Alberico Crescitelli e Cosimo Caruso: Altavilla, la Croce e la Spada
( di Luigi Di Giovanni )
Il seguente contributo è, con alcuni rimaneggiamenti ed integrazioni, l’intervento presentato in occasione del Seminario A. Crescitelli e C. Caruso, due amici e la missione, tenuto ad Altavilla Irpina il 27 luglio 2013. Alcune informazioni erano già comparse nel 2001 nell’opuscolo curato dalla cooperativa Nonsolocultura,“Altavilla Irpina e il suo santo”
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1863 - Fino a qualche anno prima, gli altavillesi erano sudditi dei sovrani della dinastia dei Borbone, in seguito, dopo una guerra non dichiarata al Regno delle Due Sicilie portata avanti dai Savoia, tale Regno sarà incorporato agli altri stati pre-unitari per formare l’entità statale conosciuta come “Regno d’Italia”, il cui primo re si chiamerà Vittorio Emanuele II.
Da poco tempo Altavilla in provincia di Principato Ulteriore, circondario di Avellino, è diventata Altavilla Irpina, con regio decreto del 14-12-1862, con una popolazione, secondo il censimento del 1861, di 3.555 abitanti. Nel corso principale del piccolo paese irpino, nasce, il 30 giugno del 1863, Alberico, figlio di Beniamino Crescitelli, farmacista, e di Degna Bruno. Meno di due settimane dopo, nasce il 13 luglio, Cosimo Caruso, da Emilio e da Filomena Severino. Come lui incontrò mondi e culture lontani.
In quello stesso anno il Regno d’Italia decide di istituire un consolato presso l’Impero Cinese, con giurisdizione in tutto il territorio dell’Impero. Sempre in quell’anno, la fiera di S. Bernardino viene sospesa per motivi igienici. Intanto, Alberico e Cosimo riescono a superare la fanciullezza: cosa non da poco in un paese in cui i bambini fino a 10 anni, morti nel periodo che va dal 1872 al 1901, sono più di 2.500 e che in un documento si parla, a proposito della levatrice per i poveri, di “parti muliebri poco felici” !
In paese sono presenti una gendarmeria reale, alcune chiese, un palazzo fatiscente che raccoglie paglia e che una volta era stato dimora di feudatari, i cui nomi lasciano poche e labili tracce nella memoria di una comunità formata per la maggiore parte da contadini e notabili. Dopo qualche anno il paese vedrà lo sviluppo di una delle poche industrie del Mezzogiorno, le miniere di zolfo, che diventeranno la futura SAIM.
Il comune spesso deve provvedere alle prime necessità dei meno fortunati: alcuni nomi compresi in questa triste lista sono Gennaro Marino che riceverà 10 lire per le calzature, Pellegrino Di Troia, 2 lire. I farmacisti (i fratelli Caruso, Nicola e Gaetano, e Domenico Bruno) venivano rimborsati dal comune quando avevano dato i medicinali ai poveri. Un certo Emilio Crescitelli, cieco, ottiene un sussidio di 10 lire per andare a Napoli per una visita medica. L’elemosina che il comune era solito elargire poteva essere data anche a chi non risiedeva in paese: 2 lire vengono date a un “artista drammatico di passaggio per questo comune, sfornito di mezzi necessari alla vita”.
Il comune impiegava poche persone: una guardia municipale, 2 messi comunali, due pedoni della posta rurale e il regolatore del pubblico orologio, che si trovava sul campanile dell’Annunziata.
Nel 1874, viene impiantato un ufficio postale; il servizio postale veniva fornito per mezzo di carrozza. L’ufficio telegrafico comincia ad entrare in funzione nel 1887, poco prima dell’epidemia di colera.
Il paese allora contava 3 scuole elementari, 2 maschili, di grado inferiore e superiore, e una femminile. Successivamente verranno aperte altre 2, maschile inferiore e femminile: ulteriori spese per il comune, costretto nel 1879 a lamentarsi per la mancanza di un’adeguata copertura finanziaria. (Si pensi che per riscaldare la scuola maschile occorrevano 150 kg di carbone duro di quercia). La mobilia della scuola era parca, semplice: poche sedie, calamai e banchi.
Nel dicembre del 1879 le stanze superiori del palazzo baronale vengono adeguate per sistemarvi la scuola maschile. Il palazzo baronale ospitava anche il carcere.
Per avere un’idea dell’attività che ferveva allora, basta scorrere l’elenco degli esercizi e delle richieste di licenze per bettole, locande, pizzicherie (salumerie) in quei decenni.
Negli anni ’70 sono concesse diverse licenze per pizzicherie, caffè e bettole. Gli orari di chiusura degli esercizi sono diversificati: le bettole dovevano chiudere dal 15 ottobre al 15 marzo alle 21, poi, fino al 30 aprile alle 22,00, quindi fino al 31 agosto alle 23,00, poi, di nuovo fino al 15 ottobre alle 22,00. Lo stesso valeva per i caffè mentre alcuni avevano, rispetto agli altri esercizi, un’ora di apertura in più. Chi chiudeva con un ulteriore ritardo di un’ora erano le osterie e gli alberghi, tutti siti in via S. Pietro: Innocenzo Raffaele (n.102), Francesco Bartolino (n.110), Pasquale Di Troia (n.101); questi sarebbero rimasti tutta la nottata aperti il 24 e 25 agosto (festa di S. Pellegrino).
Come si può intuire, questi anni vedono un brulicare di esercizi, di locande, di richieste che dà del paese un’immagine attiva e laboriosa, pur non essendo ogni lavoro gradito: quello di beccamorti era, per usare il linguaggio dei documenti, “schifato” dalla generalità della popolazione. Bisogna ricordare che al cimitero si facevano allora le autopsie.
Altavilla stava crescendo in senso demografico ed economico: ciò è dovuto all’attività della miniera, ai lavori per la conduttura tra Serino e Napoli e per la ferrovia Avellino - Benevento. Tutto questo attraeva moltissime persone ad Altavilla, e creava un indotto non indifferente. Infatti nei primi anni ‘80 continuano le richieste di apertura di locande e di bettole, e perfino una certa Emilia Sagnatti, di Bologna, chiede di potere aprire una trattoria bolognese nel comune, la quale doveva trovarsi sulla strada Irpina, in un sottano della casa palazziata posseduta da Don Carlo D’Agostino: dato che la giunta augura di potere avere una ‘decente’ trattoria, bisogna immaginarsi che le altre non lo fossero? Una locanda del genere avrebbe aiutato molto gli operai forestieri che lavoravano alla conduttura e che venivano ad Altavilla per rifornirsi.
Tra gli altri esercizi che avrebbero aperto i battenti negli anni a venire si trovano: uno spaccio di liquori, altre pizzicherie, un banco lotto, sala da bigliardo, bettole, caffè, macellerie e trattorie, e vendita di neve; era stato dato inoltre parere favorevole alla richiesta di tale Bernardino Bruno di smerciare polvere pirica e cartucce per fucili, in Corso S. Pietro.
Una certa attività era visibile anche in campo culturale: si fonda una banda musicale e, con l’aiuto di Federico Zampari, il cui contributo allo sviluppo delle miniere e al completamento della conduttura di Serino non è certo indifferente, Altavilla avrà nel 1894 la sua Società filodrammatica.
Il 20 luglio 1900 la giunta di Altavilla si oppone all’istituzione di una fiera e di un mercato e di una fiera domenicale a Tufo, per il danno che poteva arrecare.
Le condizioni climatiche, igieniche, e ambientali aiutano a comprendere la portata di certi fenomeni. Un incendio, ove non esistano strutture adatte a spegnere il fuoco, può rivelarsi disastroso; un temporale può apportare danni consistenti al raccolto; malattie debellabili diventano mortali quando mancano le condizioni di pulizia. Ciò che segue è la dimostrazione di quanto le situazioni controllabili di oggi, in quelle determinate circostanze storiche ed ambientali, potessero risultare disastrose e provocare grossi rischi, spesso con esiti mortali.
A causa del fieno conservato nelle case, spesse volte scoppiano incendi che rischiano di travolgere le abitazioni, e quindi non solo le persone ma anche ciò che vi è contenuto come lardo, salami, mobili, legna.
Nell’ottobre del 1875 si ricorda un temporale che aveva causato grandi danni al tetto della chiesa dell’Annunziata.
Il 24 giugno 1881, un incendio nella fabbrica di polvere pirica provoca la morte di un ragazzo.
Nel 1898, nel mese di aprile, risulta esserci penuria di grano e si decide di abbassare il prezzo del pane di 1° e 2° qualità rispettivamente a 35 e a 30 centesimi al chilogrammo. Per pane di 2° qualità si intende il pane bruno, e l’altro è pane bianco. I prezzi dovevano scendere di nuovo qualche giorno dopo (dal 30 aprile al 5 maggio) di altri 5 centesimi per ogni tipo di pane. Con una delibera dell’8 maggio, i prezzi venivano confermati, e si offrivano buoni per l’acquisto del pane e del granone, necessario alle famiglie. Va detto che anche i forestieri avevano approfittato delle decisione della giunta. E’ l’epoca in cui l’Italia soffre di scarsezza di pane dovuta al cattivo raccolto e alla difficoltà delle importazioni di grano causate dalla guerra ispano-americana. Tutto questo provocherà nel mese di maggio i famosi moti di Milano duramente repressi poi da Bava-Beccaris.
In quello stesso anno una grandinata aveva prodotto danni immensi (17-19 maggio), tali da indurre 400 contadini a recarsi in Comune per chiedere l’alleggerimento delle imposte e la verifica dei danni.
Uno dei disastri più funesti a colpire il paese nella seconda metà dell’Ottocento fu l’epidemia di colera, che portò via più di un centinaio di persone. Tutto questo in un quadro segnato da altre malattie come il morbillo, che pure aveva causato un numero non indifferente di morti. In quest’occasione, Alberico Crescitelli, ordinato sacerdote pochi mesi prima, rimane in paese a curare coloro che sono stati colpiti, rinviando il suo viaggio a Roma fino all’ottobre dello stesso anno, l’ultima volta in cui gli sarà concesso di vedere il suo paese natale.
Il 13 settembre 1887 la Giunta si era riunita dopo che il dott. Alessandro Severini aveva riferito di aver trovato cinque persone colpite da colera asiatico. Si ritenne opportuno in quell’occasione dividere Altavilla in tre rioni, guidati da sottocommissioni l’istituzione delle quali serviva a meglio gestire l’emergenza colera: esse avevano la facoltà di provvedere a quanto occorreva per la pulizia del paese, delle vie, degli esercizi.
I tre rioni in cui venne divisa Altavilla erano i seguenti:
1° rione: Corso e Largo S. Pietro, Strada Orticelli, Strada Avellino con i vicoli adiacenti
La sottocommissione sanitaria era composta da: Ferdinando Severini, Beniamino Bruno, Giovanni Tommasone, Nunziante Basso, Alfonso Caruso, Ignazio Tartaglia, Francesco Ippolito Bruno;
2° rione: Largo Teglio, Strada Carmine, Vico Sole, Strada Belvedere e vicoli adiacenti
Sottocommissione: Massimino Severini, Nicola Caruso, Pasquale Severini, Giuseppe Bruno fu Raffaele, Alfonso Raffaele, Giorgio Sartorio, Francesco Tartaglia
3° rione: Largo Piazza, Strada Annunziata, Strada Ponte, Via Piazza, Via S. Pellegrino e vicoli adiacenti
Sottocommissione: Giosuè Severini, Luigi Matto, Giuseppe Severini, Tommaso Bartolino, Fortunato Bruno, Gaetano Severini, Carmine Rossi.
Questi signori erano delegati dal Sindaco e dalla Giunta “…….di ordinare e fare eseguire…tutte le disposizioni che…in conformità delle dette istruzioni stimano di impartire a tutela della pubblica salute sia per la nettezza dell’abitato che per i pubblici esercizi che per la salubrità degli alimenti posti in commercio……”.
Per ricoverare i colerosi, il Municipio decise di istituire, presso il Palazzo Baronale, un lazzaretto. Vengono date disposizioni affinché le quattro farmacie che allora esistevano in paese tengano a disposizione dei tinozzi (sic) caldi e medicinali. Il colera infierì nel periodo da settembre al 20 ottobre, colpendo 275 persone: 103 ne furono le vittime. L’epidemia aveva posto il problema dell’acqua potabile. Da qui l’importanza dell’acquedotto di Serino che proprio in quegli anni si stava cominciando a costruire. Con delibera del 19/9/1887 il comune ordina che “nel camposanto sia bruciato a permanenza dello zolfo grezzo”. Nello stesso camposanto era prevista la sepoltura dei cadaveri dei colerosi ricoperti di calce viva e terreno ben battuto. Il colera non era nuovo in paese; era già apparso nel 1885, e in quell’occasione la giunta chiese al governo degli attestati di benemerenza per coloro che si erano distinti durante l’epidemia.
Purtroppo non si moriva solo per quell’epidemia; oltre al colera, bisogna tener conto di altre malattie, come il morbillo, il quale mieté più di 260 vittime negli ultimi decenni dell’Ottocento. Nello stesso anno del colera, infatti, 57 persone morirono di morbillo. Certo, le condizioni igieniche non erano tali da permettere una maggiore prevenzione delle malattie: le strade, la cui pulizia pur spesso prevista non era sufficiente a impedire l’insorgere di problemi igienici, non erano pavimentate, e nel centro storico erano piccole, buie e strette, spesso coperte di melma oppure di rifiuti umani e animali. Le stanze delle abitazioni erano piccole e umide, con persone che vivevano in promiscuità addirittura con gli animali. A causa dello stato in cui si trovavano le strade, era necessaria la manutenzione per mezzo di brecciame, che si ricavava probabilmente da una cava sita in strada Foresta. Per aver il paese pulito, bisognava aspettare l’acqua che arrivava dal cielo; poca quella potabile a disposizione, che nonostante risultasse pura alla sorgente, si infestava lungo la via. I recipienti in cui si trasportava l’acqua, la condizione in cui versavano i tubi di conduttura, tutto questo danneggiava la salute degli abitanti. Pare infatti che sia stato un panno sporco, portato da Napoli e lavato alla fonte in contrada Spilacita, a causare lo scatenarsi del colera. Solo nel 1898 sarà impiantata la conduttura dell’acqua di Serino, con effetti benefici sulla salute della popolazione.
La vicenda del colera ci riporta alla vita di Alberico Crescitelli, il quale rivede per l’ultima volta il paese natale. In quell’occasione diede il suo contributo all’assistenza della popolazione anche Federico Capone, colui che aveva già prestato soccorsi alla popolazione di Casamicciola, colpita dal terremoto in cui Crescitelli aveva perso il padre e la sorella, lo stesso terremoto in cui morirono anche i genitori e la sorella del filosofo Benedetto Croce.
Dopo questa tragedia, ormai sacerdote, Crescitelli parte per la Cina, dove troverà la morte. Quale era la situazione in cui si trovava all’epoca il Celeste Impero, ovvero la Cina?
Durante il Cinquecento, arrivano più numerosi gli europei, per la precisione portoghesi. La Chiesa si impegna in un tentativo di cristianizzazione dell’Oriente.
Nei confronti della popolazione locale, che atteggiamento devono assumere i missionari: implementazione pura e semplice dello stile e dell’apparato culturale cristiano-occidentale, oppure rispetto della cultura locale?
Ne nasce la cosiddetta “controversia sui riti”. La santa sede era favorevole al primo approccio; i gesuiti erano più duttili, e capivano l’esigenza di dover rispettare le usanze della popolazione locale, per esempio il culto degli antenati e il vestirsi alla cinese, per meglio favorirne le conversioni. Questo atteggiamento provoca scandalo e allarme a Roma, che non vede di buon’occhio questo avvicinarsi a riti e usanze “pagani”. Questo atteggiamento è di ostacolo alla conversione in massa dei cinesi. Passeranno secoli prima di tentare una nuova cristianizzazione nei paesi orientali, tenuto conto del fatto che in Giappone i missionari erano stati espulsi o uccisi.
Nel corso del Settecento, in pieno clima illuministico, (movimento culturale che tendeva a fare della ragione il criterio di giudizio) la Cina torna di interesse grazie all’esotismo (= moda che favorisce tutto quanto viene da paesi lontani) tanto caro ai salotti di Europa. Alcuni illuministi si mostreranno critici nei confronti delle tentate conversioni. Il Settecento infatti è molto sensibile alle peculiarità e particolarità delle diverse culture. Il filosofo tedesco Leibniz scorge nei cinesi il possesso di una religione naturale. Lo scrittore inglese Goldsmith scrive le “Lettere Cinesi”.
Storicamente, la Cina è comunque ancora isolata dall’Europa, e si dovrà attendere i primi anni dell’Ottocento, quando gli inglesi, ormai avviati verso l’espansione in ogni parte del mondo, cercheranno di avviare trattative commerciali con il Celeste Impero. Da qui però deriva uno scontro che riguarda la questione dell’oppio, venduto dagli inglesi, e il cui commercio e la cui diffusione cominciavano ad essere impediti dai cinesi. Questa crisi sfocia nella cosiddetta guerra dell’oppio (1840-42), vinta dagli inglesi cui viene ceduta, con il trattato di Nanchino del 1842, l’isola di Hong Kong. Una seconda guerra dell’oppio scoppierà, ma anche questa rivela l’intrinseca debolezza dell’Impero, incapace di difendersi dall’assalto degli occidentali. La Cina è ormai presa d’assalto dalle missioni protestanti e cattoliche: molti cinesi vedono con imbarazzo e rabbia mista a vergogna il modo in cui il loro antico paese viene trattato dagli occidentali, alla stregua di un territorio pagano e barbaro, da conquistare e sottomettere ad ogni costo. Come se non bastassero questi guai con i paesi occidentali, scoppia nel 1894 una guerra con il Giappone, che i cinesi perdono.
Si formano, incoraggiate e fomentate anche dal governo, società segrete per difendere la tradizione e la cultura cinese e difendersi dalla penetrazione occidentale. In quest’ambito, caratterizzato dal malcontento (dovuto anche a calamità naturali, mancanza di cibo ecc.) e dalla xenofobia nasce la cosiddetta “società dei pugni della giustizia e della concordia”, conosciuti dagli stranieri come i “Boxers”, in quanto praticavano le arti marziali e attività sportive. Il governo cinese pensa di servirsene per combattere gli occidentali. I privilegi ottenuti con la forza da parte degli occidentali, l’extraterritorialità goduta anche da molti missionari stranieri, la diffusione del cristianesimo ritenuto attacco alla cultura e alle tradizioni cinesi non fanno che incrementare la rabbia e la frustrazione degli appartenenti a questa società. Nel 1900, essi decidono di passare all’azione: è la cosiddetta “rivolta dei Boxers”. In questo contesto trova la morte Alberico Crescitelli.
Per sedare la rivolta, le grandi potenze mandano truppe in Cina: Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Austria-Ungheria, Russia, USA, Giappone parteciperanno a formare un Corpo di Spedizione Internazionale per soccorrere gli europei assediati nelle legazioni straniere dai cinesi. La rivolta viene facilmente repressa, e la Cina è costretta a disarmare e a pagare una forte indennità.
Di solito si crede che Crescitelli abbia trovato la morte proprio a causa dei Boxers. Uno studioso del PIME, Gianni Criveller, invece, con documenti alla mano, ha potuto smontare questa versione e ricostruire il contesto della morte di Crescitelli, che non coinvolge affatto i Boxers. Prima di tutto, pare che la ribellione di tale società non sia mai arrivata fino alla provincia in cui il missionario esercitava la propria missione, ovvero lo Shaanxi. Inoltre il motivo della morte è legato a problematiche specifiche.
I cinesi convertiti al cristianesimo erano esentati dalle tasse per il tempio, le quali servivano a finanziare feste, processioni e rappresentazioni teatrali, giudicate superstiziose e immorali dai missionari.Inoltre, presso i templi c’erano proprietà in comune, e laddove alcuni si convertivano al cristianesimo, ne chiedevano la divisione, provocando astio e sospetti.Non solo, i missionari (i quali godevano dei trattati di protezione)potevano ricorrere, a vantaggio dei convertiti, nelle cause civili ai tribunali locali, ottenendo spesso risultati favorevoli. Tutto ciò contribuiva a rafforzare l’animosità nei confronti dei cristiani.
Nel 1900 una carestia si era abbattuta in alcune province cinesi, costringendo il governo imperiale cinese a mandare dei sussidi alle zone colpite. Un certo Ten Cun-ie (che Criveller identifica con Teng Shang-xian, un notabile del luogo poco raccomandabile, usuraio e criminale) era stato nominato responsabile della distribuzione di questi sussidi nella contea di Ningqiang, dove, nel frattempo, era stato mandato Crescitelli. Teng, con la scusa che i cristiani non pagavano le spese per le feste religiose, aveva deciso di escluderli dal soccorso imperiale. In poche parole: i cinesi cristiani non sono più cinesi, ma stranieri, dunque perché devono ricevere aiuti destinati ai cinesi? Per questo motivo Crescitelli aveva portato un ricorso al tribunale, che gli aveva dato ragione contro Teng.Il giorno 20 luglio fu la data stabilita perché gli aiuti arrivassero anche ai cristiani, ma quel giorno Teng tese una trappola a Crescitelli.Quello che avvenne in seguito è noto.
Meno di un anno dopo il fratello Luigi dona un opuscolo al Consiglio Comunale (trascrizione); si noti come l’opuscolo attribuisca la morte ai Boxers).
Qui un giornale che riporta la commemorazione avvenuta in paese nell’anniversario della morte.
Persiste nella mente dei cinesi più illuminati la volontà di riscattare il proprio paese dal dominio straniero. Sun Yat-Sen fonderà il Kuomintang, ovvero il partito nazionalista cinese, che cercherà di conciliare liberalismo, nazionalismo e socialismo, e di fondare una Cina libera governata da cinesi in cui sia garantito benessere a tutti. L’impero plurimillenario cade nel 1912, e viene proclamata la Repubblica. Dopo la morte di Sun, il suo posto viene preso da Chiang Kai Shek.
Negli anni immediatamente successivi, Mao Tse Tung fonderà il Partito Comunista Cinese (1921). Gli anni ’30 vedono una guerra civile scoppiare tra comunisti e nazionalisti, che però si dovranno alleare quando il Giappone invade la regione cinese della Manciuria nel 1935.
La seconda guerra mondiale è appena terminata che scoppia di nuovo la guerra civile. I comunisti, grazie soprattutto alla riforma agraria che attuano nei territori da essi controllati, ottengono sempre di più l’appoggio dei contadini. I nazionalisti, appoggiati dagli americani, sono costretti a lasciare il paese e approdano nell’isola di Taiwan, dove si formerà la Cina nazionalista. Mao, vinte le ultime resistenze, ottiene la vittoria e proclama, il 1 ottobre 1949, la Repubblica Popolare Cinese. I cattolici ivi residenti sono costretti a fare parte della cosiddetta “Chiesa patriottica cinese” dove i legami con Roma sono molto allentati. Accanto a questa chiesa esiste naturalmente quella che obbedisce a Roma, che sarà perseguitata dalle autorità. Anche il Tibet sarà vittima della repressione cinese.
Esistono contrasti tra il Vaticano e la Repubblica Popolare, accresciuti dal fatto che il Vaticano è uno dei pochi Stati a riconoscere ancora il governo di Taiwan. Nonostante tentativi di riavvicinamento e di colloqui in questi anni, rimane alta la tensione tra i due stati. In questo quadro si comprendono le diffidenze e le proteste per la santificazione, da parte di Giovanni Paolo II, dei missionari uccisi in Cina nel 1900, celebrazione che è avvenuta il 1 ottobre 2000, anniversario della nascita della repubblica popolare cinese.
Le polemiche della canonizzazione.
Qui le posizioni ufficiali del governo cinese. Come si nota, Alberico Crescitelli (Aldericus nella nota) è uno dei tre missionari occidentali accusati di crimini infami. In generale, la nota attribuisce ai missionari lo stato di complici degli occidentali, addirittura afferma che le diocesi in cui operavano ancora li odiano. Per quanto riguarda il nostro, è accusato di abusi sessuali e dello ius primae noctis, il leggendario diritto che avrebbe avuto il signore feudale sulla sposa, piuttosto assurda come accusa, considerato che questo diritto, o meglio abuso feudale, è considerato ormai una pura invenzione. In generale però, la nota evidenzia che la canonizzazione dei martiri cinesi non ha fatto altro che riaprire una ferita, in quanto l’epoca del loro martirio rappresenta per la Cina il momento dell’umiliazione e della sottomissione a potenze straniere. La Cina popolare dunque accusa il Vaticano di riportare alla memoria ricordi di un tempo poco felice per il popolo cinese. Questo fatto non fa che accentuare le tensioni già esistenti tra Vaticano e Cina popolare per i motivi espressi sopra.
Cosimo Caruso
Cosimo Caruso nacque ad Altavilla Irpina il 13 luglio 1863, da Emilio e da Filomena Severino.
Dopo gli studi liceali a Napoli, nel 1882 entra all’Accademia militare per l’artiglieria e genio di Torino e, nel 1887, da tenente fa domanda per andare in Africa. Accolta la richiesta, giungerà in Eritrea e in Etiopia, e parteciperà alla battaglia di Adua (1896), dove verrà ferito e preso prigioniero. Rientrato in Italia e promosso capitano, viene trasferito a Gaeta e Mondovì, e successivamente a Napoli e a Messina.
Verso il periodo 1910-11 inizia a scrivere i suoi ricordi d’Africa; viene promosso maggiore e inviato in Libia nel 1912 nel periodo della guerra italo - turca. Nel ’15 viene mandato a Pavia e quindi assume il comando del II gruppo del 46° reggimento; si trova a Gorizia nel ’16 e come colonnello partecipa alla battaglia di Vittorio Veneto. Sarà generale di brigata nel ’23 e nel ’29 di divisione, quando sarà collocato a riposo per raggiunti limiti di età. Nel dopoguerra partecipa alla politica. Tra il 1927 e il 1931 aveva svolto il compito di podestà (sindaco) di Altavilla. Muore il 6 agosto 1933.
Tra le onorificenze: due medaglie al valore, una di bronzo e l’altra di argento, quest’ultima dopo Adua. Nella guerra mondiale ne guadagna un’altra di argento, per le azioni e le operazioni svolte a Gorizia; la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia.
Il clima culturale.
Il periodo storico in cui nacquero i nostri, è contrassegnato da fenomeni come il nazionalismo, il socialismo, il liberalismo, il colonialismo e il positivismo.
L’unificazione italiana ha luogo all’interno di un quadro internazionale in cui si comincia ad esaltare la “Nazione”, la liberazione dallo “straniero”, colui cioè che non condivida lingua, costume e religione. Negli stessi anni in cui l’Italia compie la sua unità, anche gli stati tedeschi giungeranno a una unificazione sotto l’egida della Prussia, costituendo così l’Impero tedesco.
Il nazionalismo, ovvero l’esaltazione della nazione, che in un primo momento (Mazzini) aveva la finalità di liberare una terra da oppressori stranieri, degenera in un movimento di pura esaltazione con venature razziste. Questa ideologia, insieme con il darwinismo sociale (che predica la sopravvivenza del più forte), pone l’accento sulla potenza (militare industriale culturale) di un Paese. Da qui la giustificazione del colonialismo, con cui vari Paesi occupano territori altrui, e quindi dell’imperialismo, che implica il dominio della cultura del Paese dominante sui popoli sottomessi. Il continente che più ne ha sofferto è stato l’Africa, spartita quasi completamente (ad eccezione della Liberia e dell’Etiopia).
Nel corso dell’Ottocento, gli inglesi otterranno la fascia orientale, i francesi si espanderanno nella fascia occidentale. Spagnoli e portoghesi già da tempo avevano delle colonie, i turchi almeno in teoria controllavano ancora il Nord Africa, mentre belgi, italiani e tedeschi arriveranno dopo nella spartizione dell’Africa, le cui regole saranno fissate dal Congresso di Berlino (1885).
L’altro continente coinvolto, l’Asia, sarà meno facilmente spartibile per diversi motivi, ma fra i paesi più vulnerabili ci sarà proprio la Cina.
È l’epoca in cui si ritiene che l’uomo occidentale (si pensi al “fardello dell’uomo bianco” di Kipling) abbia il dovere di “civilizzare” i popoli non bianchi spesso ritenuti “selvaggi”, “pagani”, incapaci almeno per il momento di autogovernarsi e di liberarsi dalla povertà e dall’ignoranza. Altri motivi addotti per giustificare il colonialismo sono economici, finanziari, religiosi, politici: controllare un territorio dove poter smerciare prodotti, o mandare l’eccesso di popolazione, convertire i popoli al cristianesimo, mostrare la propria potenza e aumentare così il proprio prestigio nel mondo.
Anche l’Italia, in cerca di una sua identità e posto nel mondo e desiderosa di essere presa sul serio dagli altri Paesi, partecipa a questo fenomeno. Ecco come si trova coinvolto Caruso in questa avventura.
Si comincia con piccoli territori (Massaua e Assab) e poi, nel 1890 l’Eritrea verrà proclamata colonia italiana. Da qui l’Italia vorrà espandere la propria influenza verso l’entroterra, cioè l’’Etiopia. Approfittando di un malinteso linguistico riguardante il trattato di Uccialli firmato tra il negus (l’imperatore d’Etiopia) Menelik e il governo italiano, quest’ultimo ordinerà la penetrazione in territorio abissino, ma l’esercito italiano ivi mandato subirà l’umiliante sconfitta di Adua (1896), che farà cadere il governo di Crispi.
Adua, una sconfitta dell’uomo bianco colonizzatore.
Per gli africani e i non europei in generale Adua rappresenta un’ eccezione da quando è cominciata l’espansione imperiale europea. Qualche anno dopo, all’inizio del ‘900, i giapponesi sconfiggeranno i russi nella guerra russo-giapponese (1904). Il mito dell’invincibilità dell’uomo bianco comincia a vacillare. Due popoli non bianchi, etiopi e giapponesi hanno sconfitto due popoli bianchi intenti ad espandere il proprio dominio. In mezzo a questi due eventi, la rivolta dei Boxers, anch’essa rivolta contro gli stranieri e gli occidentali in particolare.
Dunque due altavillesi sono stati, loro malgrado, testimoni di avvenimenti che hanno messo in discussione l’egemonia europea del mondo. Naturalmente non ne erano consapevoli, ma questa loro presenza è un altro dei tratti che hanno avuto in comune. Oltre il paese natale, entrambi hanno visto mondi esotici e lontani, di cui la maggiore parte degli italiani sapeva poco o niente. Erano inoltre protagonisti attivi, non certo passivi, nei confronti di questi nuovi mondi. Sia il militare che il missionario hanno cercato di comprendere un po’ meglio il contesto in cui agivano. Questo interesse è dimostrato dal fatto che Caruso ha raccolto e inviato fauna e flora proveniente dall’Africa in diverse località italiane: Napoli, Firenze, Roma, Parma, Trento (dove il Museo di Scienze avrebbe una sala a lui intitolata), Milano.
Crescitelli si interessava non solo della religione, degli usi e dei costumi delle popolazioni incontrate, ma anche della produzione della seta, e ha lasciato diverse osservazioni sui prodotti del luogo (funghi e bambù per esempio).
L’epilogo è diverso. Crescitelli, lasciato il paese nel 1887, non lo vedrà più, e di lui rimane solo il ricordo. Diversa cosa per Caruso. Dopo la Grande Guerra (la guerra del ‘15-’18 in Italia), si dedica alla politica. Collocato a riposo, è chiamato a ricoprire la carica di potestà (sindaco) di Altavilla nel 1927. La situazione del paese è piuttosto deprimente. I commissari prefettizi suoi predecessori trascorrevano poche ore in Comune, nei cui uffici si trovavano cumuli disordinati di registri e di carte. Le strade erano pantani, senza manutenzione, e il sistema fognario lasciava a desiderare. Le finanze del comune erano dissestate, nel bilancio le risorse erano sufficienti appena a pagare le spese obbligatorie, tanto che la società dell’acquedotto di Serino minacciava di togliere la fornitura di acqua. Il cimitero era ritenuto indegno di un paese civile, e le scuole erano così malmesse che Caruso afferma di averne trovate di meglio nelle colonie africane! Non solo, gli alunni dovevano portare da casa le sedie. Questi sono alcuni dei problemi che si trovava ad affrontare nella veste di podestà. Svolto il suo incarico fino al 1931, Caruso si gode appena un po’ di riposo, e, il 6 agosto 1933, raggiunge, nel ricordo degli altavillesi, Alberico Crescitelli.
E qui finisce la nostra storia.