Il testo che segue, del Monaco Benedettino Giovanni Mongelli, fu letto nel maggio del 1991 nella sala consiliare del Comune in occasione della presentazione, promossa dalla Biblioteca "Caruso", di alcuni reperti archeologici rinvenuti in territorio di Altavilla. Nello stesso contesto fu presentato un primo lotto di costumi antichi ( sec. XVI / XIX) recuperati nella cripta della Chiesa Collegiata dalla Prof.ssa Lucia Portoghesi
La storia di Altavilla Irpina nello sfondo delle scoperte archeologiche e della storia
generale
( di Padre Giovanni Mongelli )
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Avendo avuto altre occasioni di parlare sulla storia ai Altavilla Irpina, per non ripetere quanto ho già esposto altre volte, nel presente incontro mi piace cambiare angolazione, data anche l’occasione particolare che mi ha richiamato in paese, la MOSTRA DELLE ANTICHITA' STORICHE venute recentemente alla luce.
Perciò credo opportuno sottolineare il valore delle scoperte archeologiche in ordine alla storia locale e, questa stessa storia locale, nelle sue correlazioni alla storia più generale, regionale e nazionale.
Partiamo dal fatto noto a tutti che le scoperte archeologiche di un certo valore hanno una vasta risonanza, perchè modificano e integrano le conoscenze che prima si avevano su un dato argomento.
Si parte dal fatto che quel dato oggetto è stato ritrovato in quel dato luogo. Pensiamo, ad esempio, a una lucerna àcroma o a una brocchetta di età tardo-romana, ad una bacinella di bronzo di età sannitica.
Tali scoperte già per se stesse dimostrano che in quel dato luogo sono rimaste tracce e vestigi di una civiltà antica; poi fanno vedere in che modo quelle età hanno impresso le loro orme in quel dato territorio; quindi evincono con tutta evidenza che quel luogo, in quei tempi lontani, non era un deserto impervio, ma un luogo in cui l'uomo passava o dimorava. Dallo studio dei reperti se ne delinea la sua arte, la preziosità, l'ambiente economico e sociale della gente che l'adoperava e quindi il livello della società di quel tempo. Saranno appunto quegli oggetti a proiettare uno spiraglio di luce sulle condizioni sociali di quegli uomini che hanno lasciato le loro carte d'identità su quei reperti, e allora scorrono davanti ai nostri occhi gente del popolo - la plebe di un tempo - , mercanti, ricchi patrizi, uomini di cultura ecc.
Segue il confronto con altri oggetti, simili o uguali, trovati in altre zone, vicine o lontane, per illuminarsi a vicenda e per sostenersi scambievolmente nel lavoro di ricostruzione della storia antica del rispettivi paesi.
Naturalmente il luogo esatto del ritrovamento ha il suo valore grandissimo per le deduzioni storiche che se ne potranno fare.
Mi sia permesso un primo esempio, relativo al mio monastero di Montevergine. Nel Museo dell'abbazia, nella prima sala, quella detta Archeologica, si coservano, fra gli altri pezzi, due pulvini detti comunemente Capitelli romanici, di grandissimo valore storico per Montevergine, in quanto sono le uniche testimonianze archeologiche dell'antico chiostro del cenobio, del secolo XII. La professoressa svizzera Hildegard Giess (Capitelli romanici a Montevergine, in "Commentari”, a.8, n.1, genn.-marzo 1957, pp.27-30), in seguito a un accurato studio di essi, è giunta alla conclusione che si tratta di pulvini degli ultimi decenni del sec.XII, eseguiti dala stessa bottega che ha formato il Chiostro di S.Sofia di Benevento. Di qui la possibilità della ricostruzione ideale di quel chiostro di Montevergine, formato dall'abate Giovanni I da Morcone verso il 1180.
Ora, non c'e chi non comprenda i1 valore storico di tali pulvini per Montevergine e l'introduzione dell'arte romanica al santuario. Se, invece, si sottraessero al Museo di Montevergine e si sistemassero in un altro Museo lontano, pensiamo a Roma, in America, in Giappone - il valore principale e l'importanza storica di quei reperti svanirebbe in gran parte, perchè diventerebbero semplicemente due pezzi antichi senza nessuna incidenza profonda in una storia vissuta.
Portar via un pezzo archeologico dal suo luogo naturale è far perdere ad esso quel valore aggiunto che gli proviene come documento storico. E' quello che è capitato tanto spesso ai reperti archeologici, ammassati nei grandi Musei delle metropoli.
Con ciò non chiudiamo gli occhi sulle gravi ragioni che si presentano per la debita conservazione degli oggetti ritrovati, dei costosi locali da allestire, della vigile custodia da apprestare ecc. Noi, ben conoscendo questi, a volte insolubili, problemi che si presentano, abbiamo voluto semplicemente sottolineare il valore di documenti storici locali, annessi ai reperti archeologici.
Uno dei mille casi che non trovano attenuanti, riguarda la storia di Altavilla. Qualche decennio fa, certo dopo il 1975, i soliti "ignoti" hanno trafugato dalla cappella rurale di S. Maria di Loreto la pala d'altare rappresentante il quadro di Maria SS.ma di Loreto. Ora il quadro, messo fuori del suo ambiente naturale e separato dalla sua devota cappella, dove era fervidamente venerato, che cosa e divenuto? uno degli innumerevoli dipinti del Settecento, al quale nessuno presterebbe alcuna particolare attenzione, non essendo evidenziato da eccezionali pregi di arte, e non legato al nome di un noto e grande artista, se non a quello del devoto altavillese Pietro Silvestro, che l'aveva fatto dipingere nel 1740.
Basta a volte il ritrovamento di un solo reperto, autenticamente antico, per modificare le opinioni anche dei più valenti e stimati studiosi. Chi non conosce l'opera monumentale prodotta da Teodoro Mommsen (1817-1903), premio Nobel per la Letteratura nel 1902, coi suoi 15 volumi del Corpus Inscriptionum Latinarum, pubblicati dal 1863 al 1899 ? Ebbene, all'asserzione del Mommsen, che in Irpinia non esistevano vestigia di un popolo primitivo, di quelli cioè che si sogliono chiamare "aborigeni", proprio dai reperti archeologici, venuti alla luce da poco più di 100 anni in qua, si e potuto dimostrare incontrovertibilmente la presenza di questi primitivi abitanti nella nostra regione, prima che vi si stanziassero gli Irpini. La dimostrazione finora e venuta dalle Valli del Calore (come Montella, Paternopoli, Gesualdo) e dalle zone di Avella, Zungoli, Ariano, Lacedonia, Calabritto ecc.. Per il territorio di Altavilla, finora non pare si possa, con assoluta certezza, risalire più in alto del primo secolo avanti Cristo. E' da allora che cominciano a comparire, nel territorio del Comune di Altavilla, tombe o presìdi stradali di epoca romana.
Di qui l'importanza dei nuovi reperti archeologici, per confermare infirmare o modificare le conclusioni poste precedentemente.
Non è fuori di luogo ricordare che, per i periodi più lontani di un paese, il più delle volte si deve partire da semplici indizi più o meno probativi. Perciò uno storico coscienzioso non rifiuterà mai quegli apporti che possono servire non solo a confermare, ma anche a rettificare, a modificare o a impostare diversamente le sue ipotesi di lavoro e le sue impostazioni opinabili : e questo perché, nella sua onestà professionale, non confonde gli indizi con le prove, e non dà alle opinioni sue più valore di quello che dà a quelle espresse dagli altri. E quando formula una congettura, deve sempre mostrarsi disposto a rigettarla, quando gli indizi sui quali l'aveva appoggiata, si dimostrano inconsistenti alla luce di altri dati sopravvenuti.
Ecco perchè egli segue con vivissimo interesse la scoperta di nuovi documenti e l'esumazione di nuovi reperti archeologici. Attraverso questi nuovi sussidi può rendere sempre più perfetta la conoscenza della storia di un paese.
Ma vi è un altro aspetto che qui ci preme di evidenziare : le relazioni e correlazioni che intercorrono tra storia locale e storia generale.
Benedetto Croce, riferendosi alla storia di due minuscoli paesi, uno in provincia di Chieti, Montenerodomo, e l'altro in provincia dell'Aquila, Pescasseroli, ha scritto che nelle storie di quei paesi era dato "vedere come in miniatura i tratti medesimi della storia generale” , raccontata da lui per il Regno di Napoli (Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari 1925, p.XI).
Naturalmente tra storia generale e storia particolare, come vi sono delle convergenze, così vi sono pure numerose e fondamentali divergenze.
Le convergenze provengono dal fatto che nell'una e nell'altra si presentano gli stessi argomenti fondamentali : aspetto religioso, cultuale, economico, socio-industriale, folkloristico, linguistico ecc.
Però il modo di trattare questi singoli aspetti della vita umana sarà diverso, in quanto, ad esempio, nella storia locale prevarrà la maniera più analitica, mentre nella storia generale sarà necessaria la forma più sintetica. Così pure, nella storia locale si fisserà lo sguardo su quelle che sono le effettive realizzazioni avutesi in quel paese, mentre nella storia generale si dovrà allargare lo sguardo a tutta l'ampiezza delle realizzazioni effettuate o da effettuarsi nei singoli settori.
Così, per fare un solo esempio, se un dato paese è situato in luogo solitario, appena collegato con una stradicciuola col capoluogo o coi paesi confinanti, la trattazione delle vie di comunicazione avrà uno spazio limitatissimo, e non vi si troverà nulla che possa riguardare autostrade, ferrovie, funicolari ecc.. Così pure per quelle quattro case del paese, non si presenteranno problemi di piani regolatori, di parcheggi ecc.
Tuttavia i grandi problemi di una storia generale troveranno una certa corrispondenza nella storia locale. Il Croce adopera l'esempio di una miniatura messa a fronte di un quadro dalle vaste proporzioni. L'esempio calza a pennello. Tuttavia una miniatura non è la semplice riduzione in scala lillipuziana di un grande quadro. Nella miniatura, infatti, molti elementi sono eliminati, altri ridotti, in modo da creare un'opera nuova e diversa, secondo gli aspetti che si vogliono mettere in primo piano. Quindi, se in una storia generale abbiamo un quadro ampio, articolato, movimentato: in una storia locale, gli elementi del primo ricompaiono in una visuale nuova, che cambia di volta in volta.
In breve : una storia generale vedrà confluire nel suo interesse l'eco degli aspetti che risultano da tutti gli interessi particolari che compongono quella regione o quello Stato; invece la storia locale accentuerà solo quegli aspetti che interessano direttamente quel dato paese.
Di qui la differenza non solo quantitativa ma anche qualitativa fra le due storie, in quanto alla storia generale, proprio in quanto storia di collettività ampia, dovrà affrontare problemi nuovi e diversi, come quelli di guerre, di trattati, di legislazione, di diritto e di giustizia, della pubblica istruzione in tutta la sua gamma. Molti di questi problemi non trovano eco in una storia locale.
Viceversa, avvenimenti locali assurgono ad interesse nazionale quando attirano l'attenzione generale. Pensiamo per un momento al brigantaggio politico post-unitario; lo stesso si dica di certe pubbliche calamità, come l'allagamento di Firenze; le inondazioni del Polesine, i terremoti del Friuli, di Erice e quello del 23 novembre 1980, che interessò buona parte della Campania e della Basilicata.
Da una parte la storia generale, meglio conosciuta, permetterà una conoscenza più approfondita della storia locale, e dall'altra, questa storia locale, scoperta ed approfondita, darà il suo apporto alla storia generale, fornendo preziosi elementi integrativi.
Nella storia generale o in quella particolare possiamo scorgere due ordini di forze, quelle centrifughe e quelle centripete. Da una parte, la storia locale influirà per una maggiore esattezza della storia generale con gli elementi utili e nuovi che essa somministrerà; dall'altra, la stessa storia locale sarà sempre meglio illuminata dalla maggiore conoscenza della storia generale.
In questi ultimi quarant'anni sono di molto aumentati gli studi di storia locale. Gli studiosi hanno compreso l'insostituibile utilità di tali studi, per amar e di più i loro paesi e per sentirsi più uniti nella grande famiglia umana. Si è compreso che i singoli paesi non costituiscono soltanto tanti tasselli di un grande mosaico, ma qualcosa di più vivo: essi sono piuttosto una manifestazione della NAZIONE, e la NAZIONE si realizza ed è operante, e addirittura si arricchisce nella specifica realtà dei suoi singoli paesi.
Di qui appunto si vede l'intimo legame vitale che stringe in un sol corpo tutti i paesi di una Nazione. E’ facile vedere le più felici conseguenze che scaturiscono da questa concezione. Anzi oggi superandosi i limiti di una Nazione, si guarda all'Europa e al mondo intero, più uniti e più stretti, per affrontare insieme i problemi che interessano ugualmente tutti nel progresso e... nella sopravvivenza.
Dopo tutte queste premesse, dobbiamo mostrare in concreto alcuni dati più salienmti delle relazioni che intercorsero effettivamente fra la storia locale di Altavilla Irpina ed altri ambienti del Regno di Napoli, prima, e dell’Italia, poi.
Trattando dei feudatari del paese, nella nostra Storia di Altavilla abbiamo fatto vedere come questi si succedettero ininterrottamente dal 1113 al 1792, presentandoci una serie di 31 feudatari. Ma qui vogliamo sottolineare che fin dal primo feudatario,che incontriamo verso il 1113, Raone I de Fraineta, vediamo questo barone che associa nella sua persona, oltre il feudo di Altavilla, allora ancora chiamata Altacauda, altri feudi, come quello di Ceppaloni. Lo stesso si dice degli altri baroni prima che Altavilla fosse data in feudo, nel 1315, a Bartolomeo De Capua, quando Altacauda era associata coi feudi di Grottolella, Monteforte e Summonte.
Questa associazione divenne molto più estesa con Bartolomeo De Capua (1315-1328), che tenne contemporaneamente ben 21 feudi maggiori, nelle province di Avellino, Benevento, Caserta e Napoli in Campania; quindi nella provincia di Campobasso in Abruzzo; e poi nelle province di Bari e Foggia in Puglia.
Con gli altri feudatari della Casa De Capua di Altavilla si aggiunsero man mano altri 38 feudi, ma l'estensione geografica rimase immutata nelle province, solo crebbero notevolmente i feudi nelle province di Benevento, Campobasso e Foggia.
Alcuni di questi feudi ebbero addirittura il titolo di principato, come quelli di Conca (CE), Riccia (CB) e Molfetta (BA).
Tutto questo ci fa comprendere agevolmente come Altavilla, attraverso i suoi feudatari, che si gloriavano particolarmente del titolo di conti e di Gran Conti di Altavilla, si sia tenuta in stretto contatto con comunità civili distribuite dagli Abruzzi alla provincia di Bari.
Questo portava a seguire con occhio vigile e attento l'evolversi della politica nel Regno di Napoli: Del resto già Bartolomeo I De Capua, il grande Logoteta e Protonotario del Regno, ebbe una parte notevolissima nella grande politica. Qui ci basti accennare alla parte che egli ebbe nel trattato di pace fra Angioini e Aragonesi; poi nel far riconoscere Roberto come successore di Carlo II d'Angiò. Bartolomeo De Capua, infatti, sostenne con successo che "il trono di Napoli spettava a quest'ultimo - cioè a Roberto - , non solo perchè nella qualità di figlio era il più prossimo in grado al re morto ma più specialmente per l'utilità pubblica dell'Italia e del nome cristiano, essendo espertissimo in pace e in guerra e reputato i1 Salomone della società".
E' per Altavilla non piccolo vanto l'aver avuto questo grande personaggio come suo feudatario. Scipione Ammirato ha potuto scrivere di lui: "Avanzò tutti gli huomini della soa età nello splendore, e magnificenza nel fabbricare”. Si debbono a lui la porta maggiore della chiesa di S.Lorenzo in Napoli; l'intera facciata di S.Lorenzo, pure in Napoli; una cappella gentilizia nel Duomo di Napoli. Montevergine deve a lui tre monasteri, rispettivamente in Napoli (Monteverginella), in Capua e in Aversa.
Al monastero di Capua lasciò rendite per mantenere continuamente dodici poveri; numerosissimi furono i legati pii che lasciò nel testamento, rogato nel 1325.
Fu uomo dalle larghe vedute, e provvide a numerose opere pubbliche. Scrive il menzionato Scipione Ammirato nel 1580: lasciò "buone somme di denari per riparare ponti in diverse parti del Regno, e per un bagno a Pozzuoli a pubblica utilità, non meno gloriose al suo nome che utili e benefiche al genere umano".
Gran merito si procacciò con la larga parte che ebbe nella redazione delle leggi del tempo. Fu poi incaricato della raccolta delle Consuetudini napoletane, che egli non solo raccolse, ma arricchì di preziose annotazioni in una famosa opera, Glossae ad Constitutiones regni neapolitani.
Il Piccialuti ha potuto formulare questo lusinghiero giudizio su Bartolomeo De Capua: "E' particolarmente felice in quest' uomo la coincidenza dell'interprete col legislatore: interprete, appunto, da un lato d'una littera antica legata a condizioni politico-economiche non sempre compatibili con quelle del suo secolo, e dall'altro di una dispersa molteplicità" di fatti della vita". In questo modo egli innestò armonicamente molti elementi nuovi nella salda compagine della parte migliore della legislazione antica.
A quello di Bartolomeo I si debbono aggiungere i nomi di parecchi altri feudatari della stessa Casa De Capua. Così Roberto De Capua, primo Conte di Altavilla(1328-ca.1380) viene grandemente lodato dalla regina Giovanna I per "la fede e il valore"; oltremodo coraggioso e valoroso si mostrò Bartolomeo II (ca.1380-1395), che seppe resistere a Carlo III di Durazzo, rimanendo fedele alla regina Giovanna I e alle sue ultime volontà.
Alla fine del Trecento è tutto un susseguirsi di feudatari altavillesi, valorosissimi in campo militare. Luigi I, conte di Altavilla dal 1395 al 1397, Fu uno dei più valorosi uomini del suo tempo "sì per forza,& natural vigore del corpo, come eziandio per la sua disciplina dell'arte militare". E fu proprio per le sue eccellenti doti che fu creato Capitano Generale degli eserciti fiorentini. Si dimostrò fedelissimo al re Ladislao. Ugualmente fedelissimo al re Ladislao fu Andrea I (1397-1421), a1 punto che Ladislao gli fece contrarre matrimonio con la ripudiata regina Costanza di Chiaromonte.
E' probabile che si debba proprio ad Andrea I e a Costanza la costruzione originale del Palazzo Comitale di Altavilla.
Montevergine deve a Luigi III, 8° conte di Altavilla(1488-1497), la pregevolissima Custodia, ora nella Cappella del Santissimo, in cui spicca sull'architrave : LOISIUS III DE CAPUA COMES ALTAE VILLAE.
Importantissimi uffici pubblici coprì Bartolomeo III (1497-1526). Già il 23 novembre 1495 il re Ferdinando II lo nominò maestro portolano della Provincia di Capitanata e di Terra di Bari. In seguito, nel 1512 fu creato Vicerè d'Abruzzo.
A ricordo dei suoi antenati fece incidere molte lapidi commemorative. E qui è interessante notare che parecchie lapidi, pur essendo destinate al feudo di Riccia, che era decorato del titolo di Principato, Bartolomeo il più delle volte esplicitava solamente i1 titolo di "Comes Altae Villae".
Questo conte spiccò per eccellenti doti intellettuali, emulando Bartolomeo I nel campo della giurisprudenza. L'Amorosa può scrivere di lui: "questo principe fu versatissimo nella giurisprudenza dei suoi tempi; raccolse in un volume le consuetudini del Regno e mostrò inarrivabile abilità nel maneggio degli affari più intricati" (p.84).
Nella musica si mostrarono particolarmente sensibili il conte Giovanni II (1550-1589) e sue figlio, il conte Fabrizio (1589-1591). Invece Vincenzo Luigi era particolarmente dedito alla letteratura e fu socio dell'importante accademia napoletana degli Oziosi. Ci teneva al fascino dei titoli nobiliari. Perciò il 17 ottobre 1622 ottenne dal Vicerè di Napoli il titolo di Gran Conte di Altavilla, iniziando così la serie dei nuovi titolari dei feudatari di Altavilla.
Col titolo più elevato si associò la vita più lussuosa assunta dalla corte comitale. In quest'atmosfera rinnovata si debbono vedere certi rinnovamenti artistici del Seicento introdotti nel Palazzo Comitale di Altavilla.
Quando i feudatari s'impegnavano a fondo nella politica, potevano subirne le conseguenze. Lo ebbe a sperimentare il Gran Conte Giovanni Battista (1691- 1732), che, nella lotta di successione sul dominio del regno di Napoli, alla morte di Carlo II di Spagna, avvenuta il 1 novembre 1700, si schierò apertamente per l'Austria contro la Francia. Senonchè, essendo stato dichiarato sovrano delle province napoletane Filippo, duca d'Angiò, i1 20 novembre 1700, i1 Gran Conte fu condannato all'esilio e relegato in Francia, dove fu tratto in dura prigionia, privato dei suoi feudi e dei suoi titoli, che passarono al figlio Bartolomeo V. Ma quando, nel luglio 1707, 1e armi austriache s'impadronirono del Regno di Napoli, Giovan Battista potè ritornare in patria e dal re Carlo III gli vennero restituiti i beni e i titoli nobiliari.
Il governo feudale più lungo fu quello dell'ultimo Gran Conte, Bartolomeo VI (1732-1792), durato ben 60 anni! e non fu certo il meno famoso della gloriosa serie dei feudatari di Casa De Capua.
Illustre per fatti di armi, riportò una gravissima ferita il 10 agosto 1744 in una battaglia a Velletri contro gli Austriaci, in favore di Carlo II. Contro le pessimistiche previsioni del primo momento, il Gran Conte si riprese e visse ancora a lungo, altri 44 anni!
Giova osservare che questo Gran Conte aveva nelle mani un'imponente potenza feudale, che giova conoscere, per renderci conto come Altavilla, sino alla fine del potere feudale, godette di un grandissimo prestigio.
Il 23 aprile 1791, un anno prima della morte, Bartolomco VI era: "Gran Conte di Altavilla, Principe della Riccia, Duca di Airola, Marchese di Arpaia, Conte di Montoro, Biccari e Roseto, Barone del feudo di Arnone e delle terre di Castelluccio, Celle e Faeto, Gran Protonotario del Regno di Napoli, Cavaliere dell'insigne Ordine del Toson d'Oro, Cavaliere Gran Croce del distinio Ordine di Carlo III e del Real Ordine di S.Gennaro, Grande di Spagna di prima classe, Gentiluomo di Camera di S.M. Cattolica con esercizio, e Capitano Generale dei suoi Reali Eserciti, con gli onori ancora di Capitano delle Reali Guardie del Corpo" (AMOROSA, pp.107-108).
Morto improvvisamente il 30 marzo 1792, essendo senza legittimi eredi, tutti i suoi feudi passarono al Regio Fisco, e con ciò Altavilla fu inserita net Demanio Regio, iniziando un nuovo capitolo della sua storia.
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Già durante il periodo feudale, benchè ogni feudo avesse un'accentuata individualità, la vita di Altavilla si proiettava, attraverso i suoi feudatari, molto al di là delle mura cittadine, anzi partecipava con vivo interesse alla vita della corte regia e agli incarichi di carattere generale che espletavano i suoi Conti e Gran Conti. Quando poi sopravvenne l'abolizione generale della feudalità, con legge del 2 agosto 1806, da allora, i1 livellamento delle leggi e dei diritti e doveri dei singoli Comuni fuse in una maggiore unità tutti i paesi.
Questa fusione era man mano maturata. Fin dall'inizio del Settecento le menti cominciarono ad essere penetrate da uno spirito nuovo di vita, che veniva alimentato dall'insofferenza del governo viceregnale e dalla brama di ricostituire il regno indipendente di Napoli. Quando questo si ebbe in pieno con Carlo III di Borbone, nel 1734, gli scopi immediati erano raggiunti.
Senonchè nel corso del Settecento si fecero sempre più strada altre idee di una società nuova, basata su una legge uguale per tutti e su una distribuzione più equanime dei Beni della terra, superando decisamente la sperequazione, allora esistente, di una ristretta categoria di troppo ricchi e una estesissima categoria di nulla tenenti. Di qui l'insopportabilità dei governi assoluti, l'avversione contro i privilegiati di fronte alla legge comune.
In questo molteplice fermento di idee scoppiò la Rivoluzione Francese, che proclamò altamente i diritti dell'uomo e del cittadino.
Senonchè, quando i rivoluzionari francesi si abbandonarono agli eccessi del Terrore, allora si vide chiaramente che si erano superati abbondantemente i limiti delle giuste rivendicazioni e che i sistemi, adottati oltralpe, erano peggiori dei mali che si volevano eliminare. Nacque allora in reazione delle altre nazioni contro i rivoluzionari francesi.
Si farà poi strada Napoleone che, rialzando le sorti della Francia, ridonerà unità ed ordine, uguaglianza e concordia.
Specialmente dopo la prima invasione francese del 1799, in molti paesi si crearono due partiti in aperta opposizione fra loro, denominati con nomi diversi. Fra noi prevalsero i nomi di borbonici o realisti da una parte, e di repubblicani o liberali o patrioti dall'altra.
Anche Altavilla conobbe la nascita di questi partiti. Ecco perchè i1 partito dei Repubblicani, appena dichiarata la Repubblica Partenopea, i1 23 gennaio 1799, si abbandonò ad una pazza gioia, abbattendo stemmi borbonici e innalzando davanti al priorato verginiano di S.Pietro l'albero della libertà, emblema del regime repubblicano e inscenando una festa con balli, suoni e canti.
Cessata la Repubblica Partenopea e andati via i Francesi dal Regno, seguì la reazione borbonica. Se fra gli Altavillesi non vi furono condanne a morte, non mancarono esiliati e carcerati.
Quando poi, nel febbraio 1806, seguì la seconda invasione francese e l'occupazione armata del Regno con l'insediamento del re Giuseppe Bonaparte, si diede un carattere nuovo alla vita del paese, e una nuova struttura all'amministrazione civile.
Altavilla, che nel 1792 era stata aggregata al distretto di Montefusco, ora entrò in un ingranaggio nuovo. Siccome infatti i territori, con legge dell'8 agosto 1806, erano stati ordinati in distretti, circondari e comuni, Altavilla venne valorizzata come capoluogo di circondario.
Ben presto la popolazione sentì il grave peso della dominazione straniera: si inasprirono i contributi fiscali, riuscendo di gran lunga superiori a tutte le collette e i pesi, imposti precedentemente dal governo borbonico.
Peggio ancora andarono le cose per gli istituti religiosi in quanto furono tutti soppressi, a cominciare con un decreto generale del 13 febbraio 1807. Fu allora che i Verginiani furono costretti ad abbandonare i1 loro priorato di S.Pietro.
Resasi molto più gravosa la condizione della popolazione, andò sempre più crescendo il malcontento contro il governo dei Francesi. A questo si aggiunse l'arruolamento forzato dei giovani nell'esercito e i1 loro invio in guerre, combattute in paesi lontani. Così, alcuni altavillesi, parteciparono alla campagna napoleonica in Russia.
Al malcontento della popolazione si aggiunse l'aperta ribellione di coloro che si davano al brigantaggio e al banditismo, aggravando così sempre più la già scossa situazione generale.
In questo modo, minato profondamente l'edificio della società civile, questo non potette rimettersi in sesto col ritorno dei Borboni sul trono di Napoli. Infatti, dato il fermento sempre in atto delle nuove idee politiche, non si poteva più sopportare che continuasse inalterato un governo ormai reputato anacronistico. Di qui la nascita e lo sviluppo delle società segrete, prima fra tutte la Carboneria. Fu precisamente in Altavilla, nella contrada San Trifone, che si effettuavano le riunioni dei Carbonari dei paesi circostanti. Naturalmente, aderenti e simpatizzanti del movimento carbonaro erano non poche persone influenti di Altavilla.
La voce dei Carbonari si fece così forte da provocare la prima concessione della Costituzione il 13 luglio 1320.
Seguì un quarantennio molto agitato, con punte altissime nel 1848-49.
Tutto questo si ripercuoteva nella vita di Altavilla, in quanto le aspirazioni a un governo costituzionale si facevano sentire sempre più forti, mentre le autorità costituite tenevano duro alle direttive governative, e procedevano a dure e continue repressioni.
Non mancarono altavillesi che furono condannati a varie pene per aver partecipato a moti rivoluzionari in quei decenni cruciali; come pure si segnalano altavillesi che aderirono al movimento della Giovane Italia che faceva capo all'esponente più noto, Luigi Settembrini.
Furono appunto questi spiriti liberali a indurre Ferdinando II a giurare solennemente ancora una volta la Costituzione il 10 febbraio 1348. Allora ad Altavilla s'innalzarono bandiere tricolori, si cantarono messe solenni, s'illuminarono a festa i locali pubblici e le case private.
Purtroppo quell'entusiasmo euforico durò poco, perchè, dietro la pressione del governo austriaco, il re Ferdinando II rimangiò praticamente la concessione fatta e la reazione trovò il punto culminante nella giornata di sangue del 15 maggio di quel 1848.
Da allora si lavorò in segreto contro il governo borbonico, finchè con 1' invasione garibaldina del 1860 si poté uscire allo scoperto, preparando l’entrata trionfale di Garibaldi in Napoli il 7 settembre 1860.
Ancora una volta la notizia trovò eco immediata in Altavilla, e questa volta non si ebbe più paura di una ennesima reazione borbonica.
Di qui si vede come Altavilla si tiene sempre al passo coi tempi. Avendo pertanto compreso come l'unità effettuata del Regno d'Italia col resto dell' Italia era irreversibile, si doveva combattere energicamente ogni movimento separatista, anche quando le rosee speranze e economiche riposte in quell'unione svanirono miseramente e si sentì i1 peso dell'organizzazione più vasta a cui si era aderiti.
La fedeltà degli altavillesi al nuovo regime era così evidente che quando, nel giugno 1862, si sparse la voce che a Torrioni si era issata la bandiera bianca e che vi si fossero raccolti numerosi reazionari, proprio da Altavilla furono inviati 40 militi della Guardia Nazionale con Nicola Severini, per riportare ordine.
Con l'Unità d'Italia i1 servizio militare divenne di nuovo obbligatorio, e così soldati altavillesi saranno presenti in tutte le guerre che l'Italia combatterà da allora in poi.
La prima occasione si presento con la guerra interna contro il brigantaggio politico post-unitario, che aveva assunto proporzioni allarmanti. Uno dei capi-banda fu proprio un altavillese, Donatino Bruno, ex ufficiale borbonico, e nella sua banda vi erano parecchi altri altavillesi. Fortunatamente nè allora nè in seguito Altavilla ebbe a registrare gravi episodi di violenza.
Per la repressione dei fuorilegge fu bandita una sottoscrizione nazionale, e Altavilla contribuì generosamente per una causa cosi giusta.
Il contributo di sangue, dato dal Comune di Altavilla, è particolarmente significativo nelle due Grandi Guerre Mondiali, del 1915-18 e 1940-45.
Nella prima Guerra si registrarono ben 55 morti, 15 dispersi, 32 mutilati, invalidi e feriti; ma si ebbero pure 13 medaglie di bronzo e 8 d'argento, oltre quelli che furono insigniti di Croci di guerra e della decorazione di Cavalieri della Corona d'Italia o dell'Ordine militare di Savoia.
Nella seconda Guerra, possiamo segnalare altri 54 morti e 7 dispersi. Per le decorazioni ci basti menzionare una medaglia d'argento e una d'oro, concessa quest'ultima al tenente pilota MARIO VILLANI.
Con questo nome glorioso possiamo far punto, in quanto esso riassume ottimamente l'apporto dato da Altavilla alle cause d'interesse comune della Nazione.
Ma come non associare a quest'eroe della Patria un altro eroe, per una causa ancora più nobile, il beato ALBERICO CRESCITELLI,che versò il suo sangue per il nome di Cristo nella lontana Cina? Ma quel sangue che ha fatto sprizzare fiamme di gloria per il Beato, ha fatto anche risuonare il nome di Altavilla Irpina da un capo all'altro del mondo, facendo benedire il paese in cui nacque i1 Martire.
E qui a corona di questi astri di prima grandezza dovremmo aggiungere quei numerosi nomi di uomini illustri di Altavilla, che abbiamo elencati in altra sede, che si distinsero chi nella pittura e scultura, chi nelle scienze farmaceutiche, chi in filosofia, Lettere e cultura classica, chi nelle cariche ecclesiastiche.
Ma per tutti c'e una sola conclusione: la piena conferma che la storia locale di Altavilla, uscendo fuori della cinta delle sue mura, partecipa in vari modi alla storia stessa della Nazione e della Chiesa cattolica, nelle circostanze più varie della vita dei suoi migliori cittadini. E questo in maniera da meritare non già il plauso passeggero di un momento, ma la riconoscenza imperitura della storia.
E' precisamente allora che, in maniera esaltante, la Nazione e la Chiesa si manifestano e si realizzano negli individui più degni di un paese e, questa volta, di ALTAVILIA IRPINA.
Montevergine, 22 maggio 1991