ALTAVILLA IRPINA, agosto.
C'e di nuovo aria di lotta. L'agitazione dei minatori è in corso. L'anno scorso in questi giorni Altavilla generosa e forte offrì un esempio mirabile di unità popolare in difesa del pane delle sue centinaia di minatori. Bisognava difendere le conquiste tanto duramente acquisite, dal rispetto degli organismi sindacali dei lavoratori, al collocamento, alle tabelle salariali, alle ferie, alle provvidenze varie ecc... Si lottava cioè non solo per rivendicazioni economiche quanto per difendere il prestigio e la dignità di uomini e di lavoratori raggiunti a prezzo di innumerevoli sacrifici e dopo circa un secolo di schiavitù.
Per tutto questo Altavilla abbe una sola volontà, fu unita e decisa. Ma venne la corruzione. Vennero le promesse di forti guadagni, delle promozioni inaspettate e una parte dei lavoratori cedette.
In quei giorni la città si vestì a lutto. Circa duecento fra vecchi e provati minatori piuttosto che accettare la capitolazione preferirono partire per il Belgio e la Francia fra la commozione e il vivo dolore di quanti restavano. Ricordiamo ancora i canti gioiosi dei partenti.
Sul camion avevano le rosse bandiere della vita e salutavano tutti a pugno chiuso. Era il saluto come pegno della fede che, invitta, restava. Ed altri episodi ricordiamo di quei giorni che sono fra le più belle pagine della storia popolare di Altavilla. Ricordiamo il fermo atteggiamento del Sindaco che gia nella miniera difese con energia il buon diritto dei minatori ad occupare la miniera fino al giorno in cui non fosse stata resa loro giustizia.
Era la prima volta che i minatori occupavano la miniera. La cosa sbalordì tutti. La cosa rinvigorì tutto il movimento democratico e popolare.
Ma i padroni e il clero erano all'agguato. E molti lavoratori - affamati e immiseriti da sempre - caddero nella rete tesa pazientemente. Il fronte operaio si sgretolò e vi penetrarono le forze del tradimento, dell’inganno, della divisione dei lavoratori.
Giornate di lutto generale. Più tardi, solo più tardi, Altavilla conobbe il prezzo del tradimento perpetrato dai padroni e dal clero.
Tutte le vittorie sindacali e le rivendicazioni di carattere morale ed economico furono annullate. I padroni puntarono decisamente sui magri salari per rimpinzare le loro casseforti. Tutte le provvidenze, entrate oramai nella vita della miniera, furono cancellate e dimenticate con un colpo di spugna. La rappresaglia, la provocazione si fece strada. I padroni - nel clima eroico del 18 aprile - ritennero fosse giunto il momento di dar scacco matto alle organizzazioni sindacali unitarie, Vi riuscirono per motivi di ordine generale che a suo tempo furono analizzati criticamente
E il rispetto del lavoro, della dignità umana andarono a farsi benedire.
Dopo i1 18 aprile “comandiamo noi” dicevano gli industriali. Sembrava di essere tornati ai tempi del famigerato Olivetti, segretario generale della Confindustria, ed estensore della relazione della Giunta del Bilancio nel 1930, quando i salari e gli stipendi furono ridotti del 12%, che furono ancora decurtati dopo il crollo del Creditanstalt e delle principali banche tedesche, del 10 per cento (nel luglio 1932). E i salari dei minatori furono ancora ridotti, nel giugno 1933 del 10 per cento.
Sembrava, appunto, di essere tornati a quei tempi quando incideva fortemente sui salari reali delle masse operaie per fronteggiare la crisi del sistema capitalista e per soddisfare gli insani appetiti dei ricchi industriali, sfruttatori senza scrupoli. Nel 1948 la S.A.I.M. prese questa strada come vedremo, mentre la Di Marzo si dispose ad attendere qualche tempo per fare altrettanto.
SILVESTRO AMORE
(continua)
II
Quando nel 1866 il sig. Francesco Di Marzo ebbe la fortuna di scoprire le miniere di zolfo dell'Irpinia nessuno degli abitanti del luogo pensava che a distanza di 80 anni le condizioni di vita dei minatori piuttosto che rifiorire sarebbero peggiorate con la volontà deliberata dei ricchi padroni.
A 330 metri nelle viscere della terra, nudi, la pelle madida di sudore, altrove sotto una continua pioggerella che agghiaccia corpi, questi operai lavorano per 10, 20, 30 anni senza alcuna speranza fondata nel domani.
Ogni tanto qualcuno non torna più — una relazione della Labor Sub Commission del 9 novembre 1944 reca: negli ultimi 32 mesi nelle due miniere si sono avuti 615 infortuni — e la ditta assume, in cambio un figlio o un parente della vittima. E questo è tutto. Le gallerie sono buie e fredde. Il caratteristico sentore dell'interno delle miniere di zolfo ti prende alla gola, ti chiude la bocca dello stomaco: sentore di uova rancide. I minatori alla luce delle lampade ad acetilene o a carburo, sembrano fantasmi; ombre vaganti. E' duro il destino di questi uomini sepolti vivi. Scendendo verso il fondo un immenso calore si sostituisce al freddo delle gallerie superiori. Qui i minatori strappano alla terra il loro pane lavorando con l’acqua fino alle ginocchia, a volte, completamente nudi. Solo pochi hanno intorno alto vita qualche fascia, altri hanno coperto di una calotta i capelli. I corpi sono percorsi da lucidi rivoletti di sudore. Compiono il loro lavoro meccanicamente, talpe senza pellame, con gli occhi arrossati per la congiuntivite. Perforano la terra con i loro martelli pneumatici, poi depongono le cartucce di dinamite nei fori, provocano lo scoppio e subito dopo vanno avanti per guardare se si sia appiccato o si diffonda un incendio. In certi casi debbono lottare anche contro i due elementi primordiali: fuoco e acqua, in questo infermo umano ove lo zolfo rivela la presenza del diavolo invisibile che assoggetta alla pena i suoi forzati.
Si sfamano di pane. Che spesso è poco e qualche volta non c’è. Soffrono, mangiano pane e muoiono a turno. Di padre in figlio vengono alle miniere. Le miniere sono le due cittadine. A casa li aspettano stanzette buie, affumicate come vecchie aringhe di scarto. I due paesi sono allo stato semi coloniale. La luce del sole non fa capolino nelle chiuse stanze dei minatori.
Quando essi tornano a rivedere le stelle, quando si esce dalla miniera ognuno respira come per liberarsi da un peso che opprime. Ma non alzano lo sguardo al cielo. Per non maledire. Ed allora un senso di sconforto e di pena li opprime. Hanno gli occhi spenti, pieni di zolfo, questi «musi gialli», questi nostri poveri compagni.
E le donne portano pesi di 40 -50 Kg. mentre il contratto di lavoro prevede solo 20 Kg. E manca l'assistenza sanitaria, quella tecnica, quella umana assistenza che affratella e commuove. Occupandosi delle condizioni economiche dei minatori nel 1945 Il capitano - Villiams - chief Labor Division di Napoli — notava: «più miseri non si possono immaginare. Non vi sono lavoratori in Italia addetti ad industrie meno pesanti che vivano in queste dolorosissime condizioni...» E più oltre:... «non è vano notare che la S.A. Di Marzo e la SAIM hanno aumentato il prezzo dello zolfo da L. 50,30, al L. 350 per le piccole partite ed a L. 300 per le partite grosse, a che niente, proprio niente hanno saputo e voluto dare a coloro che formano la loro ricchezza, cioè agli operai
SILVESTRO AMORE
(continua)
III.
Operata la divisione dei lavoratori cominciarono le rappresaglie. Cinquanta operai dei più “fidati» furono chiamati al lavoro. Fu eletta la Commissione Interna che da quel giorno è stato un docile strumento nelle mani dei padroni.
Il lavoro iniziò con 30 giorni di ritardo. Nel complesso gli operai non assunti al lavoro possono calcolarsi in numero di 60. L'assunzione non fu più regolare. Le richieste furono nominative in dispregio a tutte le leggi. Furono praticate con discriminazioni politiche e religiose. Si ebbe cioè il dominio della provocazione e della tracotanza padronale. Ma vi fu di più. Fu consumato il più grave insulto che mente umana possa immaginare: 150 fra minatori e operai qualificati furono declassificati. Si ridussero così i salari ottenendo lauti guadagni, si svirilizzò, si mortificò la parte più sana e combattiva della massa operaia.
Dopo 20-30 anni di lavoro nella miniera un minatore specializzato se vuole tornare al lavoro deve accettare di fare il manovale. Quindi non solo un danno economico quand'anche - e principalmente diremmo - un danno morale. E i licenziamenti operati permisero ai padroni di defraudare i lavoratori di un buon diritto che essi avrebbero acquisito nel '49 quando si sarebbe compiuto il quinquennio di lavoro consecutivo. L'interruzione del rapporto di lavoro non fa mai maturare il diritto al premio di «fedeli della miniera».
Diamo la parola alle cifre per comprendere gli obiettivi dei padroni: Si può calcolare che sono state fatte 350 giornate lavorative in meno a lire 800 in media si ha 300 mila lire. Ogni quinquennio i lavoratori maturano il diritto ad avere 10 giornate di salario per ogni annualità di lavoro prestato, con il licenziamento effettuato nel '48 gli azionisti della SAIM hanno quindi guadagnato: 550 operai moltiplicato 6 giornate moltiplicato lire 800, salario media di una giornata dei lavoratori della miniera, il tutto per lire 3 milioni circa. Con la declassificazione i 150 operai che sono stati colpiti da questa ingiuriosa e inumana misura hanno perduto in media 18.500 lire in un anno per la somma complessiva di lire 2.775.000. Si intende che il licenziamento ha concretamente annullata la possibilità per i minatori che stavano per compiere il 20° anno di anzianità di maturare il diritto al “premio fedeli alla miniera” Si aggiunga che mentre nel '48 il prezzo di vendita dello zolfo era di L. 1.400 al q.le, quest'anno e stato di L. 1.700 il che significa che tenendo conto della produzione delle due miniere la SAIM ha guadagnato da 35 a 45 milioni di utili netti in più di quelli realizzati nel '48, la Di Marzo ne ha realizzati 30 di milioni, aumentando, inoltre, la produzione che ha toccato i 97 mila quintali, mentre la SAIM ne ha prodotti più di 100 mila di ventilato ed altrettanti di zolfo lavorato.
Le due Società hanno usufruito anche dell'integrazione offerta dal governo clericale sul prezzo politico dello zolfo in seguito all'agitazione condotta eroicamente per 57 giorni dai zolfatari siciliani. Questo denaro è stato però dato agli industriali per migliorare sensibilmente le condizioni di vita dei minatori. Che fine ha fatto questo denaro toccato alla SAIM e alla Di Marzo?
Guadagnare milioni a palate e tenere fuori dalla miniera i più genuini rappresentanti dei lavoratori, declassificare di tre gradi (da minatore specializzato a manovale) vecchi minatori e provati difensori degli interessi di tutti i lavoratori per umiliarli, per offenderli, per prenderli per fame. Tutto questo hanno fatto i padroni con l'aiuto dei sindacati “liberi” e col valido appoggio del clericalume e dei fascisti locali. Ma oggi i minatori tornano alla lotta decisi a riconquistare le posizioni temporaneamente abbandonate.
SILVESTRO AMORE
(continua)
IV
La vecchia e rossa bandiera del Sindacato Minatori del 1920 è tornata a risplendere in un caldo pomeriggio di luglio. Il popolo era commosso e i minatori hanno giurato fedeltà alla loro bandiera simbolo di unità, di lotta coraggiosa, tenace, paziente.
I Sindacati unitari sono risorti. A Tufo gli unitari sono in maggioranza con tutta la Commissione Interna schierati nella C.G.I.L. Ad Altavilla ogni giorno gruppi di operai ritrovano la via che avevano smarrita.
Da domenica 24 i minatori dei due centri minerari sono in agitazione, Prima di scendere in lotta essi hanno voluto dare una precisa risposta rafforzando l'unità dei due sindacati, costituendo per la prima volta il Sindacato provinciale Minatori allo scopo di legare sempre di più i minatori del due Comuni nelle lotte che sono comuni.
Cosa chiedono quelli di Tufo?
1) Vista l'esperienza dolorosa fatta dai minatori di Altavilla, del regime di odio e di rappresaglia instaurato in quella miniera essi hanno chiesto la firma di un impegno per la ripresa al lavoro di tutti i lavoratori che al termine dei lavori erano impegnati nella produzione con la qualifica maturata attraverso l'esperienza e la anzianità;
2) Pagamento immediato di tutte le spettanze maturate e non ancora pagate;
3) Non riconoscimento dei 41 licenziamenti ordinati dalla Direzione;
Altavilla si batte per:
1) Per annullare definitivamente l'iniquo accordo-capestro del 31 agosto 1948 che non fu riconosciuto valido dalle competenti organizzazioni sindacali dei lavoratori, che non lo firmarono;
2) Assunzione dei minatori al lavoro tramite l'Ufficio di Collocamento presso il quale dovrà funzionare una commissione di minatori;
3) Lotta a fondo contro le rappresaglie e il regime di terrore e di paura instaurato a bella posta dai padroni e nessuna discriminazione di carattere politico o sindacale nell'assunzione al lavoro;
4) Pagamento delle indennità maturate.
I due Sindacati, inoltre, si battono per annullare il carattere “stagionale” del lavoro delle miniere (solo per le miniere Irpine questo avviene) e per il più pieno riconoscimento dei diritti e le funzioni delle Commissioni interne come strumenti di difesa degli interessi di tutti i lavoratori.
L’agitazione continua con l’appoggio dei cittadini, degli artigiani, dei bottegai di tutti gli uomini onesti che hanno manifestata pubblicamente — sottoscrivendo una pubblica protesta — la loro disapprovazione per il comportamento da negrieri dei padroni delle miniere.
Dal Prefetto venerdì mattina gli industriali non sono venuti. Nel documento redatto dalle organizzazioni operaie appare chiara la decisa volontà dei “musi gialli” di ottenere giustizia.
I minatori, questa “aristocrazia del sacrificio” del mondo del lavoro, sono pronti a rintuzzare ogni attacco padronale.
Non solo. Ma i minatori sanno benissimo che il loro avvenire è legato strettamente alla realizzazione delle riforme di struttura che per le miniere di Tufo e Altavilla significheranno lo sviluppo della produzione, l'allargamento verso attività collaterali. I diversi sottoprodotti dello zolfo (si potrebbe ricavare acido solforico, anidride solforosa ecc...) non vengono sfruttati; la miniera di Marzo produce solo zolfo ventilato; le attrezzature tecniche sono deficienti. Tutto questo concorre a dare alle due miniere il carattere di industrie “negative” ai fini dello sviluppo industriale nazionale e meridionale particolarmente. Le lotte del lavoro, le lotte della classe operaia finiranno per ottenere vittoria, e vittoria per queste riforme si ottiene anche oggi quando difendendo il proprio salario, richiedendo il rinnovo e il potenziamento degli impianti si intacca il profitto dei capitalisti a beneficio di tutta la collettività aperaia e cittadina di Altavilla e di Tufo il cui destino è legato strettamente alla vita stessa delle miniere.
SILVESTRO AMORE