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L’Irpinia e l’Unità d’Italia

( Il Corriere dell’Irpinia -?-)

 

 

   Dal settembre 1860 al 1864, la città di Avellino fu teatro di una sequela di episodi, espressione dell’ostilità al nuovo regime, tra innumerevoli denunzie di delatori che avevano il sapore di vendette personali, molte delle quali anche in affrettati giudizi intentati dalle autorità si rivelarono inconsistenti; denunzie che determinarono l’incriminazione e l’arresto di fior di galantuomini accusati di sospette simpatie per i borboni poi entro brevi termini, rilasciati per inconsistenza delle prove.

   Una delibera del Consiglio Comunale di Avellino ci fa capire come si fosse avvelenato l’ambiente “le macchinazioni di un potere che andava evaporando alla giornata (quello dei Borboni), ordivano una vasta cospirazione, facendo invadere questa città da molta gente facinorosa, travestita o nascosta, perché nella notte del 26 agosto 1860, sorprendendo il posto della G.N. ed aggredendo i pacifici cittadini, potuto avesse manomettere la città e diffondersi pria nei luoghi vicini ed indi diramarsi fors'anche con l'idea di sovvertire la Capitale di quel tempo ed offrire l'occasione a ritirare il conceduto (la costituzione). Ma questa G.N. giungeva a sventare l’infame disegno, assicurando alla giustizia in poco d'ora bel 84 di quei malfattori”.

   La Guardia Nazionale di Avellino il 6 settembre arrestava come sospetti reazionari i seguenti forestieri. Angelo Romano, Antonio Casale, Luigi Celentani di Cervinara. Pasquale Vitale di Altavilla e Mariano Calabrese, le quali furono sorprese con armi proprio ed improprie o vietate".Con sentenza del successivo 24 settembre furono tutti assolti.

   Il 7 settembre 1860 un reparto dell'esercito borbonico stanziante ad Avellino compì l'ultima missione in provincia. A Montemiletto la popolazione era insorta contro le famiglie liberali del luogo. I soldati accorsi furono accolti con entusiasmo dalla popolazione. Ai Liberali conniventi coi garibaldini, scampati al probabile eccidio, non gli parve vero che le armi ostili ad essi li proteggessero.

   Ad Avellino la situazione era diversa la Guardia Nazionale il 7 settembre 1860 con la complicità degli ufficiali scongiurò un tumulto avvenuto in un battaglione del X di linea borbonico che si riprometteva di “manomettere la città”

   Un gruppo di donne avellinesi (suffragette ante litteram) fu incriminato per "discorso pubblico tendente a spargere malcontento contro il governo" Erano: Maria Carrino, Costantina Capobianco, Carmela Carullo, Rosaria Dente, Angela Maria de Paola, Carmela Esposito, Arcangela landolo, Carmela la Sala, Antonia Mazzarella, Filomena Spagnuolo, Rosa Tortoriello, gli uomini che le affiancavano erano:Vincenzo Minieri e Stanislao Salzi.

Ad Aiello Pasquale de Caro e Antonio Galluccio capitano ed alfiere della Guardia Nazionale il 22 novembre 1860 arrestarono Antonio Festa, Pellegrino Pacilio, Vincenzo Festa Modestino Galasso Antonio lannaccone e Raffaele Imbimbo "per aver inteso voci sediziose quali viva Franceschiello" e uno di essi aveva un nastro rosso sul cappello, simbolo dei borboni. Il successivo 12 dicembre furono tutti scarcerati.

   Carmine Silvestri di Valle soldato borbonico il 7 dicembre 1860 fu denunziato da un prete e da una guardia nazionale per aver gridato viva Franceschiello. Egli fu rilasciato il 18 dicembre dello stesso anno.

Un tal Martano Stanco e Maria Pennetta da S. Felice di Capriglia Filomena Valentino, Tommaso Pasquale da Maddaloni e l’avvocato Giuseppe Tricarico di Troia, furono arrestato in città condannati rispettivamente con sentenze del 18 gennaio e 23 marzo 1861 perché imputati di "fatto pubblico diretto a spargere malcontento contro il governo" e con sentenze dei 17 febbraio e 27 marzo 1861 furono ammessi alla sovrana indulgenza.

   Il malcontento contro Casa Savoia di ampi strati della popolazione fu incoraggiato dal Vescovo Francesco Gallo, che appoggiò pubblicamente e incondizionatamente Franceschiello per aver concesso la costituzione in data 25 giugno 1860. Egli assunse un atteggiamento ostile alla dittatura di Garibaldi ed ai preti che avevano aderito al nuovo governo tanto che con provvedimento del luogotenente Farini il 24 febbraio 1861 fu arrestato in provincia di Napoli ed Imbarcato coattivamente per raggiungere Torino ove fu condannato al domicilio coatto e scarcerato dopo cinque anni. Pochi giorni prima anche il Vicario Diocesano don Alfonso Barrecchia fu arrestato. La Guardia Nazionale su segnalazione di delatori arrestò Generoso Pellecchia. Giuseppe Tulimiero, Errico Guarriello e quattro musicanti che ubriachi scherzavano gridando ad alta voce viva Franceschiello. Con sentenza del 10 aprile 1861 il solo Tulimiero fu condannato a sette mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali.

   Furono condannati Giuseppe Tarantino di Monteforte perché"spargeva il malcontento contro il governo” Costantino Stramaglia trainante di Acerra, Lorenzo Mazza Vincenzo Guerriero e Gaetano Festa "per vedute politiche, l'avvocato Vincenzo Petrillo, da S.Barbato "per cospirazione diretta a cambiare la forma di governo" e perché aveva sposato Laura sorella di "un famoso reazionario Gaetano Baldassarre", protagonista della rivolta di Montefalcione.

La delazione ebbe risvolti drammatici tanto che Nicola Pirone di S. Potito, recatosi a visitare il fratello Giuseppe nel carcere di Avellino fu arrestato perché "germano di un famoso reazionario”.

   Nei primi di settembre del 1861 la Curia diocesana composta dal vice Vicario Generale don Agnello dell’Acqua, dal Canonico Penitenziere don Pietro Battarino, dai Canonici don Carmine Adinolfi , don Nunziante Visconte e da don Gaetano Zigarelli, fu incriminata per "cospirazione diretta a distruggere la forma del governo, ed eccitare i regnicoli ad armarsi contro i poteri dello Stato ed a suscitare la guerra civile." Il provvedimento era lo stesso che incriminò il Vescovo Gallo. Il 9 maggio 1863 la Sezione d'Accusa di Napoli accusò mons.Gallo “di censura per mezzo di scritti di natura tale da eccitare il disprezzo ed il malcontento contro le istituzioni e le leggi dello Stato”.

Una tale Filomena di Meo da Volturara fu incriminata per aver riferito che “aveva sentito in una pubblica via di Avellino che Francesco II era in procinto di ritornare a Napoli grazie allo sbarco di vari legni con truppe borboniche”.

Un corriere postale, Giuseppe Fera di Avellino pur di fare il proprio dovere di consegnare la posta portava nel cappello il giglio borbonico il quale, esibito, era un lasciapassare in caso di fermo da parte dei reazionari borbonici.

Ad Avellino ci fu anche una sorta di epurazione. Il 12 ottobre fu licenziato l'impiegato dell’Intendenza Giovanni Chiadini perché "è tenuto dall’universale come una spia del passato governo e Beniamino Bonito anch'esso impiegato dell'intendenza perché " spia dell'ex intendente Mirabelli”. Anche l'usciere dell'intendenza Antonio d'Aquino fu “destituito per essere di pessimi sentimenti politici comuni a tutti di sua famiglia". Don Francesco Grillo, professore al Ginnasio di chirurgia e ostetricia fu messo in aspettativa il 16 ottobre 1861 perché “avverso all'attuale governo”.

Le vendette private erano all'ordine del giorno. Scrive Giuseppe Zigarelli che dopo il 1860 divennero sempre più efficaci gli intrighi dei tristi, maggiori le improntitudini di coloro che nati e viventi nel fango, levaronsi come il fango nella tempesta. Lo spirito di vendetta cresceva il 27 settembre 1860, secondo l’accusa di Pietro Iannaccone, guardia nazionale fu incriminato Costantino Stramaglia perché "aveva profferito parole ingiuriose nei confronti della guardia nazionale. Il 27 gennaio fu assolto perche "calunniato dallo Iannaccone per antecedenti fatti di famiglia e volevansi vendicare dei torti". La vendetta privata colpì anche Achille Giordano che il 5 maggio 1861 "avrebbe manifestato in casa di Orazio Franza la sua contrarietà al governo sabaudo". Il successivo 6 luglio fu assolto e scarcerato. Antonio Galasso, cui piaceva l'intrigo, denunziava alla guardia nazionale Saverio Santaniello e Pietro Esposito, rispettivamente, cameriere in servizio alla locanda delle Pugile e sensale di carrozze, perché "dal balcone della locanda avevano più volte gridato Via il nostro Re per conto anni.viva Franceschiello. La guardia Nazionale, interpellato un commilitone che conosceva a fondo il Galasso,"che era sarto e che era un gradasso" e che "da quando era stato arruolato si è reso come uno stolito che per niente dice di voler arrestare per far credere che egli valesse qualcosa due malcapitati in seguito alla testimonianza della guardia Nazionale furono scagionati il 17 ottobre 1861 dopo diciassette giorni di prigionia.

   Il 6 luglio 1861 alcuni soldati Italiani si recarono nella bottega di Teresa Gatta per comprare castagno, pronunziarono parole disoneste nei confronti della figlia Emanuella Imbimbo il marito Lorenzo presente nella bottega si risentì apostrofando i soldati dicendogli che "comprate le castagne se ne fossero andati via, in contrario gliene avrebbe fatti andare col tristo. I soldati ridendo se né andarono. Andrea Pirera affacciato al balcone credendo che l'Imbimbo avesse insultato il distintivo militare ne diede parte alle autorità e ciò fu causa di arresto per l'Imbimbo il quale per oltre due mesi rimase in galera e fu prosciolto con sentenza del 17 settembre 1851.

   Giuseppe Melillo denunziò Anacleto Pasquale Emanuele La bruna, Domenico Raffaele ed Alfonso Medugno di Picarelli perché “facesse subito notte perché dovevano far vedere cose belle" cioè unirci ai reazionari. Con sentenza dei 19 luglio 1861 i sei vennero prosciolti e scarcerati riconoscendogli il movente della vendetta da parte dell'accusatore Giuseppe Melillo.

   Per capire il clima di sospetto di quei giorni è illuminante la seguente vicenda: il 23 giugno del 1862 per furto avvenuto nella Cattedrale di Avellino, d'ordine del prefetto furono arrestati:il canonico don Pietro Galassoffi parroco don Vincenzo dei Gaudio, il sagrestano Luigi Guarini ed i sacerdoti Fiore e Luigi Ficca, e due donne, Carmela Iandolo e Antonia Grieco. I primi tre “per simulazione di reato architettato per accrescere il malcontento della popolazione contro il governo".Nel disegno erano compresi i furti che dicevansi perpetrati nella chiesa di S. Generoso, in quella Matrice di Solofra e nella chiesa del Carmine di Atripalda". Non ci è stato tramandato l'esito dei processi.

   Anche i militari dell'esercito borbonico furono perseguitati mediante arresti cautelari operati tra gennaio ed agosto 1864 senza alcuna imputazione: Generoso Pagnotta, Luigi Sanseverino, Antonio De Silva, Generoso della Sala e Domenico Picone. Nel secondo semestre dei 1864 i reitenenti di leva furono 33 e corrispondevano ai giovani Nicola Bellotti, Belmonte Cirillo Costantino Canino, Vincenzo Cantelmo, Carmine Giovanni e Gaetano Capuano, Generoso Cucciniello. Raffaele, del Gaizo Francesco Festa, Giulio Foglia, Generoso e Nicola Gaeta, Gaetano Giordano, Filippo Losco, Flaviano Maccanico Generoso Mazza Lorenzo Nevola, Domenicantonio Pagano, Luigi Petrillo, Luigi Porta, Tommaso Portante, Giuseppe e Pellegrino Preziosi, Sabato Roca, Andrea Rosino, Domenico Sanseverino, Pellegrino Scilla,Cristoforo Spagnuolo, Antonio Urciuoli, Angelantonio Vincenzo e Costantino Valentino, Generoso e Raffaele del Gaudio, Generoso Fiore di Picarelli.

Nel 1866 vi fu una cospirazione contro il governo cui parteciparono parecchi notabili avellinesi, militari dell'esercito borbonico e sacerdoti che furono arrestati in un casolare alla Contrada Solve di proprietà del Sig. Orazio D'Arminio. L'irruzione avvenne in seguito a delazione del sig. Luigi Spagnuolo.

   La vicenda presentò molti lati oscuri e pose molti interrogativi, perché lo Spaguolo segnalò tutti i nomi dei cospiratori, per poi ritrattare parzialmente e autoaccusarsi di aver fatto parte della congiura. La rapidità con cui si chiuso l'annosa vicenda è un altro elemento che accresce i dubbi sulla cospirazione e sui componenti tra i quali Fiorentino Zigarelli scrittore,Vecchiariello Luigi sacerdote, Arminio Orazio ex gendarme a cavallo, Brigante Alfonso granatiere dell'esercito Borbonico, Festa Domenico farmacista.

   Altra cospirazione si tenne il 24 maggio 1866 nella casa di don Pasquale Marotta ove un dotto francescano riformato, professore al Liceo Colletta, diffuse un suo libello contro l'ultima legge della soppressione delle corporazioni religiose.Delle due cospirazioni non ci è pervenuto l'esito dei processi.

   Gi avellinesi incriminati e correi per le varie e spesso infondate accuse per cospirazioni filo borboniche ed anti Italiane, esclusi i disertori ed i reitenenti di leva, furono in tutto 104.

   Essi appartenevano a tutti i ceti sociali, a dimostrazione che l'unità d'Italia fu voluta da una minoranza di cittadini: i liberali i Piemontesi Lombardi Veneti, da Giuseppe Mazzini, da Cavour, da Garibaldi e dal mondo culturale.

   La maggioranza degli Italiani che per “ il (poco) patriottico e regionalistico brigantaggio"attuato contro il nuovo regime e la repressione manu militari attuata dai "Piemontesi", lasciano capire che l'unione d'Italia non fu uno spontaneo moto popolare ma fu un miracoloso ed irripetibile evento storico attuato da una coalizione di cervelloni con cui l’Italia di allora, per sua fortuna, si ritrovò a fare i conti.

Redazione Cultura

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