'Impiegati governativi, - pel Consiglio di governo -per l'abolizione del Tribunale ecclesiastico, - per l'abolizione della tassa sul macinato, e di altre tasse comunitative - per l'istallazione della Guardia Nazionale, - per la intestazione, e registrazione degli atti pubblici, e per le ipoteche. Non pochi altri provvedimenti amministrativi e politici furono emessi, ed il lettore può facilmente immaginare quali e quanti ne fossero occorsi in quei momenti difficili ed eccezionali, e nei primordii di un nuovo governo. Ciò che poi va specialmente ricordato, perchè formò il primo pensiero del Governo Provvisorio, è l'avere affidato l'incarico al geometra signor Francesco Mozzilli, di elevare una pianta topografica per la circoscrizione della nuova provincia di Benevento, ed il Mozzilli, uomo intelligente e sinceramente liberale, l'approntò con sollecitudine ed esattezza. Qui giova, pure, far notare che l'attuale circoscrizione non è quella progettata dal Governo Provvisorio, e proposta al Dittatore Garibaldi, giacchè il governatore Torre, succeduto al Governo Provvisorio, ne propose e fece decretare un'altra, chè quella, che ora costituisce la provincia, e che, in vero, è generalmente riconosciuta irregolare, e non rispondente ai bisogni dei comuni aggregati ed agl'interessi generali della provincia, tanto dal lato amministrativo, quanto economico.......... In prova di ciò, basta dire che, nella circoscrizione progettata dal Governo Provvisorio, era incluso Ariano, come capoluogo di circondano, ed altri comuni, delimitati con giusti criterii, mentre, invece, nell'attuale circoscrizione trovasi S. Bartolomeo in Galdo, come capoluogo di circondano, che resta al confine con la Capitanata, al di là del Fortore, e la cui aggregazione a questo capoluogo ed al resto della provincia, costò dei milioni di lire, e troppo disguido amministrativo, che ancora perdura........... Questi erano i criterii, questi i principii, cui s'ispiravano gli uomini della rivoluzione, ed il Governo Provvisorio del 1860. Quanta differenza, quale contrasto coi principii, che informano le leggi finanziarie, che sono ora in vigore, e con le innumerevoli tasse e l'insano fiscalismo, che dissanguano il popolo. E bisogna pur dirlo, non sono stati i liberali, i rivoluzionari del 1860, che hanno portato tanto dissesto, tante angustie, bensi i reazionarii venuti, dopo, al potere, i quali, con la maschera di uomini d'ordine, demoralizzarono e spogliarono l'Italia. Intanto contro il patriottismo e il disinteresse del Governo provvisorio, sorgeva, com'era naturale, la coalizione degli affaristi e degli ambiziosi reazionari, guidati dalla vecchia Camarilla, cosicchè una guerra bassa e sorda facevasi contro il Governo provvisorio per atterrarlo, e l'opera iniqua riuscì a meraviglia, giacche, giorno per giorno, gli si fece un vuoto d'intorno. Gl'impiegati civili, ad eccezione di pochi, si dimisero dalle loro cariche. La truppa di linea e di gendarmeria preferì ritornare a Roma, senz'accettare gli offerti vantaggi del Governo provvisorio nazionale. La più parte dei nominati Consiglieri di governo rifiutarono l'onorifico incarico, adducendo a ragione del rifiuto, che ad essi spettava il voto deliberativo, e non consultivo, com'era stato loro deferito. Strana pretesa davvero, che rivelava i segreti intendimenti dei Camarillisti, di sopraffare il Governo provvisorio, e per dargli, poi, un colpo decisivo, questi Girella seminarono la discordia tra gli stessi Membri del Governo, ed i capi del partito, in seguito di che, i signori Giuseppe De Marco, Gennaro Collenea, ed il Marchese De Simone si dimisero da componenti il detto Governo...... e si verificarono, pure, delle diserzioni nelle file del partito, le quali cose stimo opportuno mettere in tacere. Ciò non pertanto la rabbiosa provocazione era alquanto infrenata dalla longanimità, di chi era a capo del Governo, sebbene la si poteva del tutto annientare colla forza e col terrore, che non furono punto adoperati. E questo fu un grave errore, commesso dagli uomini della rivoluzione, tanto in Benevento, quanto in altre città del regno, che condusse poi alla reazione, e quindi alla creazione della famosa consorteria, che gittò il seme della discordia, da per ogni dove, ed arrecò insanabili piaghe alla Penisola. Infrattanto Monsignor Agnelli, visto che il Governo Provvisorio si reggeva, ordinatamente, e che niente più gli restava a sperare, chiese di liberamente partire alla volta di Roma, ciò che non gli fu punto vietato, e nel giorno 5 settembre lasciò Benevento, ricevendo l'onore delle armi, nel passare sul ponte di S. Maria della Libera. Anche il Battaglione Irpino, che qui si era soffermato tre giorni, nel mattino del 7 detto mese, staccò la sua marcia per Paduli, onde raggiungere Ariano, - e n'era tempo, - giacchè, per la prolungata sosta, si aveva già a deplorare il disastro toccato ad alcune bande insurrezionali, ivi concentrate, giusta gli accordi presi col Comitato di Avellino, le quali, trovandosi esposte alle minacce del partito borbonico, e non vedendo giungere il suddetto Battaglione, abbandonarono Ariano, ma nella ritirata furono attaccate dalle imboscate, e trenta fra ufficiali e soldati rimasero uccisi, tra i quali i distinti patrioti, fratelli Miele, di Andretta. La Compagnia beneventana, composta di 102 uomini formava la testa del battaglione, e i venti soldati di linea, che avevano disertato il Quartiere S. Antonio, ne formavano l'avanguardia........... Tutti sanno, poi, che nel giorno 7 settembre, Garibaldi seguito da quattro suoi fidi e valorosi ufficiali - Cosenz, Bixio, Turr e Sirtori, - penetrò in Napoli, ed in carrozza percorse le principali strade, fra le frenetiche acclamazioni di tutto un popolo, come al suo redentore. Il prestigio del suo nome, la meravigliosa accoglienza fattagli, fecero abbassare le bandiere borboniche, e, nella sera, sul più temuto dei forti - S. Elmo - sventolava la bandiera italiana. Quanti prodigii! Quanto entusiasmo! Il Governo provvisorio,. informato dell'entrata in Napoli del Generale Garibaldi, si affrettò inviargli una Deputazione per fare atto di adesione alla sua Dittatura; ed in fatti, nel mattino del 9, la Deputazione, composta da chi scrive e dal membro del detto Governo, signor Nicola Vessichelli, partì a quella volta, ed ivi giunta fu tosto ricevuta dal Dittatore, al quale fu presentato, tra gli altri atti doverosi, il seguente indirizzo:
Generale Dittatore,
A Voi, che sempre combatteste per la Libertà, e la Indipendenza dei popoli, con tale abnegazione, da rendervi maggiore degli eroi di Plutarco, si rivolgono i Cittadini di Benevento, che, sotto la vostra Dittatura, fin dal giorno 3 di questo mese, proclamarono nella loro provincia la sovranità di Vittorio Emanuele re d'Italia. A Voi, che siete il braccio di quel Re desiderato, da tre secoli, dal Macchiavelli, si rivolgono fidenti, e nel silenzio aspettano il compimento dei loro voti. Mancipii fin ora dei clericali, con unanime slancio cercarono l'attuazione di un concetto, dai nostri nemici tenuto per folle e inattuabile, solo perchè non speravano che fossero per sorgere al mondo due cuori magnanimi, - quelli di Vittorio Emanuele e di Garibaldi. Ma ora che queste catene sono infrante, e ogni redento si rivolge al suo redentore per offrirgli la vita e gli averi in sostegno del nuovo libero regime, abbiatevi dà parte di Benevento un'eguale, interminabile profferta. Voi siete l'interprete presso il nuovo Re, ditegli che i figli di questa sua provincia, mercè i loro Rappresentanti, hanno giurato di spendere fino all'ultimo l'obolo loro, e di spargere tutto il loro sangue per la Patria, al grido di viva la Indipendenza d'Italia - viva Vittorio Emanuele è il Dittatore Garibaldi.
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Indi la Deputazione gli espose le giuste aspirazioni dei beneventani, quelle, cioè, di vedere elevata Benevento a capitale di provincia napoletana, come appunto era stato convenuto col Comitato Centrale Nazionale, ed a tale intento gli presentò il progetto con la pianta topografica della nuova circoscrizione, innanzi notata. Il Dittatore si mostrò compiaciutissimo per quanto la Deputazione gli aveva esposto, e promise di provvedere per la nuova circoscrizione provinciale, di cui ritenne il progetto e la pianta topografica, come in effetti compì la promessa col decreto, emesso, a firma del suo prodittatore Giorgio Pallavicini, in data 25 ottobre, col quale l'antico Ducato di Benevento fu dichiarato provincia del regno italiano, e Benevento capitale di essa .............. Il Dittatore voleva far subito cessare il provvisorio governp, nominando il governatore, ed all'oggetto fece chiamare il Segretario Generale Agostino Bertani, ma l'altro componente la Deputazione - il Sig. Vessichelli - prevedendo che la nomina sarebbe stata fatta in persona del Presidente del governo provvisorio; ciò che frustrava i suoi ambiziosi disegni, quasi interrompendo gli ordini, che Garibaldi stava per dare al Bertani, disse "ch'era più opportuno sospendere la nomina, e permettere che da Benevento gli fosse stata proposta, dopo di avere scandagliata la pubblica opinione". Il Generale se ne accontentò, ed io, non essendo guidato d'alcuna ambizione, e personale interesse, - lasciai passare la furbesca trovata del Vessichelli, ciò che fu un grave errore a danno del partito. Prima di accomiatarci dal Dittatore, lo stesso mi espresse il desiderio, che avessi accompagnato il generale Tùrr ad Avellino, ove dovevasi recare per reprimere la reazione borbonica, scoppiata a Montemiletto, e ad altri paesi limitrofi, - desiderio ch'essendo per me un ordine formale e gradito, - nelle ore pomeridiane dello stesso giorno partii da Napoli per Nola, in ferrovia con Tùrr, e di là in carrozza giungemmo al levare del nuovo sole ad Avellino, dopo una breve sosta a Mugnano. Un'ora dopo, a marcia forzata, ci raggiunse un battaglione garibaldino. Fu subito istallato il governo provvisorio, di accordo col Comitato, ch'era composto, tra gli altri, dallo Scolopio P. Nitti, dall'avvocato Oronzo Leo, e dal colonnello De Conciliis, e quest'ultimo fu nominato Commissario straordinario con alti poteri civili e militari. Il Generale Tùrr, dopo il mezzogiorno, marciò colle forze garibaldine alla volta dei paesi insorti, ed io, avendo compiuta la missione affidatami, rifacendo la strada per Nola, ritornai a Napoli, e di là a Benevento, dove il dovere mi chiamava, perche' prevedeva che la concordia e la pubblica tranquillità, con tanti sacrifizii mantenuta, da un momento all'altro poteva essere seriamente turbata, a causa delle continue provocazioni dei camarillisti, come infatti avvenne ........ Sparsasi la notizia che dal Governo Provvisorio doveva partire la proposta per la nomina del governatore, giusta gli accordi presi col Dittatore Generale Garibaldi, la Camarilla e i suoi partigiani, che, fino allora, si erano tenuti in un'apparente indifferenza e riserbo, incominciarono ad agitarsi, e ad agire apertamente, per afferrare il potere, e, come di conseguenza, il partito del Governo tenne loro fronte; cosicché da entrambe le parti si promossero indirizzi e sottoscrizioni, pel Conte Carlo Torre le une, e pel Presidente del Governo Provvisorio le altre. Ma l'agitazione, e la prepotenza dei camarillisti andò oltre. Alcuni del Decurionato (Consiglio Comunale) costituironsi in Commissione, e, pigliando a pretesto di doversi recare dal Dittatore per ringraziarlo del dono fatto alla Guardia Nazionale di 300 fucili, eseguivano, invece, il segreto concerto della Camarilla, di chiedere la nomina di Carlo Torre a governatore di Benevento. La Deputazione fu composta dai signori avvocato Pasquale La Valle, Dottor Domenico Ventura, Raffaele dei marchesi Mosti, Luigi Tomaselli, e da qualche altro, ch'è sfuggito alla memoria, e ad essi si unirono in Napoli, inconsideratamente, i signori marchese Casanova e Ferdinando Pandola, per far cosa grata ai loro importuni amici di Benevento. Il Governo Provvisorio, sospettando i soliti intrighi dei camarillisti, aveva provveduto a sventarli, facendo partire assieme alla detta Deputazione un suo componente il signor Domenico Mutarelli - con opportune istruzioni, ma questi, per troppa buona fede, invece di stare alle costole di quei signori, diede loro il tempo di presentarsi, da soli, al Segretario Generale Bertani, e chiedegli la nomina di Carlo Torre a governatore di Benevento; cosicché egli arrivò nel momento, in cui il Bertani consegnava loro il relativo decreto, dicendo: ecco siete stati contentati, è questa la nomina di Carlo Torre a governatore di Benevento. Il Mutarelli avrebbe dovuto opporsi, in nome del Governo Provvisorio, ma gli mancò quella risolutezza, ch'è necessaria in certi momenti di sorprese, e lasciò andare il brutto tiro fatto a lui, al Governo Provvisorio, ed a tutto il partito della rivoluzione! Veramente il Bertani non avrebbe potuto prendere quel provvedimento, perché non poteva dimenticare che la proposta di nomina doveva esser fatta al Dittatore, esclusivamente, dal Governo Provvisorio, giusta l'accordo preso, ma egli forse cadde in tale errore, sia perché la Deputazione gli si presentò in nome della Rappresentanza Municipale, sia perché, ignorando lo stato politico di Benevento, non poté immaginare fin dove potessero giungere i tranelli della Camarilla beneventana. Intanto sparsasi la notizia di quanto era accaduto, gl'insorti del 3 settembre ne restarono, fortemente, irritati, e chiesero, con la maggiore insistenza, di mandarsi una Deputazione al Dittatore, all'oggetto di far revocare la predetta nomina. La Deputazione fu in effetti composta dallo stesso signor Mutarelli, e dai signori Domenico De Simone, Francesco D'Aversa, Dottor Vincenzo Russo, e Giambattista Zanchelli, ed io, non avendo potuto esimermi dall'accompagnarla, la presentai al Segretario Generale Bertani, per l'assenza di Garibaldi, il quale era intento ad espugnare Capua; ed in tale occasione, attesa la nomina del governatore, rassegnai i poteri, di cui era rivestito. I Componenti la Deputazione espressero le loro doglianze al Bertani per la nomina del governatore Torre, perché, a prescindere dai suoi sfavorevoli antecedenti politici, egli era il fiero avversario del partito democratico, ed era stato l'anima della reazione, suscitatasi in Benevento. Tra essi il dottor Russo, con la faconda sua parola, commosse il Bertani a segno, che d'un tratto disse "basta, basta, per ora il governatore Torre non verrà a Benevento, ed intanto ne riferirò al Dittatore pei suoi definitivi provvedimenti". Pero' le imprudenze crearono al Governo Provvisorio una critica posizione, e giovarono, senza volerlo, agli avversarii. Ecco cosa avvenne. I Capi - Sezione, avendo saputo che il partito Torre, per ottenere la sua nomina a governatore, tra l'altro, aveva promosso una sottoscrizione, la quale, mentre si assicurava contenere i ringraziamenti al Generale Garibaldi pel dono fatto di 300 fucili, racchiudeva, invece, la petizione per l'anzidetta nomina, e credendo che una pubblica manifestazione avesse potuto viemeglio influire a farla revocare, radunarono sotto l'armi le rispettive sezioni, cui si unirono anche le altre dei Comuni di S. Angelo a Cupolo e di S. Leucio, appositamente chiamate, e tutte, a tamburo battente, percorsero le principali strade, e soffermaronsi sulle diverse piazze e larghi. Indi furono invitati tutti i Notari, residenti in Benevento, a redigere un verbale di quanto veniva dichiarato dal popolo. L'atto fu esteso dai Notari Mazziotta Bartolomeo, Bruno Tommaso, Bruno Antonio, lannace Donato, Del Ninno Alfonso, ed e come segue:
In Nome di
VITTORIO EMANUELE
Re d'Italia
Dittatore GIUSEPPE GARIBALDI
Benevento, 25 Settembre 1860
A richiesta dei qui sottoscritti e sottosegnati Capi - Sezione, Noi pubblici Notari, residenti in Benevento, ci siamo conferiti nei siti largo Castello, - largo Santa Sofia, - largo S. Domenico, - largo del Gesù, - nel cortile del palazzo comunale, - largo S. Caterina, largo della Dogana, - largo del Duomo, - piazza Orsini, - largo Porta Rufina, e indi in diversi siti e strade della città, ed abbiamo rinvenuto gran quantità di cittadini, e moltissimi naturali dei Comuni appodiati, limitrofi, e dove più, dove meno, e quindi girando per la maggior parte della città, rinvenendo, tratto in tratto, molta gente riunita, alcuni Capi - Sezione avendo domandato alla folla se avessero firmato una petizione al Generale Garibaldi, hanno risposto, chi affermativamente, e chi negativamente, e richiesti, nuovamente, che avessero inteso di firmare, hanno tutti, unanimemente, risposto: Noi, senza leggere la scrittura, come ci fu detto da chi richiedeva la nostra firma, abbiamo inteso sottoscrivere un'indirizzo al Generale Garibaldi, per ringraziarlo di aver regalato alla Guardia Nazionale di Benevento 300 fucili, e per avere anche elevata Benevento a capoluogo di provincia napoletana. Questo, e non altro, abbiamo inteso firmare. Finalmente domandato chi bramavano avere per loro governatore, hanno tutti, a viva voce, risposto "vogliamo il signor Salvatore Rampore, che per noi ha faticato". Firmati: I Capi - Sezione - Francesco Babuscio, Francesco Capilongo, Domenico Ricci, Tommaso Campanella, Luigi Marotti, Paolo Orrei, Raffaele Russo, Pier-Felice Petrella, Giuseppe Marotti, Raffaele Generazzi, Raffaele Lamparelli, Antonio Lamparelli, Alessandro Ferrara, Giambattista De Longis, Salvatore Marotti, Lodovico Del Ninno, Giambattista Zanchelli, Michelangelo Iannace, Beniamino De Longis. Luigi Pacifico testimone, Luigi Abete testimone. Cosi, ed in fede. Firmati: Noi Notaro Bartolomeo Mazziotta rogato, Notaro Antonio Bruno, Notaro Tommaso Bruno, Notaro Donato lannace, Notaro Alfonso-Maria Del Ninno, rogato ho segnato.
(Segno del tabellionato)
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Quest'atto, che, come ognuno comprende, non altro racchiudeva che una pubblica e solenne manifestazione, solo perché fatta con le armi al braccio, dié pretesto al governatore Torre di riferire al Dittatore che a Benevento era scoppiata la reazione. Il Segretario Generale Bertani, abbindolato da tali mene non seppe, o non volle discernere, che la dimostrazione del 25 settembre, sebbene fatta da gente armata, pure quelli, che l'avevano promossa, erano gli stessi capi-sezione, che, nel 2 e 3 del detto mese, avevano innalzata la bandiera Sabauda, abbattendo il governo papale, e quindi avrebbe dovuto comprendere che l'agitazione era contro un partito, che s'imponeva, come al solito, al paese, e non avrebbe dovuto dare ascolto ai calunniosi reclami. Però le imprudenze continuarono dall'una e dall'altra parte. Un vivace incidente avvenuto tra me ed il Torre, da quest'ultimo provocato, in una delle sale della segreteria della Dittatura, portarono il colmo alle scissure dei partiti, complicarono le pendenti pratiche, ed i camarillisti, maestri nell'arte degl'intrighi, la vinsero sul popolo, anche questa volta. Il Bertani inviò a Benevento il colonnello garibaldino Bentivenga, siciliano, con 300 uomini, nella qualità di Commissario, con alti poteri politici e militari, per reprimere l'assenta reazione. Né il Bertani cadeva in tali errori, a riguardo solo di Benevento, poiche', cedendo alle pressioni, che gli venivano da fuori, fece eguale trattamento ad altri patrioti, in altre provincie, tenendo una linea di condotta, che favorì il partito, detto in allora dell'ordine, cioè della consorteria, che tanto male fece all'Italia; seminando, a piene mani, la discordia, e creando l'affarismo e l'immoralità, che potrà essere estirpata, solo in avvenire, da una nuova generazione, con una nuova rivoluzione. Ciò che avvenne a Benevento, avvenne a Potenza, a Salerno, ad Avellino, - pei patrioti Giacinto Albini, Nicola Mignogna, Giovanni Matina, Oronzo Leo, ed altri capi dei governi insurrezionali, - che vennero surrogati con uomini di dubbia fede politica, ed affiliati alla consorteria. Non può certo mettersi in dubbio il patriottismo del Bertani, e i molti servigii resi alla patria; però é innegabile, d'altro lato, egli, forse involontariamente, contribuì ad un sistema di contradizioni e d'immoralità politiche, nelle provincie napoletane, che rovinò la causa del popolo, con gravissimo sfregio della libertà e della giustizia. Era l'alba del 27 settembre, ed il colonnello Bentivenga, lasciando la ferrovia a Cancello, si metteva in marcia verso Benevento, alla testa di un battaglione di garibaldini. Il Governo provvisorio informato, troppo tardi, dell'inconsulto provvedimento, non pote' scongiurarlo, dimostrandone la inutilità, giacche', ne punto ne poco, esisteva la denunciata ribellione, e i temuti disordini; pur tuttavia, facendo di necessità virtù, una sua Rappresentanza, assieme a molti cittadini, gli andò incontro fino al confine del territorio beneventano. Il Battaglione giunto in città fu gentilmente accolto, e nonostante le fraterne manifestazioni, come di garibaldini a garibaldini, nonostante che non avesse trovata la strombazzata reazione, pure il Bentivenga, perchà fortemente prevenuto - per non dire altro - senza usare nemmeno la cortesia di un saluto, di un'addio ai Rappresentanti il Governo provvisorio, assunse i pieni poteri, e adottò, stupidamente, tali provvedimenti, da farci credere in un periodo di terrorismo. Bandì la legge stataria, ed ordinò il disarmo generale. Dispose l'arresto dei capi - sezione Campanella, Ricci, Zanchelli, Varricchio, e di altri cittadini. Fece eseguire visite domiciliari con ogni arbitrio, ed usò misure dispotiche ed inurbani trattamenti contro il partito insurrezionale, come che si trovasse fra nemici, e non fra amici. Non mancavano le minacce a chi reclamava contro la Camarilla e la nomina del governatore Torre, come all'opposto il sorriso, l'affabilità, le promesse erano, largamente, dispensate a coloro, che si dichiaravano avversarii del Governo provvisorio e dei suoi partigiani. I liberali scacciati dai loro posti, rintanati altri nelle loro case, altri fuori usciti per timore di arresto. Invece i Torriani chiamati alle prime cariche, non esclusi gli addetti alla polizia dell'abbattuto governo pontificio, e che poi proseguirono ad occupare. Belle prove di patriottismo di un colonnello garibaldino! Era questa la vera reazione, non la dimostrazione popolare del 25 settembre. Assieme al Bentivenga era qui giunto il Padre Pantalèo, frate siciliano, dell'Ordine dei Francescani, cappellano di Garibaldi, il quale più giudizioso dell'altro, non parteggiò, apertamente, con lui, ma volendo fare qualche cosa, che sapesse di liberalismo, pretese dall'Arcivescovo Cardinale Carafa, che gli avesse fatto aprire le porte del Duomo, perchè voleva predicare al popolo, e non avendolo ottenuto, indusse il Bentivenga a intimargli lo sfratto da Benevento, nel termine di due ore, ordine che fu, tosto, portato al Cardinale da un'Aiutante maggiore. Ciò fatto, parlò al popolo sulla piazza Orsini, annunciando la cacciata dell'Arcivescovo, e trovò modo di fare emettere voci di plauso, che, in vero, non erano, e non potevano essere indirizzate alle sue stranezze, che, invece, erano suscitate dall'entusiasmo, cui il popolo si abbandonava pel nuovo ordine di cose, e la rinascente libertà. Il Cardinale parti all'imbrunire per Napoli, in compagnia del canonico Feuli - che, poi, morì da Arcivescovo a Manfredonia - e fu scortato da un capitano garibaldino, unitamente al Pantalèo. Ivi giunto fu condotto al palazzo della Foresteria, ove restò per qualche giorno a disposizione del governo della Dittatura, il quale, dispose che doveva recarsi all'estero, o a Roma, ed egli, interpellato, prescelse quest'ultima dimora, e s'imbarcò per Civitavecchia, donde si recò a Roma. Mentre il Bentivenga, come si è detto, abusava dei suoi poteri, al Generale Garibaldi furono inviati ripetuti reclami, in ordine alle critiche condizioni politiche, in cui versava Benevento, chiedendogli giustizia e riparazione, che non si ottennero, perchè Garibaldi costretto a combattere presso Capua le truppe borboniche, non poteva occuparsi di cose amministrative, e dei fatti nostri, che anzi, e a ritenersi, neanco arrivarono fino a lui le cennate rimostranze, poichè, in opposto, avrebbero avuto ben altro risultato. Vicende umane! Tralascio poi di riportare i dettagli di quanto, in allora, si bisticciava e si ordiva contro il Governo provvisorio, e i suoi partigiani, perchè, ripeto, ancora una volta, non è mio proposito trattare questioni di persone, dopo lungo volgere di anni, e solo ricordo uno degli atti più illogici e dispotici, compiuto dal Commissario Bentivenga a sfregio del Governo provvisorio, - senza dubbio, per istigazione degli avversarii, - e questo fu l'aver creata una Commissione d'inchiesta sugli atti di quel Governo, pretendendo, in pari tempo, che i suoi Componenti avessero dovuto presentare un rendiconto. E se non ridi, di che rider suoli? Il più grave dei delitti, scrisse un giorno Garibaldi, è l'ingratitudine: ebbene con l'ingratitudine si pagavano, in questo paese, gli uomini, che, pel suo bene, avevano fatto ogni sacrificio, mettendo, perfino, a repentaglio la vita. Il Governo provvisorio doveva dare i conti! Ed a chi? Forse al Governatore, che gli succedeva, od allo stesso Commissario straordinario? Pare incredibile! ma e pur vero: si chiesero i conti. Certamente ne all'uno, ne all'altro, il Governo provvisorio doveva dar conto del suo operato, perché era stato Governo Sovrano, fino al giorno, in cui fece adesione alla Dittatura Garibaldi, e si pose alla sua dipendenza. Ciò e chiaro. E d'altronde di che doveva dar conto? Di quello, che i suoi nemici avevano disperso, o sottratto, oppure di quello, che era stato gelosamente conservato? Ma di ciò parlerò appresso. La Commissione d'inchiesta fu composta colle persone dei signori avvocato Paolo Capilongo Presidente, avvocato Giovanni Bosco Lucarelli, avvocato Emanuele Manciotti, avvocato Giovanni De Giovanni, Bartolomeo Vitagliano Segretario. Alla Commissione fu fatto formale divieto di declinare il ricevuto incarico. Infrattanto il Commissario straordinano, rassicuratosi che il popolo di Benevento non era quel popolo sedizioso, come lo si era dipinto, e che non sarebbe stato ulteriormente turbato l'ordine pubblico per la venuta del governatore Torre, lo invitò ad occupare il suo posto, ed il Torre, non ponendo tempo in mezzo, lasciò Napoli, dove per prudenza intrattenevasi, e nelle ore pomeridiane del 5 ottobre giunse a Benevento, accompagnato da alcuni suoi fidi partigiani, che gli andarono incontro fino a Montesarchio, e ad Arienzo. Trionfale fu la sua entrata in città. Una folla di curiosi, e di avversarii del Governo provvisorio, e specialmente di tutti quelli, che non avevano preso parte al movimento insurrezionale del 2 e 3 settembre, lo riceve a Porta Rufina, al suono della banda musicale, e parecchi facchini della dogana, e dei mulini, eseguendo gli ordini dei loro padroni, staccarono i cavalli dalla carrozza, che lo trasportava, e la trascinarono fino alla sua casa di abitazione. Era una rivincita, che si pigliava la Camarilla e i pagnottisti insoddisfatti dal Governo provvisorio. Il colonnello Bentivenga, avendo espletata la ben triste sua missione, partì da Benevento con i suoi picciuotti, dopo qualche giorno dall'arrivo del Governatore, senza lasciare di se alcuna favorevole impressione, o piacevole ricordo, essendo stato, generalmente, giudicato come ignorante e prepotente. Il governatore Torre, insediatosi nel palazzo del castello, attese con ogni zelo ed interesse, a completare l'organamento della nascente provincia, ed in breve si acquistò maggiori aderenze, essendosigli presentata la propizia occasione di poter soddisfare l'ingordigia di molti, coll'impianto di nuovi ufficii, e colle conseguenti nomine d'impiegati, giusta gli organici, esistenti nelle altre provincie del regno napoletano. E' inutile dire, poi, ch'egli, per quanto affabile nei modi, e d'indole piuttosto timida, pure non seppe elevarsi al di sopra delle passioni di partito, e non intese, com'era necessario, a quietare il paese. Dimenticò, sopra tutto, che se favori e beneficii avesse avuto a compartire, questi dovevano, principalmente, esser concessi a quelli, che, patrioti della vigilia, avevano proclamata la rivoluzione unitaria, per la quale egli era diventato governatore di provincia, e non a quelli, soltanto, che, patrioti della festa, gli strisciavano d'intorno, e ne cantavano le lodi, come tanti giullàri. Il suo governo, dal lato politico, si confuse con quello del Commissario straordinario, e non poteva essere altrimenti, giacche l'uno non rappresentava che le idee e gl'interessi dell'altro. In quei giorni di agitazione e di confusione, i liberali erano presi di mira dalla reazione borbonico-clericale, che soverchiava. Benevento ne aveva dato il triste esempio, che poi fu seguito dalle provincie di Avellino e di Campobasso, alla nostra limitrofe, dove però la reazione prese ben'altre proporzioni, e furonvi scene di sangue, incendii e disordini gravissimi, cosicché il Dittatore Garibaldi inviò ad Avellino il Generale Tùrr, come già accennai, ed a Campobasso il Colonnello Nullo, per la repressione dei moti reazionarii scoppiati ad Isernia, e ad altri paesi del Circondano. Al Colonnello Nullo fu unito anche il Maggiore De Marco, alla cui dipendenza militava la Compagnia beneventana, sicché e debito parlarne, quantunque non trattisi di avvenimenti svoltisi nel beneventano. Le due colonne partite da Maddaloni, e da monte S. Angelo marciarono unite fino a Boiano, senza incontrare alcuna resistenza, ma da quel punto si affacciò serio il pericolo, che incautamente, o colposamente, non si seppe evitare dal Colonnello Nullo, giacche, egli, contro gli ordini ricevuti da Garibaldi, di soffermarsi a Boiano, in attesa dell'arrivo delle truppe piemontesi, comandate dal Generale Cialdini, spinse innanzi le due colonne, senza spie, o guide, senz'avanguardia, senza un piano di ritirata, e quindi si trovarono fra le gole di Pettorano e Castelpetroso, le cui sommità erano occupate da gran numero di gendarmi e granatieri borbonici, i quali capitanavano le orde dei reazionarii, sicché dovettero i poveri giovani garibaldini azzuffarsi, e sostenerne le imboscate, che riuscirono loro ben disastrose. Il combattimento avvenne il 17 ottobre, e durò fino a notte inoltrata, e la carneficina continuò anche nelle prime ore del successivo giorno. A Castelpetroso le crudeltà furono maggiori. I prigionieri e i feriti non furono rispettati, ma barbaramente uccisi, e seviziati. Diciotto garibaldini furono ligati, indi trucidati a colpi di scure e di altre armi omicide, ed alla strage presero parte, come tante tigri, anche parecchie donne, che, certo, non dovevano essere madri! La Compagnia beneventana si trovò per la prima avviluppata dalle masse borboniche, ma ne fu salva per la gagliarda resistenza opposta dall'avanguardia, ch'era formata dai soldati papalini, che ........ avevano disertato il quartiere S. Antonio, i quali sostenendo il fuoco, assieme ad altri nuclei del battaglione comandato da Campagnano, in buona posizione, la Compagnia ebbe il tempo di battere in ritirata. La stessa sorte, però, non toccò al mio germano Pietro, che n'era il Capitano, giacche trovandosi, fatalmente, dalla compagnia diviso, volle con un pugno di garibaldini spingersi sull'erta di una collina, donde veniva un fuoco nutrito dei regii, i quali gli furono sopra, ed, a breve distanza, ebbe schioppettate, e cadde ferito al petto ed al collo, finendo tra gli strazii, senza esser soccorso dai fuggenti, ai quali inutilmente, faceva segni con le mani, mancandogli, certamente, la voce! Egli giovane, a 27 anni, pieno di vita e di coraggio, s'immolava sull'altare della patria, per la causa della Libertà, e pel bene del suo natio paese, senza pompa, e senza gloria; e, ciò che più monta, obbliato dallo stesso paese, per la tristizia dei tempi, se non degli uomini! A me non fu possibile, per le critiche condizioni di quei giorni andare a raccoglierne le spoglia, o scavargli una fossa fra quei sassi inospitali, e ciò mi accrebbe e perpetuò il cordoglio, che porterò meco nella tomba! Gravissima fu la sconfitta toccata ai garibaldini, in quel giorno, essendone rimasti sul terreno circa 200, oltre un gran numero di feriti e prigionieri, scampati alle sevizie dei cafoni reazionarii, perché condotti dalle truppe regolari nel Forte di Gaeta, donde furono, di poi, liberati con la capitolazione di quella piazza. La responsabilità di tutto il sangue versato, nella triste giornata del 17 ottobre, cadde, principalmente, sul colonnello Nullo, ed uno dei superstiti - il signor Domizio Tagliaferri, di Boiano - ne narro più dettagliatamente l'eccidio, nel n. 28 del giornale la Lega del Bene, pubblicata in Napoli nel luglio del 1890, di cui e opportuno riportare alcuni brani. "A Boiano la nostra colonna era costituita da circa seicento uomini, con una fanfara di trentadue persone di Apice, e di altri vicini paesi. Poi fu rinforzata da circa quattrocento altri del Battaglione Campagnano, di dugento di Bentivenga, oltre un forte numero di Campobassani e provinciali. Garibaldi, tra le altre istruzioni fornite al colonnello Nullo, aveva data quella di far sosta a Boiano, e di non muovere verso Isernia, prima del 20 ottobre, affinchè il nemico si fosse trovato bloccato fra noi ed il corpo d'esercito del Generale Cialdini, marciando per la strada del Macerone. Se nonchè Nullo, improvvisamente, verso le 10 antimeridiane ci comando di avvicinarci ad Isernia, in fretta, senza che avessimo avuto l'agio di rifocillare lo stomaco, digiuno dal giorno precedente. Nullo derogò agli ordini ricevuti, e ci espose a quella tremenda carneficina, che la storia stìgmatizza con parole di fuoco, e da cui pochi soltanto, ed a mala pena, scampammo. Dopo tre ore, di penoso cammino, giungemmo presso Pettoranello di Molise sulla via, che congiunge questo paesuccio alla strada nazionale dei Pentri. Quivi stanchi ci sdraiammo per terra. Alberto Mario proseguì verso Isernia. Nullo e il suo Stato maggiore penetrarono a Pettoranello. Verso le 2 pomeridiane, mentre ognuno si cullava in un sospirato riposo, gran numero di gente bene armata si mostrò sulle vicine alture di Castelpetroso, e fra le rocce di Pettorano. Datosi l'allarme, io e il capitano Pietro Rampone con qualche altro corremmo al paese per avvertire il colonnello Nullo. Lo trovammo seduto al pianoforte suonando, e dopo avere ascoltato da noi, che il nemico ci era sulle spalle, rispose, in tuono burbanzoso - Sono io, che comando. Tornate ai vostri posti -. Ci guardammo stupefatti, e tornammo donde eravamo partiti, annunziando la risposta di Nullo. Mezz'ora dopo, il nemico, che ci era abbastanza da presso die' principio alle fucilate. Fummo tutti, come un sol uomo, all'impiedi. Corremmo verso i cafoni e li respingemmo, quantunque si trovassero garentiti dalle nostre palle, dietro macigni di ogni dimensione, e grossi alberi. Intanto uno scalpitio di cavalli mi fece volgere, e vidi Nullo e lo Stato Maggiore al trotto, alla volta d'Isernia. Ci gridò: - avanti ragazzi! E noi andammo oltre. Giunti sul ponte senza pezzi, che trovasi dopo la prima discesa tra Pettorano ed Isernia, le fucilate al nostro indirizzo incominciarono più incalzanti di prima. Fu allora che Nullo col suo Stato Maggiore, dopo di averci ordinato di andare avanti, ed io, che gli era vicinissimo, lo sentii precisamente dire - Non vi perdete d'animo, vi recherò subito rinforzi - rifacendo la via già percorsa, lanciò al gran galoppo il suo cavallo verso Boiano, scappando ch'era un piacere! Non vedemmo più nè il Nullo, nè il De Marco, nè arrivarono i promessi rinforzi! Della ritirata fino a Boiano non so nulla, ma Alberto Mario, che si trovava tra le file dei garibaldini lo racconta nella sua Camicia Rossa, ed Ernesto Armanni, con maggiore chiarezza, nella Lega succitata, essendo egli rimasto, in quel conflitto, gravemente ferito. Intanto, noi, spinti verso Isernia dalle fucilate, continuammo ad incalzare il nemico, con la speranza che il rinforzo promesso dal Nullo arrivasse, da un momento all'altro, e non fosse l'araba fenice. Accanita fu la resistenza, e senza curarci che le palle ci fischiavano alle orecchie, guadagnammo, poco a poco, una collinetta, a due chilometri dal ponte di Pettorano, snidando gran numero di borbonici, che dovettero cedere. Caddero però mortalmente feriti, sotto i miei occhi, il capitano Pietro Rampone, che aveva mostrato molto sangue freddo e coraggio, diversi altri garibaldini, ed una mia ordinanza, che non potetti salvare dai colpi di stile di un cafone. Sopraggiunse la notte, ch'era freddissima, e verso la mezzanotte scorgemmo un fuoco ad un paio di chilometri di lontananza. Credemmo lo avessero acceso gli altri garibaldini, che erano con Nullo, e andarono alcuni esploratori per provvederci di munizioni e cibi, e per affrettare i promessi rinforzi! All'alba tornarono gli esploratori, e ci narrarono che quel fuoco era stato acceso dai regii, che avevano occupato Pettorano, dopo che la gran parte dei nostri era stata massacrata. Quale fu il nostro sbalordimento, il nostro dolore, la penna non sa dirlo! Dopo breve consiglio si decise di aprirci una strada verso Boiano. Giunti appena sulla strada consolare, dove la sera precedente avemmo la prima scarica del nemico, ci trovammo circondati da stuoli di gendarmeria borbonica, dalla fanteria di linea, e dai cafoni. Questi ultimi erano armati di scure, uncini, ed altre armi di forma strana, il cui nome non ho mai conosciuto. Una grandinata di fucilate ci assaliva da ogni parte. Le nostre munizioni erano completamente finite. Il numero dei nostri diminuiva, mano mano, sopraffatti dai nemici. Quanti in quel funesto giorno furono scannati, massacrati dai cafoni! quanti altri spogliati, derubati dai regii! Fu un'eccidio, fu una vera ecatombe!" Il Tagliaferri chiude la dolorosa descrizione - di cui tralascio altri particolari delle crudeltà dei regii contro i garibaldini e i patrioti di quel circondano - col mandare un saluto ai superstiti, ed ai defunti il tributo di una lagrima di dolore e di perenne lode, cui queste memorie fanno eco, condividendo la speranza che il sangue di tanti martiri, che cementò l'unità e l'indipendenza della patria, riesca a cementare anche la morale e la giustizia, di cui ancora si desiderano i vantaggi. La Compagnia beneventana usci salva dall'eccidio, perché poté battere in ritirata a Boiano, meno il proprio capitano, che perì, come si è detto, senza soccorsi! Anche l'artigiano e musicante Raffaele De Angelis di Francesco, beneventano, non fece più ritorno fra i suoi, perché trucidato da quei cannibali, - assieme a tutta la fanfara del battaglione, di cui faceva parte, - sotto il ponte di Pettorano, ove, all'imbrunire, si era rifugiata. Tutti gli altri, poi, mano in mano, ritornarono a Benevento. Però è a notarsi che non tutti gl'iscritti nei ruoli avevano proseguito a servire, e che alcuni di essi non si trovarono al descritto combattimento, avendo preferito ritornare alla quiete delle loro case, fin da quando il Battaglione lasciò Ariano. La polvere e il piombo facevano paura! Mettiamo un velo sui loro nomi. Oltre i caduti in quella funesta giornata, furonvi 1110 prigionieri, che furono, non senza maltrattamenti e minacce di morte delle truppe borboniche e dei fanatici reazionarii, condotti a Gaeta, ove rimasero fino al giorno 12 novembre, esposti a duri trattamenti ed alla fame; e vennero liberati solo in seguito allo scambio dei prigionieri, chiesto dal Generale Cialdini. Fra i liberati, appartenenti alla nostra provincia vi furono il capitano Francesco De Nunzio, da Remo, - i tenenti Pietro De Martino, da Vitulano, - Domenico De Blasio, da S. Lupo, - Giuseppe Verdura da Fragneto, - Nicola Truppi, da Airola, - Nicola Savoia, da Montesarchio, - Alfonso Lombardi, da Airola, - i militi Antonio d'Alessandro, da Paduli, e Francesco Fasulo, da Benevento. ...... Dopo le splendide vittorie riportate da Garibaldi e dai suoi Generali, nei primi di ottobre a Capua, e a S. Maria, contro le truppe borboniche, che furono costrette a chiudersi entro Capua, la diplomazia s'impensieriva della Dittatura del grande guerriero, e i moderati consorti non dormivano sonni tranquilli. Il Ministro Cavour, che n'era l'ispiratore, e che, per quanto eminente uomo di Stato, non aveva compreso tutto il pensiero di Giuseppe Mazzini, in ordine all'unità italiana, faceva dire a Vittorio Emanuele in un proclama, diretto ai potentati di Europa, che "andava a Napoli per chiudere l'éra delle rivoluzioni in Italia", e forzava la mano a Garibaldi per bandire il plebiscito di annessione agli Stati Sardi, che nè Mazzini, nè Garibaldi volevano, perché incondizionato, e perché non ancora compiuta l'unità nazionale, la quale doveva esser proclamata da Roma, sopra un nuovo patto fondamentale. La diplomazia però la vinse, e Garibaldi dovette cedere alle insistenze del Ministro Conforti, che nulla tralasciò, neppure le lagrime, per indurlo a sottoscrivere la formula plebiscitaria - Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele re costituzionale e suoi legittimi successori - ed il plebiscito fu bandito pel 21 ottobre. Benevento, naturalmente, seguì Napoli, e compì l'ultimo atto del suo risorgimento, votando anch'essa la predetta formula di plebiscito. La votazione ebbe loogo nell'atrio del Liceo Giannone, sotto la presidenza dell'avvocato Carlo Bessogni, il quale fece del suo meglio perché fosse riuscita imponente e regolare. Il popolo vi accorse numeroso ed entusiasta, non pero quanto lo era stato nei giorni 2 e 3 settembre, perché già alla concordia, all'affratellamento, e al sentimento del bene pubblico, cominciava a subentrare quello del bene privato, e le scissure e l'odio di partito si facevano strada. La rivoluzione unitaria in Benevento aveva completamente trionfato, e questa città aveva raggiunto quanto, durante un secolo, era stato per essa un sogno, ed una vana speranza. Era divenuta capitale di provincia italiana, e raccoglieva i maggiori vantaggi, che il nuovo ordine di cose apportava all'Italia. Questa, almeno era, in allora, la prospettiva del suo avvenire, sebbene ora qui, come altrove, si maledica alla rivoluzione unitaria, a causa delle sopravvenute insopportabili angustie, confondendosi, in tal modo, l'una cosa con l'altra, - cioè, lo sgoverno, la immoralità, l'arbitrio e gli aggravii delle imposizioni tributarie con le libere istituzioni, e l'unità nazionale, - come che quelle e queste fossero le cause precipue, dirette, dei mali, che si deplorano, e non la furfanteria e l'affarismo politico, alimentato dalla debolezza e dall'incoscienza delle popolazioni, che lasciano fare, e non provvedono - neanche nelle vie legali - ai proprii interessi, mandando al Parlamento uomini sinceramente liberali, e per carattere indipendenti. Comunque: a Benevento restano sempre i positivi miglioramenti, ottenuti pel mutato ordine di cose, che non possono esser disconosciuti, neanche da coloro, che ricordano, con compiacimento, il beato governo del Papa. Seguito, intanto, il plebiscito, e cessate le leggi eccezionali, Benevento vide realizzata la promessa fattale dal Generale Garibaldi - di elevarla a capitale di provincia - col decreto, emesso in data 25 ottobre ...... In conseguenza del...... decreto, fu emanato l'altro, in data 28 dicembre, dal Luogotenente Generale del Re Farini, col quale vennero istallati i diversi ufficii, tanto pel ramo giudiziario, quanto finanziario, come per lo Stato Civile, che in Benevento non funzionava, perchè, come città appartenente allo Stato Pontificio, il registro dei matrimonii, dei nati e dei morti tenevasi dai Parroci. Finalmente col decreto del 17 febbraio 1861, emesso dal Luogotenente Generale del Re Principe di Carignano, fu fissata la circoscrizione della nostra provincia, restando cosi coronata la iniziativa e l'opera mia, indi quella del Governo provvisorio. A detto decreto precede la relazione del Ministro Liborio Romano, ch'è....... dalla stessa rilevasi quanto abbia influito la rivoluzione unitaria del 3 settembre 1860, perché' Benevento ottenesse il posto, che ha di provincia napoletana di 1 classe. La creazione della nuova provincia di Benevento, e colla distinzione di prima classe, non poteva non suscitare la gelosia delle altre provincie, che col cedere una parte dei loro comuni, ne restavano danneggiate, e quelle di Terra di Lavoro e di Molise, i di cui interessi furono maggiormente feriti, ne mossero una guerra accanita. La questione fu portata innanzi al Parlamento, sedente a Torino, che se ne occupò nella seduta del 3 aprile 1861. I Deputati Caso, Massari, Conforti e Cardente, proposero l'annullamento del suddetto decreto Luogotenenziale, confermante l'altro della Dittatura Garibaldi del 25 ottobre 1860, poggiando la loro proposta, principalmente, sui motivi che la circoscrizione non era stata fatta con giusti criterii, mentre altri distinti Deputati, ne difesero la validità e la necessità dell'esecuzione, tra i quali l'ex Ministro Liborio Romano, che conchiudeva l'eloquente suo discorso con le seguenti parole: "Benevento ha un'importanza, storica e può vantarsi di un fatto moderno. Al primo sventolare della bandiera Sabauda si sottrasse al giogo clericale, e contribuì, potentemente, al movimento unitario delle provincie limitrofe. Questa eroica città ci schiude le porte del seggio della città eterna, e ci mena in Campidoglio". Per tutti questi titoli, spero si rigetti la proposta di sospendere l'escuzione della legge. In effetti, la Camera respinse, a grande maggioranza, la proposta del Deputato Caso, e l'organamento della nuova provincia ebbe la sua completa esecuzione, nel giugno del detto anno, giusta il citato decreto Luogotenenziale del I 7 febbraio, e la conferma del Parlamento Subalpino del 13 Aprile, che resterà quale documento eloquente e imperituro dei maggiori fasti della nuova Benevento. Non ostante i gravi sacrificii sostenuti e i pericoli corsi dagl'insorti del 2 e 3 settembre, oramai noti, pure la loro opera, disinteressata e patriottica, fu disconosciuta e calunniata dai soliti camarillisti, e che prendevano il nome di partito Torre, fatti più audaci dalla nomina di lui a governatore della provincia. Non paghi delle misure eccezionali, ingiustamente contro di essi provocate, non delle persecuzioni, cui li avevano fatti bersaglio, per semplici questioni personali, li vollero anche diffamare con la pubblicità della stampa, e nell'Iride, giornale che, in quell'epoca, vedeva la luce in Napoli, inserivano articoli ingiuriosi e diffamanti, sotto il titolo "La setta democratica di Benevento" e che poi ripetevansi nella Strenna, dedicata, in quell'anno, al governatore Torre, come illustrazione; e se e vero che lo stile e' l'uomo, i liberali dell'indomani, da quello stampato, rivelavano i loro perversi sentimenti. Potrà sembrare fuor di luogo e poco serio, che in queste memorie si parli di articoli di giornali e di Strenne, di trentott'anni dietro, ma quando si rifletta che le dette notizie mettono capo ad una questione di ordine morale, e che, oltre a servire di ammaestramento pei giovani, che si dedicano alla politica, e pel popolo, in generale, che', poi, sempre quello destinato a portar la croce, completano la storia della nostra rivoluzione del 1860, mettendo in chiaro molte cose, che restarono, fino ad oggi, ignorate. Ecco che cosa si scriveva nell'Iride e nella Strenna. "I liberali di Benevento (quali?) pronti sempre ad ogni sacrificio pel bene del loro paese, vedevano, con ogni persona di buon senso, l'inutilità ed il male del loro paese, in qualunque movimento, che colà si fosse fatto, e decisero che la rivoluzione in Benevento poteva essere la conseguenza della cacciata di re Francesco da Napoli. Bella idea patriottica! Belli progetti, proprio d'affaristi! E' chiaro: essi non volevano la rivoluzione, perchè temevano il giudizio del Popolo, e perchè non sentivano amore per la libertà, e quindi trovavano inutile e dannosa l'iniziativa per la rivoluzione, e se i loro egoistici progetti fossero stati attuati, certo che Benevento non sarebbe stata elevata a capitale di provincia napoletana dal Dittatore Garibaldi, nè ne sarebbe stato confermato il decreto del Parlamento italiano. Occorre forse altra dimostrazione, oltre quella riportata nella relazione e difesa fatta, all'oggetto, dal Ministro Romano in Parlamento? Certo che no. Alla critica, poi, mossa, senza neanco un po' di logica e di buon senso, in ordine alla iniziativa della rivoluzione, che, come si è già visto, produsse seni ed insperati vantaggi a Benevento, i libellisti avversarii aggiungevano la contumelia e la calunnia. Tutti gli epiteti più ingiuriosi scaraventavano contro gli uomini della rivoluzione, e li chiamavano, tristi, birbi, faziosi - il solito frasario, con cui si è sempre gratificato il partito democratico - e su ciò non è il caso d'intrattenersi, ma invece su quant'altro scrissero di più mostruoso, con una tracotanza unica, più che rara, cioè - Quei della rivoluzione credevano far di Benevento un feudo delle loro famiglie - Che - il Collegio Gesuitico era stato spogliato - Che l'Erario pubblico era stato dilapidato ecc. Non è mancato poi a parlare di favori, e d'impieghi concessi dal Governo provvisorio ai suoi aderenti, e congiunti - come pure di ciò lo accusavano - giacchè niuno di essi fu beneficato e ricompensato, come meritava, e come dovevasi; conseguenza questa di un esagerato sentimento di delicatezza e di patriottismo, che fu un vero errore; mentre, poi, furono dispensati dal Governatore Torre impieghi e favori, a dritta e a manca, senza tanti scrupoli, ai suoi, ai reazionarii, e fino alle spie del caduto governo pontificio. Veggasi, intanto, dai seguenti documenti, con quanto disinteresse la Rivoluzione governò Benevento, con quanta parsimonia erogò il poco danaro, trovato nelle pubbliche casse, e con quanta cura e diligenza conservò ciò che si apparteneva alla Delegazione Pontificia. Con la pubblicazione dei detti documenti si avrà quel tale conto materiale e morale, che i membri del Governo provvisorio non potevano dare ai loro accusatori reazionari nel 1860, e non diedero per dignità personale, e per rispetto allo stesso Governo, ch'era investito di poteri sovrani; e la pubblicazione dell'oggi mira a che il lettore, e massime i beneventani siano, completamente, informati di tutti i fatti svoltisi, in quell'epoca, e di certe cose, che sono rimaste finora ignorate, e che pur sono d'interesse pubblico. Non appena si fu istallato il Governo provvisorio fu ordinato all'Amministrazione Camerale Apostolica di dichiarare quali somme trovavansi in cassa, ed il contabile signor Saverio Petrosini, per l'assenza dell'amministratore signor Tinelli, diede la seguente risposta.
Eccellentissimo Signor Presidente
del Governo Provvisorio
Pregiomi dichiararle che, eseguiti alcuni pagamenti, qui annotati, in cassa trovansi le seguenti somme:
In rame ducati dugentottanta 280,00
In argento ducati trecentocinquanta 350,00
In fede ducati cento 100,00
In uno ducati settecentotrenta 730,00
(La detta somma è pari a quella di lire 3.102,50).
Esistono pure i seguenti crediti:
1) Debito del Cursore Giuseppe Marsullo, ducati 237,19;
2) Vers. del sig. Girolamo Martini per tasse di macinato, ed altro non eseguito;
3)Versamento del signor marchese Giuseppe Pacca non eseguito.
Benevento, 5 settembre 1860.
f.to: SAVERIO PETROSINI
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Al Governo provvisorio mancò, poi, il tempo di chiedere le giustifiche dei suddetti ineseguiti versamenti, perchè gli fu tolto il potere quando appunto era necessario gli fosse conservato. Ed è qui opportuno far sapere che la mancanza di danaro nella cassa Camerale non era casuale, ma invece preparata dagli amici di Monsignor Agnelli, di accordo coll'amministratore Tinelli, onde creare imbarazzi al nuovo governo. In fatti fu, dopo qualche anno, accertato da persona degna di fede, che il Tinelli, nel partire da Benevento, parecchi giorni prima della rivoluzione, diede ordine al contabile signor Saverio Petrosini di nascondere la somma di ducati diecimila; ciò che fu eseguito, ed il denaro gli fu, poi, spedito a Roma, come assicurò lo stesso Petrosini. Lo scopo fu raggiunto, giacchè il Governo provvisorio non avendo come provvedere agli urgenti bisogni dei servizii pubblici, fu costretto a chiedere denaro a prestito, ed a mezzo del signor Pasquale Capilongo - l'ex Deputato del nostro collegio politico - che, per sentimento di patriottismo, si obbligò personalmente alla restituzione, - si ebbero dal cassiere comunale signor Lorenzo Iannotti ducati 400, che servirono per le paghe ai militari ed ai volontarii della Compagnia beneventana. Il Governo provvisorio, dunque, non dispose, di altre somme, se non di quella, infedelmente, dichiarata dal contabile Petrosini, e dell'altra presa a prestito dal signor Iannotti, in uno di ducati 1130, (lire 4802,50). Ecco, d'altra parte, un sunto degli esiti sostenuti dal detto Governo, e, qualche giorno prima, anche dal Comitato:
Al signor Giuseppe De Marco, Presidente del Comitato Vitulanese, e Comandante il Battaglione Irpino, furono dati in più volte, per effetti militari e cibarie, ed in denaro, come dai ricevi del 31 agosto, del 5 settembre e da un altro senza data, in uno ducati mille Duc 1000,00
Al signor Raffaele Palmieri per tremila cartucce e per altre munizioni, come da ricevo del 15 ottobre, ducati trenta Duc. 30,00
Alla Compagnia beneventana, come dagli stati di paga, ducati seicento Duc. 600,00
Agli arruolati per la gendarmeria reale, come dagli altri stati di paga del 12, 13, 14 e 15 settembre, ducati cinquanta Duc. 50,00
Al Tenente De Dominicis, di truppa pontificia, ducati quarantacinque Duc. 45,00
Al Tenente Toselli ducati nove Duc. 9,0
Allo stesso Tenente per il distaccamento di linea pontificia, che prese servizio col Governo provvisorio, giusta lo stato di soldo dal 10al 18 settembre, ducati ventiquattro Duc. 24,00
Al signor Francesco Rispoli, Segretario Generale del Governo Provvisorio, ducati cinquanta Duc. 50,00
Agl'impiegati civili, in conto dei loro stipendii, ducati venti Duc. 20,00
Per la Deputazione Governativa al Dittatore Garibaldi, ducati trenta Duc. 30,00
In uno ducati mille ottocento sessantotto Duc. 1868,00 corrispondenti a lire 7939,00.
Ai suddetti esiti vanno poi aggiunti i seguenti altri, cioè per alloggio a più bande insurrezionali, che transitarono per Benevento, - per fitto di traini, di carrozze, di cavalli, - per appositi messi a Napoli, ed alle limitrofe provincie, - pei nuovi stemmi, per le bandiere e stampati, per luminarie, banda musicale e per tante altre spese, che, in quei momenti di trambusti e di urgenti bisogni, sorgevano da un'ora all'altra,e s'imponevano, di cui non si può precisare l'ammontare, ma che, per calcoli approssimativi, può ritenersi superasse la somma di ducati mille (L.4250).
Forse qualcuno potrebbe domandarsi, come mai quel Governo avesse potuto far fronte a tante spese, una volta che non dispose se non della somma complessiva, dianzi cennata, di soli ducati 1130? E' quindi opportuno chiarirne il dubbio. Il Comitato insurrezionale per sostenere la spesa per le armi e munizioni, che dal Comitato Centrale, - quantunque promesse, non arrivarono mai, - merce una volontaria sottoscrizione, aveva incassata la somma di oltre ducati mille, che non fu tutta erogata, e siccome le stesse persone del Comitato furono elevate a componenti il Governo provvisorio, così si trovarono in grado di disporne pei suddetti pubblici servizii. - Nè, poi, la deficienza di denaro cessò nella cassa governativa, perchè i contribuenti, profittando dei tempi eccezionali, non versavano le relative quote di dativa reale, ed il Governo provvisorio, in data 17 settembre, emanò un'ordinanza di versarle, fra il perentorio di tre giorni, con la minaccia, in caso d'inadempimento, dei rigorosi provvedimenti di legge. A ragguagliare, poi, completamente, i cittadini della scrupolosità, con la quale agì il predetto Governo, basterà riportare una lettera del Rettore del Collegio Gesuitico del tempo, e citare gl'inventarii, che d'ordine del Presidente del governo furono compilati, il primo in data 4 settembre dal Sindaco del Comune, (1) signor Gaetano Grasso, riguardante la mobilia, le suppellettili, le biancherie, esistenti nel palazzo Delegatizio, ed il secondo, aperto in data 26 dello stesso mese, e chiuso il 29 detto dal Notaro Antonio Bruno, per tutto quello, che trovavasi nel Collegio Gesuitico, nella Chiesa annessa, e perfino nel casino in contrada Guardie, e di cui si farà cenno in seguito. Ecco, intanto, la lettera del Rettore del Collegio.
Eccellentissimo signor Presidente
del Governo Provvisorio
In mezzo alla mia dolorosa situazione, avendo sperimentato i tratti della innata sua gentilezza, avvicinandosi l'ultimo momento, in cui sarò costretto ad uscire da questa casa, affidatami dal mio Superiore, il molto reverendo P. Pietro Beckx, faccio ultimo ricordo alla di lei bontà, onde si compiaccia accogliere favorevolmente questo scritto, come schiarimento, e per darmi protezione. Il fatale colpo ci piombò addosso, quando meno l'aspettavamo, ed eravamo nella speranza di vistosa esazione maturata, che ascende a circa ducati 2500, e ci trovammo con assai scarso numerario, a motivo di straordinarie spese, poc'anzi fatte; sicche' la procura non aveva che soli ducati dugento. Intanto io dovevo mantenere la piccola Comunità e fornire il necessario ad alcuni, ove dovessero partire, ed onde la S.V., ad un colpo d'occhio, comprenda la mia posizione, le presento la tabella, in cui comparirà la distribuzione fatta del numerano rimastomi in cassa, e quello che mi sarebbe necessario.
Al P. Biagioli ho dato Duc. 20,00 dovrei dare Duc. 10,00
Al P. Ioele ho dato Duc. 20,00 dovrei dare Duc. 10,00
Al P. Chreptowin ho dato Duc. 20,00 dovrei dare Duc. 10,00
Al P. Sabatini ho dato Duc. 20,00 dovrei dare Duc. 10,00
Al P. Gastaldi ho dato Duc. 20,00 dovrei dare Duc. 10,00
Al F. Barattolo ho dato Duc. 10,00 dovrei dare Duc. 15,00
Al F. Catalano ho dato Duc. 10,00 dovrei dare Duc. 10,00
Al F. Folchi ho dato Duc. 10,00 dovrei dare Duc. 15,00
Per me Duc. 30,00
Salario ai domestici Duc. 18,85
Per le corr. spese di vitto Duc. 10,50
In uno ho dato Ducati 140,50 Duc. dovrei dare 143,85
Dei ducati 200 avendo speso 140,50, restano ducati 59,50. Ora con detta somma non posso punto far fronte alle necessarie spese, occorrendomi invece quella di ducati 102,35; e questo è nel momento attuale, poichè, ove la nostra agonia si prolungasse, la somma rimastami, continuando a scemare pel nostro mantenimento, molto meno potrà coprire la somma che ora occorrerebbe da coprirsi. Vengo adunque a interessare la lodata sua bontà di cuore perchè in riguardo di una vistosa esazione, ch'era maturata per noi, si compiaccia di farmi elargire i suddetti ducati 192,35, onde far fronte all'esposta mancanza, aggiungendovi qualche altra somma, con che mantenerci in quest'ultimo scorcio della nostra permanenza in Collegio, mentre ora siamo ridotti ad essere solamente otto individui, tanto più che nella somma maturata da esigersi, sonvi ducati 22, per legato di messe Terragnoli, già soddisfatte da noi, anticipatamente. Colgo questa occasione per compiere ad una altro mio dovere, raccomandando, quanto so e posso, alla di Lei non solo bontà di cuore, ma ancora religione, i nostri creditori di vario genere, verso i quali, se, pel passato pure, la natura della gestione portava che, ad ora ad ora, si accumulassero debiti per deficienza di esazioni, che poi si saldavano, di mano in mano, con somme esatte, nelle ultime vicende nostre, a nessuno ignote, nelle quali ne corsero tante straordinarie spese, dovettero molto più crescere i nostri debiti, e tra questi debiti, credo esonerare la mia coscienza, col metterle sott'occhio il debito con la Cassa Sacra di ducati 125, che avevo ben in animo di pagare, con le somme sperate, venutemi meno. Oltre questo debito, gli altri press'a poco, potranno ascendere a ducati 640 circa. Avendo avuto il bene, in questi trepidi istanti, di fare la personale conoscenza dell'E.V., e, in diversi abboccamenti, leggere su la di lei fronte l'animo inchinevole al ben fare, io le rassegno questa supplica, nella piena fiducia che non potrò giammai dire avermi Ella negato quest'ultimo favore, come non potrò dire, certamente, ch'Ella non mi abbia sempre. palesata molta cortesia, del che glie ne conserverò un'indelebile riconoscenza.
Di Vostra Eccellenza
U.mo e Dev.mo Servo
Firmato:TOMMASO PAOLINI della Compagnia di Gesù
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E' superfluo dire che il Rettore P Paolini non ebbe alcuna somma dal Governo Provvisorio, perché non ne aveva affatto disponibile, e perchè il predetto Rettore avrebbe potuto realizzare parte almeno delle rendite, già maturate - come egli stesso dichiarava, - di cui il Governo provvisorio non aveva impedito l'esazione. Fu dunque calunniosa l'accusa "che il Collegio Gesuitico era stato spogliato" che anzi i gesuiti, senz'attendere che fossero stati espulsi, capirono ch'era miglior partito lasciar, volontariamente, il collegio, come fecero, onde aver l'agio di vendere e portar via quanto potevano. Infatti vendettero tutte le provviste di cucina e qualche utensile, consegnarono, o regalarono a persone loro intime alcuni letti, ed in somma si preparavano a far fagotto, di che informato il Presidente del governo dispose la compilazione dell'inventano, e i gesuiti lasciarono in allora il collegio, restandovi il solo Rettore, il quale, invitato, vi assiste', assieme al commissario di polizia signor Francesco Mozzilli, a maggior garenzia delle relative operazioni. Tutto fu, regolarmente, inventariato - mobilia, suppellettili, attrezzi scolastici, libreria - della quale la descrizione è interessante; e chi ha vaghezza di prenderne cognizione potrà farne lettura presso l'ufficio del Notaro Nicola Bruno, qui residente, ch'è depositano della scheda notarile dello zio Antonio Bruno. La detta libreria occupava due grandi stanze, nelle quali erano collocati circa quaranta scaffali e scansie, che contenevano un migliaio di volumi di opere scientifiche e letterarie, e molti titoli e documenti, riguardanti la rinomata Badia Sofiana, di cui il collegio possedeva buona parte dei beni, nonchè molti atti e decreti dell'Arcivescovo Orsini, (Benedetto XIII) il quale tanto beneficò ed arricchì questa città. L'inventano fu esteso anche a ciò che si trovava nella chiesa annessa, ch'era corredata di sacri arredi e paramenti in damasco, nonchè a quant'altro esisteva nel casino, in contrada Guardie, ora di proprietà degli eredi di Ferdinando Torre. Anche l'altro inventano, esattamente compilato dal Sindaco Grasso, trovasi depositato in quest'archivio comunale, e tali provvedimenti furono presi allo scopo che tutto fosse stato custodito e conservato. Quali furono, dunque, le ruberie dei rivoluzionarii? Se vi furono, come se ne disse, queste avvennero dopo la caduta del Governo provvisorio. Fu allora dissipato e sottratto quello, che la Rivoluzione e il suo Governo avevano rispettato. Ed in fatti quale fu l'uso della mobilia, delle suppellettili e delle biancherie, che corredavano il palazzo Delegatizio, inventariate dal Sindaco Grasso? Quale fu l'uso della mobilia, delle suppellettili, esistenti nei diversi Conventi, soppressi e dismessi, nel novembre 1860, dal Governatore Torre, senza un qualsiasi regolare procedimento? Che dei crediti dichiarati dal contabile Petrosini? Che delle rendite del Collegio Gesuitico, maturate e non esatte dal Governo provvisorio? Che della gran quantità di tabacchi, esistenti in magazzino, e non punto toccati dal Governo provvisorio? Ai libellisti reazionarii - giacche' qualcuno ancor vive - la risposta. Invece essi stessi miravano a far di Benevento un feudo delle loro famiglie, di che pur addebitavano il partito democratico. Essi si - e non altri - s'imposero al paese, e dopo di aver ostacolato il movimento insurrezionale, riuscirono, con ogni sorta d'intrighi, a godere i frutti delle fatiche, dei sacrifizii, e della compromissione di quelli, che, per vero amore alla libertà, l'avevano organizzato e sostenuto, e dopo ciò erano da essi stessi gratificati cogli epiteti di tristi, di birbi e di faziosi. Il ladro gridava al ladro! Oh tempi! oh rei costumi! Però, se da un lato vi erano dei calunniatori, dall'altro eravi, oltre la riconoscenza del paese in generale, anche chi, spassionatamente, scriveva delle cose nostre, con autorità e coscienza di patriota, e questi era il signor Giuseppe Lazzaro, il più attivo fra i membri del Comitato centrale insurrezionale - ora Deputato al Parlamento - il quale, nella storia della rivoluzione napoletana, al capitolo VIII, scrisse quant'appresso, che si riporta per solo omaggio alla verità, in ordine alle condizioni politiche di Benevento: "giovane beneventano, uno dei volontarii del 1848 e 1849, fece nel 1860 ogni sforzo per raggruppare in quella città gli elementi giovani, intolleranti del governo papale. Egli, secondo il bisogno e l'opportunità, tenevasi in attinenza diretta con l'Hudson, in Napoli, e ricevevane istruzioni. Il partito democratico ebbe sempre a lottare in Benevento più contro gli autorevoli suoi nemici, che volevano sfruttare il movimento, che contro la polizia papalesca. Ciò che avveniva a Napoli ed a Salerno, avveniva in Benevento. Era un fenomeno, che si verificava dovunque si vedevano uomini dalla vita contemplativa - liberali dell'indomani - e liberali dalla vita militante. Più tardi vedremo come i primi pervennero ad assidersi al banchetto, preparato con tanti stenti e pericoli dai liberali di azione. E' questa la storia, che si manifesta in tutte le rivoluzioni, ma che, in quest'ultima d'Italia, si manifestò in modo più indecente e scandaloso ". Questo è il rendiconto, per sommi capi, del Governo provvisorio, dal lato amministrativo. Dal lato politico, poi, trovasi racchiuso nei documenti innanzi pubblicati, e che può essere riassunto così. - Rivoluzione senza sangue - Benevento capitale di provincia di 1 classe - Ordine, affratellamento, concordia, rispetto alle leggi ed al principio di autorità - entusiasmo e patriottismo. Con questo non voglio escludere che siansi verificati degli inconvenienti sotto quell'eccezionale governo. Ma non ebbero certo alcuna gravità, e considerato che si era in tempi di rivoluzione, non è quindi a parlarne. Questo stesso non può dirsi del governo degli uomini d'ordine, venuto dopo con la prepotenza, giacchè, manomessa la cosa pubblica, gli odii di partito, le discordie intestine, il disordine e la reazione contro il libero regime, si fecero strada, e nei Comuni della provincia con maggior furore, perchè ivi i signorotti s'imponevano al popolo, in nome della libertà e del Re Galantuomo, e non vi era chi predicasse la generosità e la pace, com'era avvenuto a Benevento. Insopportabile ironia del nuovo regime costituzionale! ed il partito borbonico clericale non si fece sfuggire l'occasione per fare le sue vendette, e tentare la restaurazione del Borbone; sicchè istigò i più audaci e intolleranti a prendere le armi, e, in breve, alcune bande reazionarie, capitanate da graduati e soldati del disciolto esercito borbonico, tribolarono la provincia. I Comuni, che più n'ebbero a soffrire, furono S. Marco de' Cavoti, dove un tale Pelorusso, di Colle Sannita, vi penetrò con bandiera borbonica, alla testa di buon numero di reazionarii, e vi rimise il governo di Francesco II. Di là passò a S. Giorgio la Molara, a Molinara, e ad altri Comuni, e, da per ogni dove, abbattè gli stemmi di Casa Savoja, e lasciò tracce di sangue e di rapina. Anche Pontelandolfo e Casalduni furono infestati dalle orde reazionarie, capitanate da Cosimo Giordano, il quale fu ancora più feroce di Pelorusso: uccise i liberali, incendiò gli archivii comunali, e gli atti notarili, ed immerse le popolazioni nella costernazione, sicchè molti di quei naturali cercarono rifugio a Benevento, e altrove. Abbiamo, di passaggio, accennato a questi fatti, per quanto interessa il nostro assunto, e non per fare la storia del brigantaggio, la quale sarebbe lunga e dolorosa, giacche' nella nostra nuova provincia prese vaste proporzioni. Tutto ciò ben vero non avvenne sotto il governatore Torre, essendo stato traslocato a Lecce, ma invece sotto il governatore Gallarini, piemontese, sebbene però la responsabilità di tanta sciagura non cadde esclusivamente su di lui, giacchè il seme della discordia era stato gittato, a larga mano, e lo sgoverno aveva già prodotto tristissimi effetti, che non potevano essere eliminati coi mezzi ordinarii, e col buon volere e patriottismo, di cui era dotato il Gallarini. Con la truppa, di cui potè disporre, quel Governatore fece argine alla invadente reazione, ed alla forza regolare unì anche alcuni drappelli di volontarii, i quali, presi isolatamente, furono battuti e fugati dalle bande brigantesche, presso Circello. Parecchi giovani concittadini erano nelle file dei volontarii, e tre di essi perirono in quel sanguinoso scontro, cioè Francesco Baccari di Michele, Gaetano Pilla di Luigi, Gaetano Cavuoto di Luigi; ed è doveroso, in queste pagine, onorarne la memoria. Per la gravità dei fatti e delle condizioni politiche, il governo della Luogotenenza non tardò ad inviare in quelle località sufficiente truppa, e la reazione fu ben presto domata, non senza altri sacrificii di sangue. E par che basti il fin qui detto, a completa dimostrazione dell'operato dal partito democratico, e dal partito dei Consorti. Ormai, dopo lunga serie di anni, la verità si fece strada, e la pubblica opinione fece una buona cerna di uomini e cose. Nel dar termine, poi, a queste memorie, fa d'ùopo, solo, rilevare che, non ostante i positivi, indiscutibili miglioramenti, toccati alla nostra Benevento, mercè il movimento unitario nazionale, non andò guari, che un'amaro sconforto ed una piena disillusione invase il partito democratico di azione, e quanti avevano prestato la loro cooperazione pel nuovo ordine di cose - nella quale disillusione e sconforto tuttora si vive - perchè, oltre al dissesto finanziario pubblico e privato, la giustizia - fondamento di libertà - è calpestata, - perchè l'eguaglianza dei cittadini, di fronte alla legge, è una chimera, - perchè al posto dei vecchi tirannelli subentrarono i nuovi. Mentre se vi furono uomini ingiustamente gittati nel carcere, furono i rivoluzionarii! Se vi furono dei condannati, furono i rivoluzionarii! Vi furono dei destituiti dagl'impieghi, degli oppressi, dei calunniati? furono i rivoluzionarii: sempre i rivoluzionarii! E pure i voluti sanguinari e saccheggiatori non avevano versato una stilla di sangue, nè vuotata alcuna cassa. Moderazione illimitata! Sono oramai trascorsi circa otto lustri, nè, per volgere di tempo, mutarono in meglio le condizioni politiche del nostro paese, ch'è sempre la vittima dei maggiorenti oppressori. Fra tanto disgusto, fra tanto disordine morale, evvi il solo conforto che nel popolo non è del tutto spenta la fede nei principii, cui s'ispirò la rivoluzione del 1860. Chè se la stessa fu vinta negli uomini, che la rappresentarono, non fu, certamente, vinta nei principii da essa, santamente, proclamati, che, invece, hanno gittate profonde radici, le quali, innaffiate dal sangue dei martiri della libertà e dalle lagrime del popolo, non tarderanno a produrre nuovi e rigogliosi germogli. E' la lotta, che già accenna ad ingaggiarsi tra l'oscurantismo e il progresso umano, più terribile di quella, che siasi sostenuta nei secoli scorsi, lotta decisiva e fatale per coloro, che ancora si ostinano a tenere in piedi il dispotismo proteiforme. Forse queste previsioni faranno sorridere molti, nel presente periodo di desolante scetticismo, ma la legge morale, eterna, immutabile, ne sospinge nel cammino progressivo dell'umanità, e gli ostacoli, che frapporranno i potentati e quanti godono dell'altrui miserie, e s'innalzano su gli oppressi, saranno, certamente, infranti e scrollati. Anche per te, dunque, o Popolo di Benevento verranno giorni migliori, giorni di piena giustizia e di santa vendetta. Però occorre che sappi sopportare, ancora una volta, i sacrificii, che ispira il vero patriottismo, e sappi conservarti alla virtù, poichè in essa, soltanto, sta la tua forza, il tuo trionfo, il tuo avvenir.