welcome

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

 

Questo articolo, sebbene contenga alcune inesattezze che la ricerca ha da tempo messo in luce, come  la errata connessione tra la Famiglia feudataria dei de Capua ed il nome attribuito alla cittadina in ricordo di "Hauteville" in Normandia, testimonia  tuttavia l'imporatanza da sempre  attribuita, da una certa stampa di divulgazione storica, al PalazzoComitale di Altavilla Irpina.

 

Immagine 1985

 

   Il paese, che assunse l’attuale denominazione nel 1862, sorge a metà fra Avellino e Benevento su un costone roccioso dal quale si domina la ridente valle del Sabato con le miniere di zolfo scoperte nel 1866.

   Il primo documento, in cui appare citato, è riportato da Falcone Beneventano e risale al 1134, quando, durante le lotte tra Rainulfo e Ruggero il Normanno, costui riprese alcuni feudi di Raone de Fraineta, tra cui appunto "castrum Alta Cauda". In questo nome è evidente l'origine sannitica, per l'indubbio riferimento alla tribù dei Caudini.

Il toponimo Altavilla, invece, documentato alla fine del sec. XII, quando, avendo ottenuto il feudo Luigi de Capua, questi dovette cambiargli il nome, con un preciso riferimento alla città di Hauteville in Normandia, da cui aveva origine la sua famiglia, ed in onore dell'omonima dinastia dei sovrani normanni. In seguito, i de Capua ottennero anche il titolo di Gran Conti di Altavilla, concesso nel 1311 da Roberto d'Angiò a Bartolomeo I, già arcivescovo di Pisa, poi guerriero al seguito di Carlo I d'Angiò, in seguito Gran Protonotario del Regno.

   Il centro storico era circondato, in epoca medievale, da imponenti mura con ben cinque porte e si articolava in vicoli e viuzze snodantisi attorno al nucleo principale, rappresentato dalla Collegiata dell'Assunta e dal Palazzo del feudatario.

   Questo, sorto molto probabilmente come casamatta per il ricovero delle soldatesche normanne, fu quasi certamente conservato così (per tutto il periodo della dominazione sveva. Il suo ampliamento e la sua trasformazione dovettero avvenire sotto gli Angioini e precisamente con Bartolomeo I de Capua, il quale, già avvezzo ai fasti e al lusso della corte e poi insignito del titolo di Gran Conte, dovette ritenere l’edificio poco decoroso per la sua famiglia. I lavori continuarono anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1328; ed anzi, nel clima di fervore artistico-culturale che emanava dalla capitale, furono patrocinati ancor più dal suo successore, Andrea, soprattutto in occasione del suo matrimonio con Costanza di Chiaromonte, celebrato nel 1395. Va comunque precisato che una spinta notevole al rifacimento del Palazzo fu data non solo dall'essere i de Capua partecipi di un'atmosfera culturale quanto mai composita e stimolante, quale era quella della Napoli angioina, ma anche dalla grande potenza ed influenza politica da essi esercitata, nonché dai cospicui mezzi pecuniari che possedevano.

   I lavori andarono avanti ancora per molti anni, tanto da richiamare nel paese numerosi artisti, tra quelli operanti alla corte aragonese, dove in quegli anni si andava realizzando una sorta di splendido "Rinascimento meridionale", favorito dal gran mecenatismo del sovrano e alimentato dall'attiva presenza di grandi maestri non solo italiani, specialmente toscani, ma anche catalani.

   Completato nel sec. XVI, dunque, il Gran Comital Palazzo si presentava non certo come un severo castello, ma piuttosto come una superba dimora di nobili, elegante nello stile e ricca negli ornamenti artistici, singolare mescolanza di linguaggi culturali di diversa estrazione, ma unificati nella sintesi di una nuova forma espressiva. L'impianto è comunque chiaramente quattrocentesco.

   Dalla piazza Alberico Crescitelli una rampa d'accesso porta all'ingresso dell'edificio, contornato da un grande portale architravato in pietra serena con motivi ornamentali pressoché cancellati dall'azione degli agenti atmosferici. A sinistra dell'ingresso, il piccolo portale della Cappella di Santa Croce, le cui colonne laterali reggevano ciascuna un leone. Sulla facciata, alle piccole finestre regolari si alternano quelle più grandi a croce guelfa, che all'interno presentano un motivo piuttosto frequente negli edifici rinascimentali, cioè due basse panche in muratura ai due lati del vano, che sfruttano il notevole spessore delle murature.

   L'androne d'ingresso, voltato a botte, immette nel cortile attraverso un depresso arco catalano, in corrispondenza della cui chiave s'alza una mensola lunga e stretta raffigurante una zampa di grifo con ali spiegate; e si sa che il grifone era molto caro al re Alfonso d'Aragona. Lungo le pareti delle tre ali del Palazzo, al di sotto del cornicione, sono disposti regolarmente numerosi scudi, alcuni dei quali rappresentano gli stemmi araldici dei diversi titoli della famiglia de Capua.

   Con l'estinzione di quest'ultima, nel 1793, il Palazzo cominciò a subire saccheggi vari e trasformazioni, divenuti col tempo generale degrado: la Cappella fu adibita a Carcere; il parco dei pioppi fu distrutto, consentendo così la costruzione di case addossate ai muri perimetrali; la casina di campagna, detta il Belvedere, andò in rovina fino a sparire del tutto; la Cavallerizza fu trasformata prima in teatro, poi, per il crollo della volta, in piazza; la biblioteca e l'archivio finirono in mano a privati e dispersi; molti motivi ornamentali furono asportati. Nel 1892 l'edificio divenne sede delle locali scuole elementari, cosicché, prima dell'ultima guerra, furono costruiti due piani di aule sull'ala di fondo del cortile, venendo così a nascondere l'originario impianto rinascimentale ed andamento quadrilatero con il fondo del cortile aperto verso la vallata, a mo’ di belvedere panoramico.

   Il restauro del Palazzo, conseguente ai danni arrecati dal sisma del 1980, mira, naturalmente, oltre al consolidamento statico, al ripristino dell'aspetto originario dell'edificio, allo scopo di restituirgli la sua antica dignità, se non il suo antico splendore, secondo un principio di conservazione dei monumenti non astratta e fine a se stessa, ma correttamente "integrata" e finalizzata. Esso, infatti, opportunamente ristrutturato, ben si presta all'intera valle del Sabato, compresa tra le province di Avellino e Benevento, per i Beni Culturali, potendo ospitare Laboratori di restauro e centri di raccolta per la documentazione storica locale.

M. Grazia Cataldi Abete