1953
- 5 giugno
AD ALTAVILLA, COME IN UN FILM DI FORD!
Terrorizzati dalle spie del “padrone” monarchico
Gli elettori non osavano avvicinarsi all'oratore liberale, ma infine furono tutti intorno al palco, avendo vinto la paura
(Articolo di Giovanni Pionati. Dal quotidiano “Il Giornale” – 5 giugno 1953)
AVELLINO, 5 — La campagna elettorale sta per spirare e, malgrado il succedersi a ripetizione, qui tra noi, e non solo tra noi, di episodi e scene degne di entrare in un libro che rispettasse il titolo e lo spirito dell'indimenticabile “Viaggio elettorale» di desanctisiana memoria, fino alla ultima ora ci da speranza di sorprendenti e inaspettate «battute” se è vero, come è vero, che solo ieri sera, ad Altavilla Irpina, feudo di un Comandante monarchico – fin'oggi - padrone di una Miniera di zolfo, il candidato liberale Jannaccone è stato protagonista d'un eccezionale comizio elettorale, che solo la regia di un Ford, il Ford del “Sole splende in alto” avrebbe potuto tradurre in perenne immagine cinematografica, documento d'un costume politico e d'uno stato di “depressione” spirituale nel quale stenteranno a credere, sulla sola testimonianza della nostra parola scritta, anche gli uomini liberi della nostra regione.
Nel film di Ford il pregiudizio morale impedisce agli uomini liberi di seguire il feretro di “una donna perduta”, ad Altavilla la paura fisica del « padrone” monarchico, anch’egli candidato al Parlamento, e barricato a quell’ora nella miniera, impediva agli uomini liberi di avvicinarsi all'oratore liberale che aveva osato entrare in quel feudo e che, se non altro, almeno per questo suo coraggio civile, pur attirava a se la curiosità, se non ancora la simpatia di quei cittadini all'apparenza inerti e indifferenti, fermi innanzi all'uscio di casa o, addirittura, nascosti dietro le imposte socchiuse delle finestre.
Si, il “padrone” era barricato nella Miniera, ma le sue “spie” erano in agguato, a segnare i nomi di quanti avessero ostentato il desiderio scoperto di ascoltare, solamente, ascoltare, “il suono di un'altra campana”.
Per molti c'era di mezzo il lavoro nella Miniera, il pane per 1a famiglia!
Jannaccone si trovò in mezzo a una piazza deserta e innanzi a un inutile microfono.
Forse vi fu un attimo che sentì sgomento di quel silenzio, mortificazione per quella solitudine, a cui indegnamente lo condannavano.
Ma avvertì pure, d'istinto, che pochi uomini fermi e silenziosi ai margini di quella piazza assolata erano l'avanguardia più coraggiosa d'un paese che pur voleva ascoltare la sua parola, anche al riparo di fragili imposte, di trasparenti persiane.
E gli venne una foga umana e disperata di parlare, e gridare la sua passione di uomo senza «padroni” per uomini che ancora attendono l'incitamento e l'incoraggiamento per liberarsi dei loro innaturali ed anacronistici “padroni”, per liberarsi della paura del loro simile, per liberarsi da tante ataviche ed avvilenti paure.
La sua parola era rabbiosa e convinta: un messaggio di umanità senza riserve, non più una richiesta di voti.
Gli uomini incominciarono ad avanzare verso il microfono, qualche uscio si schiudeva cauto, qualche finestra ritornava a dare aria e sole di primavera alle stanze non ancora in ombra: la voce dell’oratore risuonava limpida e facile nel gran silenzio di quella folla che aumentava senza fare rumore, come di aerei personaggi d’una visione idilliaca di Zavattini.
Venite innanzi cittadini di Altavilla – diceva – uscite alla luce e se non verrete griderò tanto forte che mi udrete anche nascosti dietro gli usci, che mi udirà anche il “padrone” barricato nelle Miniere.
In mezzo a voi vi sono tanti uomini che non ebbero paura della morte in guerra, che non ebbero paura di nessun nemico; avranno oggi paura di un piccolo uomo che non sa nemmeno parlare?
Ricordate: l’anno scorso lo eleggeste Consigliere provinciale il Comandante Capone. Avete mai sentito dire, avete mai letto sul suo giornale che egli ha mai pronunciato una sola parola a quel Consiglio?
Ma che rappresenta questo vostro Comandante muto come la sfinge?
Coi Lancellotti, coi Lauro, coi Matarazzo, rappresenta solo e soltanto gli interessi esosi di una classe sociale che visse solo di privilegi e di privilegi vorrebbe continuare a vivere per l’eternità sul vostro lavoro e il vostro sudore.
Lo so che egli vi intimidisce e vi ricatta - anche senza parlare - con il terrore dei licenziamenti e delle sospensioni: lo so che la vostra è una paura primordiale, contro la quale ben poco può valere la mia parola.
Ma io voglio solo invitarvi a considerare come, votando nomi come quello del vostro Comandante e dei suoi amici, voi continuerete a farvi nemici di voi stessi, dei vostri bisogni, della vostra libertà, di uomini vivi.
Egli difende solo i suoi interessi attraverso di voi; egli non può essere che il vostro nemico.
Io non sono venuto a chiedervi voti, e non ve li chiederò. Sono venuto soltanto a portarvi un messaggio di umanità e di fraternità, a dirvi che la più grande conquista dell'uomo è quella della propria libertà spirituale.
La folla s'era fatta compatta ed attenta: ma nessuna espressione, ne di consenso ne di disapprovazione, appariva sul volto di alcuno.
L'oratore continuava a parlare, meno aggressivo, finalmente sereno: disse del fanatismo monarchico come d'una delle leve su cui poggiano i reazionari a difesa dei loro interessi di casta e di famiglia, parlò d'ogni fanatismo come della remora più grave a ogni progresso umano e sociale.
II Comandante Capone — riprese, verso la fine,— è solo il figlio degenere di Federico Capone, anima di democratico, repubblicano, progressista, scienziato, antesignano di libertà.
Se il ricordo dei morti vale ancora in mezzo a noi, io voglio sperare che voi, da oggi, obbedirete più al monito dello spirito di Federico Capone che tutto diede a questo paese civile, che alle taciute intimidazioni di questo suo figlio reazionario.
Qualche volto s’era come trasfigurato. Qualcuno si mordeva le labbra per non gridare. C’era un trasalire nervoso su tutti i visi, e l’oratore avvertì che “volevano” applaudire.
Non applaudite – li prevenne – le “spie” vi guardano ed io, domani, non saprei come darvi lavoro!
E si allontanò dal microfono commosso d’una emozione sottile e senza nome.
Giovanni Pionati
POSTA DEL DIRETTORE
(Dal quotidiano “ IL GIORNALE” Martedì 23 giugno 1953. T. CAPONE)
Riceviamo e pubblichiamo:
Signor Direttore,
Il 5 giugno, allorchè Ella pubblicò un “pezzo” sul comizio liberale ad Altavilla Irpina eravamo in piena febbre elettorale. Ora che siamo tutti apiretici mi consenta una breve messa a punto. L’autore ha fatto dell’involontario umorismo parlando di ricatti, intimidazioni e minacce allorchè anche i bimbi dell’Asilo infantile di Altavilla sanno che i loro familiari che lavorano alla miniera son tabù non tanto per i patti collettivi di lavoro che hanno forza di legge; della protezione di tre sindacati di diversi colori politici edella commissioneinterna ogni anno democraticamente eletta; quanto e maggiormente per la quasi secolare e tradizionale politica sociale e industriale della Amministrazione alla quale se un rilievo può essere fatto è quello di essere eccessivamente liberale. Non starò qui a fare il panegirico dei nostri amministratori e tanto meno a mettere in evidenza la loro sistematica azione, che del resto è a tutti –amici e nemici - arcinota anche oltre i ristretti confini della provincia.
Ma la parte della prosa a forti tinte che indubbiamente avrà strappato ai Suoi lettori, per la commozione e per l’indignazione cocenti ed abbondanti lacrime, è la magistrale descrizione della strada assolata, degli operai tremanti dietro le persiane (senza allusione a quelle della signora Merlin ) e dell’imperterrito candidato che, solo sulla piazza, attorno alla quale sono appostate le spie, (il padrone è barricato in miniera) si sgola e si sbraccia per predicare il verbo. Vuoi fare un pò di buon sangue signor Direttore? Eccole alcune cifre: Su quattromila voti di Altavilla il candidato liberale ne ha raccolti poco più di due dozzine e per essere precisi 25. Dirà l’articolista che ciò sta a dimostrare l’efficacia del terrore, dello spettro della fame, della paura degli sbirri e forse della forca, per la quale sarà stato scambiato un innocente albero di cuccagna che si rizza ad ogni Santa Barbara; ma io Le opporrò i 723 voti della D.C. e gli altri 870 dei social-comunisti; sicchè mentre i 25 uomini e donne di Jannaccone si sono rifugiati prudentemente nella loro conigliera per avvicinarsi poi il 7 giugno timidamente alle urne che peraltro sono segrete e silenziose come tombe, tutti gli altri elettori altavillesi hanno ascoltato indisturbati comizi di ogni tinta; hanno espresso liberamente le loro preferenze (che non si sono polarizzare su di me) e che io sappia non sono stati ancora trucidati dal padrone delle Miniere (da non confondere con quello delle Ferrovie la cui fama è di gran lunga superiore a quella del sottoscritto).
Infine devo aggiungere che il padrone (ahimè) non sono io, che rivesto solo la modesta carica di consigliere e che in quanto a padronanza non sono che uno dei cento e disperati azionisti di una Società per azioni.
Mi rimetto alla Sua lealtà per la pubblicazione della presente, col dovuto risalto. La ringrazio e La saluto distintamente.
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- 19 giugno
BILANCIO ELETTORALE AD ALTAVILLA
Per il “piccolo comandante Capone” una sconfitta ed una magra soddisfazione /
(Articolo. Dal quotidiano “IL GIORNALE“ - Venerdì 19 giugno 1953)
ALTAVILLA IRPINA, 18 giugno
I risultati locali delle elezioni hanno dimostrato come sia vero che le armi si ritorcono spesso contro coloro che le impugnano. La lotta contro il movimento realista o meglio “caponista” ed i partiti democratici ha avuto come risultato il rafforzamento dei socialcomunisti i quali dai 318 voti delle elezioni provinciali del 1952 sono passati agli 860 mentre la D.C. dai 1845 del 48 è scesa ai 723 ed il PL dai 401 ai 25. Il vero perdente, però, è il Comandante Capone che dei 3006 voti delle provinciali ne ha ottenuto appena 1918. Dai dati esposti è evidente che il “caponismo” ha sottratto voti ai partiti di centro senza riuscire a portare a Montecitorio il Comandante locale. Una vittoria mancata ed una magra consolazione della quale quanto prima le industrie solfifere Capone subiranno le conseguenze. Infatti coll’indebolimento delle forze democratiche i social comunisti avranno il sopravvento e comincerà un altro periodo di scioperi e di proteste che i Liberi Sindacati avevano evitato riportando nelle miniere SAIM la tranquillità e un conseguente incremento della produzione che si risolveva a tutto beneficio delle casse padronali. Il Comandante Capone, abbagliato dalla aurea medaglietta, ha completamente dimenticato i meriti acquisiti dai Liberi Sindacati e dei lavoratori che vi aderiscono i quali erano riusciti a fugare il terrore instaurato nelle miniere dai socialcomunisti arrivati al punto da espellere dallo spaccio aziendale uno degli stessi azionisti. Evidentemente, però, il Comandante Capone è tetragono ad ogni lezione ed è ancora troppo tradizionalista, egli si è fermato agli albori del secolo allorché l’illustre genitore, caracollando su un cavallo bianco, riceveva l’umiliante ossequio dei concittadini da lui considerati sudditi. Forte di questa tradizione egli ha creduto doveroso colpire coloro che crede responsabili della mancata elezione ed ha licenziato circa 40 operai minacciando di chiudere la miniera per poi poter assumere soltanto i suoi vassalli, valvassori e valvassini. Desta maraviglia il fatto che il capo del “caponismo” non abbia compreso che la sua sconfitta è dovuta proprio a questi ultimi i quali, forti della protezione del principe, hanno cercato di coartare la volontà degli elettori facendo intendere che il loro pane dipendeva dalla vittoria o meno del Comandante. Dimenticavo i “galoppini” che erano trascorsi circa cinquanta anni da quando gli altavillesi si recavano alle urne, mossi dallo slogan “sia o non sia viva Boccieri”; le minacce aperte o sottintese hanno determinato una giusta reazione ed i minatori dai polmoni corrosi dallo zolfo hanno segnato rabbiosamente falce e martello.